MONTEFELTRO, Buonconte di
MONTEFELTRO, Buonconte di. – Bonuscomes, da cui Buonconte, è il secondo personaggio documentato del lignaggio dei conti di Montefeltro. La sua data di nascita si colloca, per congettura, intorno al 1170; la sua prima attestazione, ancora indiretta, risale però al 1203 circa, quando abbiamo il ricordo, in un atto, dei filii Montisferetrani. Buonconte era infatti figlio di Montefeltrano, forse fratello di Rolando vescovo di Montefeltro (attestato tra il 1222 e il 1227) e certamente di Taddeo (1180?-1253 ca.), con il quale mantenne indivisi fino alla morte i diritti di giurisdizione, una gran parte del patrimonio e l’indirizzo politico.
Ugolini (1859), sulla scorta di autori precedenti, lo confonde con un personaggio che probabilmente è uno zio: Ugolino di Buonconte, attestato al seguito dell’imperatore nell’ultimo quarto del secolo XII.
Buonconte e Taddeo, le cui azioni sono ben documentate dal secondo decennio del secolo XIII, proseguirono con determinazione l’azione politica già intrapresa dal padre, giungendo a costruire, negli anni Trenta del secolo, un dominio transappenninico di estensione considerevole. I maggiori elementi di forza della casa di Montefeltro, rappresentata dai due fratelli e dal vescovo Ugolino, furono sostanzialmente quattro: il rapporto diretto con l’imperatore, la capacità di entrare in relazione stretta e da una forte posizione con le due principali città dell’area, cioè Rimini e Città di Castello, la possibilità di controllare alcune decine di castelli, in accordo con un ampio gruppo di consorti e di alleati, e infine la capacità di disporre delle dignità vescovili e capitolari nella diocesi di Montefeltro.
È probabile che sia Buonconte sia Taddeo fossero stati riconosciuti conti di Montefeltro da Ottone IV verso il 1210, dopo che l’imperatore aveva confermato i possessi della Chiesa e aveva preso sotto la protezione imperiale la confinante Massa Trabaria (22 marzo e 7 ottobre 1209; cfr. Theiner, 1861-62, nn. 54 s.). Così, dal 1213 si ha testimonianza dell’esistenza del «Forum Comitis», situato presso Pietrarubbia (L. Donati, Abbazie del Sasso e del Mutino. Regesti delle pergamene, San Leo 2002, nn. 20-22). È altresì possibile che i due personaggi non fossero ancora propriamente conti di Montefeltro, poiché essi non vengono definiti come tali fino al 1226. Certamente non avevano il controllo della città di San Leo, come si evince chiaramente da un elenco dei loro domini datato al 1228.
Infatti Buonconte compare per la prima volta in un atto imperiale rilasciato a Chiusi il 20 gennaio 1210, significativamente interveniente al privilegio con cui Ottone IV concedeva ad Azzo d’este la Marca d’Ancona, ed è di nuovo presente in un atto dell’11 ottobre 1210; in entrambi i casi, la locuzione con la quale viene identificato è ambigua, poiché egli non viene chiamato «comes Montisferetri», bensì «Bonuscomes de Montefeltrano», notificando in tal modo la propria paternità e non il possesso eventuale del titolo di conte di Montefeltro.
Molto probabilmente i figli di Montefeltrano seguirono il partito di Ottone IV anche dopo la sconfitta di Bouvines (1214), che lo aveva visto soccombere di fronte a Federico di Svevia. Questi, pochi mesi dopo essere stato incoronato imperatore (1220), confermò il comitatus di Montefeltro all’arcivescovo di Ravenna e, negli stessi giorni, creò conte il vescovo feretrano Giovanni. Se dunque Buonconte e Taddeo erano stati fatti conti da Ottone IV, certamente Federico non li riconobbe come tali, ma restituì la giurisdizione a quello stesso organo di governo che in passato aveva esercitato le funzioni pubbliche sul territorio, e che negli ultimi decenni aveva visto scemare notevolmente il proprio potere a vantaggio di Montefeltrano, dei suoi figli e congiunti. Tuttavia, il rapporto diretto col nuovo imperatore fu presto stabilito: verso il 1222 Rolando, come si è detto forse fratello di Buonconte e di Taddeo, divenne vescovo di Montefeltro (e dunque anche conte del comitatus); nel febbraio 1223 troviamo il comes Taddeus de Montefeltrano (che pertanto è ancora nominato come «figlio di Montefeltrano» e non come conte di Montefeltro) interveniente in un diploma con il quale l’imperatore prese sotto la sua protezione la chiesa di S. Maria in Portu di Ravenna. