FONDULO, Cabrino (Gabrino)
Nacque a Soncino, nei pressi di Cremona, nel 1370 da Venturino e da Agnese dei nobili di Covo. Apparteneva a una numerosa famiglia di parte guelfa, in primo piano nella vita politica e nelle lotte civili che travagliavano la sua terra natale. Il F. non fu - come taluni cronisti lo presentano - un uomo di umili origini assurto a grandi fortune, ma l'esponente di un gruppo localmente potente nelle lotte di parte e nelle attività militari. Presto si mise personalmente in luce nelle contese che dilaniavano Soncino e fu protagonista di incursioni armate e vendette contro gli avversari politici, specialmente contro esponenti della famiglia nemica dei Barbò.
In tutto il dominio milanese le lotte tra fazioni costituivano un problema costante per i Visconti e spesso prendevano i contorni della ribellione: si sa ad esempio che il F. tramò con Mantova per un'azione comune contro Giangaleazzo. In questi frangenti il signore di Milano, impegnato in continue guerre espansionistiche, inviò nel Cremonese uno dei propri funzionari, Giovanni Castiglioni, noto per l'intransigenza e la durezza. Nel 1392 (secondo altre versioni nel 1398) il Castiglioni arrestò il F. e suo fratello Pagano. Rinchiuso nella rocca di Soncino, il F. riuscì a fuggire: radunato un gruppo di armati, uccise alcuni esponenti della famiglia Barbò. Sfuggitogli il F., il Castiglioni, per rappresaglia, fece giustiziare Pagano sulla pubblica piazza.
Erano misure eccezionali, che di solito il signore di Milano non adottava contro le potenti consorterie locali; ed è certo che nel 1396 Giangaleazzo concesse in feudo al F. - forse in compenso di prestazioni militari o forse come contropartita di una momentanea pacificazione - alcuni immobili e terre, posti nel territorio di Soncino e di Cremona.
Intorno ai primi anni del sec. XV il F. era a capo di una compagnia militare e alleato dei guelfi Cavalcabò, un'antica famiglia cremonese che aveva dovuto accantonare le sue aspirazioni al dominio su Cremona, dopo che la città era entrata a far parte del dominio visconteo. Nel 1402, mentre combatteva a Bologna a fianco di una coalizione di parte guelfa, il F. ebbe notizia della morte improvvisa del duca e dei sommovimenti seguiti in tutte le città lombarde. Tornò immediatamente in Lombardia, dove Cremona era insorta e aveva cacciato gli officiali viscontei. Grazie ai successi conseguiti dalle milizie del F. contro i ghibellini di Brescia e di Piacenza Ugolino Cavalcabò diventò nel giro di pochi mesi signore di Cremona.
La città divenne nel 1403-1404 un centro di raccordo e di iniziativa dei guelfi lombardi, in connessione con Firenze, gli Estensi e i Carraresi di Padova. Alla fine del 1404 il F., a capo delle schiere cremonesi. si scontrò a Manerbio, presso Brescia, con le milizie di Astorre Visconti: in quell'occasione Ugolino Cavalcabò fu catturato e condotto prigioniero a Milano. Il F. invece riuscì a fuggire, tornò a Cremona e aiutò Carlo Cavalcabò, nipote di Ugolino, a prendere il potere. Il nuovo signore donò al F. il castello di Maccastorna, situato lungo l'Adda in una posizione di transito tra Lodi e Cremona. Qui il F. pose la sua base, mentre Soncino restava nell'orbita milanese.
