BUONO di Bonaccolto
Fiorentino d'origine, appartiene a quella cerchia di maestri marmorari, attivi nella seconda metà del sec. XIII in Toscana, che continuano in tono minore forme dell'architettura romanica del secolo precedente, pur mostrandosi sensibili in maniera episodica a spunti della nascente arte gotica italiana. Si posseggono di lui notizie documentarie dal 1260 al 1272, per ora esclusivamente pistoiesi.
Nell'ambito della storiografia artistica, il Vasari per primo lo citò nella seconda ediz. (1568) delle Vite (Vita d'Arnolfo di Lapo), dicendo di non saperne "né la patria né il cognome" e attribuendogli un lungo catalogo di opere a Ravenna, a Napoli, a Venezia, a Pistoia (costruzione della chiesa di S. Andrea e scultura dell'architrave della porta maggiore, su cui lo storiografo avrebbe però letto la data 1166), a Firenze (disegno per l'ingrandimento di S. Maria Maggiore), ad Arezzo (palazzo dei Signori).
Un primo fondamentale ridimensionamento dell'attività e dell'epoca in cui visse B. fu compiuto nel 1810 dal Ciampi, storiografo pistoiese e cultore di studi locali, il quale provvide, in base a documenti da lui reperiti, a postdatarne di un secolo l'attività, fornendone notizie dal 1265 al 1270, il patronimico e la patria. Pur non discostandosi sostanzialmente dal giudizio vasariano, secondo cui B. sarebbe stato un continuatore della "maniera de' Goti", indicò l'errore di lettura compiuto dal Vasari relativamente all'epigrafe scolpita sull'architrave della porta maggiore della chiesa di S. Andrea a Pistoia, dalla quale in realtà risultava che non un "magister Bonus", ma un "Gruamons magister bonus" insieme con "Adeodatus frater eius" erano gli autori del solo architrave. II Ciampi documentava inoltre che maestro Buono di Bonaccolto lavorava nel 1265 alla volta della cappella di S. Iacopo nel duomo di Pistoia, nel 1266 edificava la chiesa di S. Maria Nuova "in fondo al corso", nel 1270 costruiva la chiesa di S. Salvatore, sempre a Pistoia. Faceva l'ipotesi infine che, nei restauri compiuti nel 1263 alla facciata della chiesa pistoiese di S. Bartolomeo, fosse probabile un intervento di B., il quale avrebbe potuto essere anche l'autore dell'architrave scolpito sulla porta maggiore di quella chiesa. La critica recente ha dimostrato infondata quest'ultima ipotesi del Ciampi (v. R. Salvini, La scultura romanica pistoiese, in Atti del I Conv. internaz. di studimedioevali di storia e d'arte. "Il Romanico pistoiese nei suoirapporti con l'arte romanicadell'Occidente", Pistoia 1966, p. 173).
Nel 1906 A. Venturi servendosi in parte di comunicazioni di P. Bacci, dedicava a B. poche righe, prendendolo soprattutto in considerazione come scultore e avvicinando le mensolette scolpite con testine ridenti, poste sotto la cornice dell'abside di S. Maria Nuova "in fondo al corso" di Pistoia, a lui attribuite, alle testine dei capitelli del campanile di Badia a Firenze (oggi nel Museo naz. del Bargello), per le quali recentemente è stato fatto il nome di Arnolfo. Il Venturi inoltre includerebbe nel catalogo delle opere di B. scultore, in una fase tarda della sua attività, anche un frammentario gruppo di Cavalieri che fanno pace tra loro, nella coll. Franchetti a Firenze (fig. 105).
