Buondelmonti, Buondelmonte
, Nobile cavaliere della famiglia fiorentina dei B., è considerato l'involontaria causa iniziale della lotta delle fazioni in Firenze e delle discordie che videro per molti decenni la città e tutta la Toscana lacerate dalle guerre civili fra guelfi e ghibellini. D. infatti fa risalire tutti i guai di Firenze a Buondelmonte, e con le parole di Cacciaguida depreca il disonore portato alla casa Amidei di che nacque il vostro fleto; rivolgendosi quindi direttamente al colpevole esclama O Buondelmonte, quanto mal fuggisti / le nozze süe per li altrui conforti! concludendo poi con un'invettiva, quasi rimpiangendo la mancata morte di Buondelmonte che avrebbe risparmiato tanti lutti: Molti sarebbero lieti, che son tristi, / se Dio t'avesse conceduto ad Ema / la prima volta ch'a città venisti (Pd XVI 136, 140-144).
9uest'ultimo passo è stato variamente interpretato, in quanto il suo primo significato sarebbe che Buondelmonte non fosse nato a Firenze, anzi fosse il primo della sua famiglia a essere inurbato, ma questo contrasta con le notizie in nostro possesso che vogliono i B. nella città già da un secolo prima della nascita del B. in questione. Benvenuto infatti osserva: " non sequuta fuisset divisio et destructio civitatis, si antiquus tuus, quando primo veniebat ad habitandum civitatem, fuisset suffocatus in flumine Ema ", mentre il Buti, non scindendo i due personaggi, come infatti richiederebbe la logica della terzina, risolve: " Benché lo casato di Buondelmonte fusse già dinanzi in Firenze, molti vi erano rimasti come cattani e gentili uomini nel contado, dei quali fu questo messer Buondelmonte del quale è detto sopra ". Anche alcuni moderni seguono questa interpretazione, per quanto non attendibile; infatti il castello di Montebuoni, luogo di origine dei B. in cui dovrebbe esser nato il personaggio in questione, fu demolito dai Fiorentini nel 1135 (23 ottobre) molto prima che B. nascesse. Pare quindi più verisimile la chiosa di Benvenuto, e comunque l'esclamazione deprecativa di D. investe non il personaggio particolare, ma nell'insieme tutta la famiglia, impersonata dal membro che per primo è venuto in Firenze.
Gli avvenimenti che portarono a tutte le discordie deprecate da D. ebbero origine da una lite conviviale fra Buondelmonte e Oddo Arrigo dei Fifanti, per comporre la quale fu stabilito che il B. avrebbe sposato la nipote del suo avversario e figlia di Lambertuccio Amidei. Questa soluzione, che trovò concordi i Fifanti, gli Amidei e i loro amici e consorti Uberti, Gangalandi, e Lamberti, si risolse in un'ingiuria maggiore; infatti Buondelmonte, spinto da Gualdrada, moglie di Forese Donati, ad abbandonare la promessa sposa per prendere in matrimonio invece la di lei figlia, il giorno fissato per le nozze con l'Amidei non si presentò alla chiesa di S. Stefano al Ponte, dove era atteso dalla figlia di Lambertuccio e da tutto il suo seguito, ma si recò invece al palazzo dei Donati per giurar fede alla figlia di Forese. Questo affronto venne considerato, dagli Amidei e dai loro consorti, non solo un'ingiuria personale per Lambertuccio Pandolfini, ma anche segno di aperta ostilità per tutto il gruppo, che già da alcuni anni aveva allacciato rapporti con i rappresentanti di Federico di Svevia, schierandosi dalla sua parte contro l'imperatore Ottone IV. Fu deciso così di procedere a una vendetta: il giorno di Pasqua dell'anno 1216 il gruppo dei congiurati, capeggiati da Schiatta degli Uberti, da Mosca Lamberti (che, posto da D. in Inferno fra i seminatori di discordia, ricorda la fatidica frase capo ha cosa fatta, con cui mise fine alle incertezze dei congiurati sulla pena da infliggere al B., frase che fu mal seme per la gente tosca [XXVIII 107-108]), dal conte di Gangalandi, da Lambertuccio Pandolfini degli Amidei e da Oddo Fifanti, attesero il passaggio di Buondelmonte che, accompagnato dalla giovane sposa, si recava in piazza del Duomo, per assalirlo e ucciderlo a colpi di mazza e di pugnale. Poiché il governo cittadino, che avrebbe dovuto perseguire i colpevoli di tale tragico episodio, era fedele all'imperatore Ottone e quindi di " Parte del guelfo ", essi, per sottrarsi alle sanzioni, elevarono le discordie private a questioni d'interesse generale, gettandosi nelle lotte politiche mettendosi dalla parte dello Svevo e prendendo il nome di Parte del ghibellino (per più circostanziate notizie v. GUELFI e GHIBELLINI).
Bibl. - Il racconto dell'uccisione di B. è sia in G. Villani, Cronica V 39, VII 56; che in D. Compagni Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, 12; cfr. inoltre Davidsohn, Storia I 1018, 1115, II 161, 68, 343; II 11 143, III 268.