Nei primi mesi del 1406 Ugolino Cavalcabò riuscì a fuggire dalle prigioni milanesi e si rifugiò a Maccastoma, chiedendo aiuto al F. per riconquistare il potere: questi finse di acconsentire e lo scortò a Cremona. In città li attendeva Carlo Cavalcabò, il quale, preavvisato dal F., fece arrestare il suo congiunto e lo gettò nelle prigioni della rocca. Il F., tuttavia, già coltivava il disegno di cacciare i Cavalcabò e impadronirsi della città. Per realizzare i suoi piani, si assicurò l'aiuto militare di Ottobuono Terzi, signore di Parma, promettendogli in cambio Cremona. L'occasione si presentò alla fine di luglio di quello stesso anno: Carlo e Andreasio Cavalcabò, accompagnati da numerosi parenti e consiglieri, tornavano da Milano, dove avevano negoziato col nuovo duca una tregua. La comitiva fece sosta a Maccastorna per consultarsi col F. e fu ospitata nel castello. Il F. attese che gli ospiti si ritirassero nelle loro camere e li fece trucidare; compiuta la strage, si diresse rapidamente a Cremona, la occupò militarmente e, senza spargere sangue, fece radunare il popolo nella piazza del Comune. Alternando le promesse alle minacce si fece riconoscere signore dai cittadini, atterriti dallo spiegamento di forze militari che lo sostenevano, e, nel giro di poche ore, estromise con l'inganno le truppe del Terzi e restò il solo dominatore della città. Iniziò quindi a colpire in modo spietato i Cavalcabò superstiti, compreso Ugolino che morì (forse di morte violenta ad opera del F.) nel novembre, e altre famiglie potenti: distrusse i castelli dei suoi avversari nel contado, vi pose le proprie insegne e fece fortificare la postazioni di San Giovanni in Croce, al confine con le terre dei Gonzaga.
Il F. aveva abbattuto con l'inganno la potenza dei suoi amici e protettori: l'accaduto fece una grande impressione ai contemporanei e trova eco in molti cronisti e storici del tempo, che lo infarcirono di particolari truculenti e feroci. Ma egli non mancava di doti politiche, come dimostrò negli anni successivi. Dopo aver conquistato Cremona e annientato gli avversari, consolidò il suo potere ricercando appoggi e consensi presso le potenze italiane: fece tregua col duca di Milano e stipulò una lega col marchese di Ferrara. La Signoria di Firenze, in nome della solidarietà guelfa, rispose in termini molto amichevoli a una sua lettera che annunciava il colpo di mano, Venezia gli concesse la cittadinanza (marzo 1407). Nello stesso 1407 entrò a far parte di una coalizione capeggiata da Iacopo Dal Verme, capitano del duca di Milano Giovanni Maria, che comprendeva anche altri signori lombardi, per combattere Facino Cane e i ghibellini.
Nel 1408 partecipò a una campagna contro Ottobuono Terzi. Le sue milizie e la flotta fluviale cremonese furono impegnate a lungo tra Parma, Reggio e il Po. Il F. si insignorì di alcune terre parmensi e trasse vantaggi momentanei dalla definitiva caduta dei Terzi. Nel marzo 1409 riuscì ancora ad inserirsi con successo in una coalizione di forze che operavano nel caotico e movimentato scenario politico lombardo, la lega tra il duca di Milano, il duca di Orléans, il governatore di Genova Boucicault, il conte di Savoia, il principe di Acaia e Pandolfo (III) Malatesta signore di Brescia, uniti contro Facino Cane e i discendenti di Bernabò Visconti, che detenevano importanti postazioni nei pressi di Milano. In qualità di procuratore della lega, il F. trattò l'alleanza dei signori di Lodi e di Crema. In queste circostanze, a Milano, ricevette dal Boucicault l'investitura a cavaliere. Facino Cane contrattaccò con successo e, dopo una serie di azioni fortunate, alla fine del 1409 diventò il vero padrone di Milano e di gran parte della Lombardia. Il nuovo assetto politico limitava la sfera d'azione del F. e le alleanze lombarde, che avevano assicurato i suoi successi negli anni precedenti, gli erano ormai precluse. Nel 1411 stipulò una lega con il marchese d'Este e il Comune di Bologna. Nello stesso anno tentò senza successo di recuperare Soncino, che era nelle mani dei capitani di Facino.
