burlare
. Riferito alla colpa che ai prodighi rinfacciano gli avari (per l'Ottimo " qui sono punite due contrarie colpe, cioè avarizia, che è in tenere, e prodigalità, che è in gittare il suo "), b. in If VII 30 può essere usato sia nel senso proprio del lombardo borlà, " rotolare ", " spingere innanzi " (cfr. le autorevoli ragioni di Pagliaro, Ulisse 163 n. 1, 618-619), sia in quello figurato di " dilapidare ", riferito alle ricchezze male amministrate. Per Benvenuto " est vulgare lombardum ", per il Landino si tratta di voce aretina e per il Vellutello " vien da burella, la qual in lingua lombarda è una palla di legno che usano ad alcuni giuochi e soglionla legare a le parti di dietro de la scimmia, a ciò che tirandosela dietro non possa fuggire: onde è nato un suo proverbio, quando voglion significare che due persone si seguono et vanno sempre l'una con l'altra, che dove va la scimmia va ancora la burella. Adunque, sì come la burella burla di mano di chi la lascia andare, così fanno... le facultà di mano del prodigo, e tanto viene a dire ‛ perché burli quanto perché getti via e spendi male? ' ".
Per l'origine della voce il Parodi cita esempi toscani che però non lo persuadono (uno di A. Pucci Centiloquio 76 26 4 " parole più oltre non burlo "; un altro nella Lettera del Prete Ianni, cod. Maruc. 6 155 41 " Ci corre [per un deserto] cinque fiumi di polvere secca... e quando lo vento dà per questi fiumi, burla di questa polvere di fuori "; un terzo dalle Cacce pubblicate dal Carducci, la settima: " Bracchi e bracchi chiamando.... Burla qui, Tevarin fiù " ); cita inoltre esempi marchigiani dagli Statuti anconitani del Mare, del Terzenale e della Dogana, e risale quindi al provenzale burlar, " spendere largamente ". Il Toja (in " Studi d. " XLII [1965] 235 ss.) avanza l'ipotesi che b. provenga dall'area provenzale.
Bibl. - Parodi, Lingua 278, 347-348.