Duera, Buoso da
, Duera o Doara (ovvero Dovera o Dovara), era il casato cui appartenne Buoso, signore di Soncino e, dal 1247, quale capo della fazione ghibellina, consignore di Cremona insieme al marchese Uberto Pallavicini. Prima amico, poi avversario di Ezzelino da Romano, passò ai guelfi nel 1259 e poi fu di nuovo fautore di Manfredi, che lo finanziò nel 1265 contro Carlo d'Angiò. Senonché, secondo il Villani (VII 4), fece in modo che l'esercito ghibellino, comandato dal Pallavicini, " non fosse al contasto, al passo, come erano ordinati " (Anonimo), al momento in cui bisognava impedire il passaggio dell'Oglio all'esercito angioino. Stando al cronista francese Francesco Pipino (in Muratori), Buoso spese in altro modo i denari avuti per reclutare soldati; stando all'opinione raccolta da D., egli fu corrotto dai Francesi: " nam uxor Caroli venienscum Guidone de Monforte portabat secum magnam pecuniam, cum qua venenavit avaram mentem Bosii " (Benvenuto). Dopo la battaglia di Benevento fu cacciato da Cremona, nella quale ritornò nel 1282 per divenire prigioniero dei guelfi.
D. lo condanna nell'Antenora fra i traditori della patria o della parte, e immagina che Bocca degli Abati, per punirlo di avere rivelato al poeta il suo nome, lo presenti insieme con altri compagni di pena, come chi ‛ piange ' nella ghiaccia di Cocito l'argento de' Franceschi (If XXXII 103-117), cioè il tradimento della sua parte per il denaro avuto da Carlo d'Angiò o da qualche suo emissario (i più dei commentatori fanno il nome di Guido di Monforte: cfr. Benvenuto).
Anche se concepito come strumentale o complementare nei confronti della più potente e scoperta figura di Bocca, Buoso è considerato ormai un personaggio non secondario del grandioso affresco in cui D. ha collocato i traditori. È stato valorizzato sia per la condizione psicologico-poetica comune a tutti i peccatori del Cocito, " la cupa violenza della vita interiore " (Chiari); l'" iroso cruccio che crea spietati ma vivissimi rilievi " (Grabher), sia per la sua esemplarità di un certo tipo di tradimento di parte, che provoca l'" alto disdegno " politico e morale del poeta e con esso il suo vigoroso disegno narrativo; sia per la mobilità scenica prodotta dal suo intervento nello sconcertante drammatico giuoco dei traditori che si tradiscono e si smascherano a vicenda (Pézard).
Bibl. - L.A. Muratori, Rer. Ital. Script. IX 709; A. Chiappelli, I primi traditori nel Cocito dantesco, in " Rivista d'Italia " luglio 1902, 51-71; D. Mantovani, Il c. XXXII dell'Inferno, Firenze 1907; B. Barbadoro, Il c. XXXII dell'Inferno, ibid 1931; A. Chiari, Letture dantesche, ibid 1939, 180-182, 191-192; C. Grabher, Il c. XXXII dell'Inferno, ibid 1940 (rist. in Lett. dant. 611-625); A. Pézard, Le chant des traîtres (Enfer, XXXII), in " Bull. Société d'Etudes dant. du C.U.M. " VIII (1959), ora in Letture dell'Inferno, Milano 1963, 343-396; G. Varanini, Il c. XXXII, in Lect. Scaligera I 1129-1155.