Nel 1910 P. Bacci, le cui ricerche già erano state annunciate dal Venturi, pubblicava uno studio dedicato a B., corredato da nuovi documenti, dove riprendeva in esame quanto fino ad allora era noto e inseriva per la prima volta l'attività di questo maestro in un preciso contesto storico-artistico. La produzione pistoiese di B. non soltanto risultava estesa ulteriormente nel tempo (1260-1272), ma veniva delineata nell'ambiente di quelle numerose maestranze lombarde, pisane, fiorentine che nella seconda metà del sec. XIII operavano a Pistoia contemporaneamente e, pur mantenendosi attardate in schemi usuali di certo romanico minore di ambito periferico, già a partire dagli anni intorno al 1270 erano in contatto con l'atélier innovatore di Nicola e Giovanni Pisano. Si aggiungevano ai momenti della produttività già nota di B., e meglio delineati nell'ambito di quel tipo di lavoro struttivo dove non un solo maestro si distingueva, ma piuttosto operava la fisionomia corale della maestranza, gli interventi di lui nel novembre-dicembre del 1260 nella fattura dei gradini di marmo per l'altare di S. Maria, allora esistente in testa alla nave sinistra del duomo di Pistoia. Egli, insieme con altri maestri fiorentini, Cenni e Uliviero, ultimava in quel tempo tale lavoro, iniziato prima del giugno di quell'anno da Luca, o Lugano, comacino, discepolo di Guido da Como, da Schiatta da Firenze e da Uliviero. Nel maggio 1265 B. riattava la colonnetta e il leggio dell'ambone allora esistente nel duomo di Pistoia, con maestro Uliviero, e un manovale; nell'ottobre, insieme con un discepolo, compiva lavori di restauro di lieve entità alla volta della cappella di S. Iacopo nello stesso duomo. Contemporaneamente, come già noto, lavorava alle chiese di S. Maria Nuova e di S. Salvatore.
Le ultime notizie documentarie mostravano il B. attivo nel luglio-agosto del 1272 a rifare, adornare e rivestire di nuovi marmi la porta maggiore del duomo di Pistoia, insieme con i maestri Martellozzo e Marchesino di Dato.
Lo studio del Bacci resta un punto di riferimento fondamentale per tutti quei critici che in seguito si sono occupati dell'argomento, i quali, del resto, non si discostano sostanzialmente dal suo giudizio su questi maestri attivi in provincia nella seconda metà del sec. XIII: "Sono l'ultima manifestazione dell'arte romanica, influenzata da Pisa e da Lucca, ma che dai caratteri pisani e lucchesi si diparte per una schietta semplicità di ideare e per una particolare gentilezza di eseguire".
Posteriormente il Salmi (L'arch. romamanica in Toscana) ribadiva, per la produzione architettonica di B., il sostanziale ritmo pisano-lucchese e, per la sua attività scultorea (La scultura...), additava la "vivezza" delle testine poste sotto il cornicione dell'abside di S. Maria Nuova, la "nervosa ispirazione pisana" nelle teste angolari dei capitelli del S. Salvatore, animate di "nuovo sentimento", la direzione ancora una volta pisana, già pregotica, del'architrave della porta maggiore del duomo di Pistoia, fiorito di grandi margherite. Ultimamente il Marchini si mostra nella scia di questa dimensione critica, sia pure con sfumature peggiorative, dato che inserisce maestro B., caratterizzato da una aspirazione a un classicismo fortemente in ritardo, in quel fenomeno involutivo che contraddistinguerebbe l'arte pistoiese fin dall'aprirsi del secolo XIII.
Dal momento che B. non ha una personalità facilmente distinguibile nell'ambito delle maestranze con le quali sappiamo che egli lavorò, una revisione critica dovrebbe fondarsi non tanto su categorie estetiche, quanto piuttosto su criteri più dichiaratamente storico-culturali.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite..., a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, II (testo), Firenze 1967, pp. 47 s.; S. Ciampi, Notizie inedite..., Firenze 1810, pp. 24, 37-39, 52; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IV, Milano 1906, pp. 156 s.; P. Bacci, Documenti toscani per la storia dell'arte, I, Firenze 1910, pp. 39-71; Id., in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, Leipzig 1911, p. 231; M. Salmi, L'architettura romanica in Toscana, Milano-Roma 1928, pp. 48 n. 42, 49 n. 43; Id., La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, pp. 57 s.; P. Toesca, Il Medioevo, II, Torino 1965, p. 578 n. 50; G. Marchini, La cattedrale di Pistoia, in Atti del I Convegno intern. di studi medioevali di storia e d'arte. "Il Romanico pistoiese nei suoi rapporti con l'arte romanica dell'Occidente"(1964), Pistoia 1966, p. 29; V. Melani, Chiesa di S. Salvatore, in Il patrimonio artistico di Pistoia e del suo territorio (catal.), Pistoia 1967, fasc. 2, pp. 30 s.; N. Rauty, Chiesa di S. Maria Nuova,ibid., Pistoia 1968, fasc. 4, pp. 133 s.