Nel maggio 1412 si verificarono contemporaneamente due eventi inaspettati: Giovanni Maria Visconti fu assassinato a Milano e negli stessi giorni morì Facino Cane. Il F., come gli altri signori lombardi, stipulò subito una tregua con il nuovo duca, Filippo Maria Visconti (11 dic. 1412). La minaccia più seria alla signoria del F. su Cremona non veniva però dal duca, ancora troppo debole per rivolgersi contro i signorotti che si erano impadroniti delle città del dominio visconteo, ma da un antico alleato, Pandolfo Malatesta, che da Brescia iniziò una campagna di conquista ai danni del contado cremonese. Conscio della precarietà della sua posizione, il F. cercò di dare più saldi fondamenti al suo potere. Nel 1413 ottenne da Sigismondo di Lussemburgo il vicariato imperiale su Cremona e la conferma delle contee di Soncino e di Castelleone. Sotto l'egida imperiale stipulò un patto di reciproco aiuto con il signore di Mantova Gianfrancesco Gonzaga (3 apr. 1413). Quasi a sanzionare la sua signoria, il papa e Sigismondo fecero insieme visita a Cremona: furono accolti con ogni solennità dal F. e dal vescovo Costanzo Fondulo, suo parente.
Dati i tempi, gli atti del governo civile del F. a Cremona restano in ombra rispetto ai fatti militari: si hanno notizie di una riforma, forse solo abbozzata, degli statuti cittadini, di misure monetarie e di provvedimenti a favore delle manifatture tessili. La cittadinanza gli fu particolarmente riconoscente quando egli nel 1413 ottenne da Sigismondo il privilegio che istituiva a Cremona uno Studio generale, anche se tale provvedimento non ebbe effetto. Alla sua corte trovarono rifugio alcuni umanisti veneti, come Ognibene Scola e Ludovico Cattaneo, che tentarono di orientare la sua politica in senso antiveneziano.
Più che dal governo delle cose civili, il dominio cremonese del F. fu contrassegnato dalla guerra e dall'instabilità. Nel corso del 1414 il duca di Milano, intimorito dai successi del Malatesta, diede al F. mano libera nell'acquisto di Cremona, a patto che la restituisse entro dieci anni. Il F. si trovava così isolato e stretto tra due fuochi: non gli restava che cercare la protezione del duca.
Il 1° genn. 1415 il Visconti gli concesse in feudo Cremona, eretta in contea, e il distretto, comprese le terre occupate dal Malatesta. Il F. si impegnò a fornire aiuto militare al duca e si assoggettò a uno status di vassallo e aderente che lo poneva in una condizione di inferiorità e di subordinazione. I patti del 1415 non configuravano quindi una sopravvivenza in forma federativa della signoria cremonese all'interno della compagine territoriale viscontea, ma preludevano al suo progressivo indebolimento e alla sua assimilazione.
Mentre le fortune dei signori lombardi erano in declino, le campagne del Carmagnola assicuravano al duca di Milano Lodi, Trezzo e Lecco. E F. cercò allora intese con i nemici del Visconti: nel 1416 si collegò col Malatesta, che aveva rinunciato a conquistare Cremona, con il condottiero Filippo Arcelli e con il marchese di Ferrara. La campagna ebbe luogo nel corso del 1417 nel territorio cremonese e in quello di Piacenza. Anche se il F. riuscì a conseguire alcuni successi militari, fra il 1417 e il 1418 il Carmagnola conquistò parte del territorio cremonese, riconquistò Piacenza, ed entrò nel Bresciano, costringendo il Malatesta a scendere a patti col duca. Inutilmente il F., sostenuto da Venezia, cercò di farsi comprendere nella pace, stipulata il 25 febbr. 1419 con l'arbitrato di papa Martino V.
Il cerchio si stringeva attorno al F., e su di lui gravava la minaccia dell'isolamento politico e militare. Nel marzo del 1419 il Carmagnola attaccò nuovamente il dominio del F. e conquistò Pizzighettone. Nell'aprile del 1419 il duca incaricò il suo consigliere Corradino da Vimercate di trattare col F. la resa di Cremona e delle rocche. Dopo una breve tregua, sul principio del 1420 riprese la campagna dell'esercito visconteo. Visti inutili i tentativi di coinvolgere Venezia e ormai consapevole della propria inferiorità, il F. si vide costretto ad arrendersi. Dovette cedere al duca la città e le rocche di San Luca e di Santa Croce in cambio di 40.000 fiorini d'oro. In febbraio il duca diede procura al suo cameriere Oldrado Lampugnani di ricevere il giuramento di fedeltà dalle comunità e dai nobili del Cremonese. Al F. restava la signoria di Castelleone, una piccola enclave all'interno del ducato milanese.
Allora il F. ritornò alla professione militare e nel maggio del 1420 si pose al servizio del Comune di Bologna, per difendere la città dalle truppe ingaggiate da papa Martino V, ma il Visconti lo richiamò presto in Lombardia. In luglio la città di Firenze gli concesse la cittadinanza per la sua antica amicizia col Comune e con i guelfi. Per i Fiorentini il F. rappresentava ancora una pedina utile da giocare contro il Visconti, e infatti nel 1422, dopo gli incalzanti successi viscontei in Romagna, essi chiesero al F. di far sollevare le fazioni avverse al duca nelle città lombarde. Il F. accettò, ma secondo alcuni comunicò la cosa al duca, iniziando un doppio gioco che, nella sua posizione, doveva rivelarsi molto pericoloso. Nel frattempo si rivolgeva a Venezia, chiedendo ospitalità nel caso fosse stato costretto ad allontanarsi dalla Lombardia. Nel 1424 il generale fiorentino Carlo Malatesta, condotto prigioniero a Milano, rivelò al Visconti tutte le trame che le fazioni antiviscontee tessevano nelle città lombarde.
La rovina del F. fu dovuta però soprattutto a due persone a lui molto vicine, il nipote Venturino e il suo luogotenente Matteo Mori, che rivelarono al duca le sue attività proditorie. Da tempo Filippo Maria Visconti attendeva il momento propizio per liberarsi di un avversario scomodo e ormai indebolito, tanto più che si approssimava lo scontro con Venezia e le basi cremonesi del F. potevano costituire pericolosi avamposti.
Per catturare il F., che aveva fama di essere un uomo astuto e temibile, il duca decise di ricorrere a vie indirette e si servì di Oldrado Lampugnani, amico personale del F. e feudatario di una terra cremonese vicina a Castelleone. Il Lampugnani ebbe buon gioco nell'attirare il F. in un tranello: si portò presso Castelleone con un gruppo di armati e quando il F. si avvicinò senza sospetti lo fece circondare e imprigionare (6 ag. 1424): La residenza del F. a Castelleone, ricca di oggetti preziosi, fu svuotata e depredata dai soldati del duca, i suoi beni requisiti; le case dei F. a Soncino furono rase al suolo dal popolo istigato dai Barbò. Di lì a poco il F. fu inviato prigioniero a Milano insieme con la moglie e con due figli. Fu sottoposto a processo: le principali imputazioni erano l'usurpazione della signoria di Cremona e le intese con i nemici del duca. Secondo un'oscura affermazione del Decembrio, Filippo Maria lo riteneva anche partecipe della congiura che aveva provocato la morte della propria madre, Caterina Visconti, nel 1404.
Il 29 genn. 1425 il F. fece testamento presso il podestà di Milano e il 12 febbraio nel Broletto del Comune fu eseguita la condanna a morte per decapitazione. Fu sepolto a Cremona a cura dei suoi familiari.
Il F. lasciava una famiglia numerosa: nel 1406, agli inizi della sua ascesa, aveva sposato la giovanissima Pomina Cavazzi della Somaglia, appartenente a una nobile famiglia lodigiana, che gli aveva dato sei figli, nati tra il 1407 e il 1421; aveva inoltre dieci figli naturali, che ricordò nel testamento. Dopo la condanna e l'esecuzione del F. alcuni di essi subirono una dura prigionia e a lungo il Visconti continuò a perseguitarli, inducendoli a cercare rifugio in Toscana sotto la protezione di Firenze. Ancora a distanza di anni dalla caduta del F., la situazione patrimoniale della famiglia, testimoniata da una "portata" del Catasto fiorentino, risultava assai decaduta e compromessa.
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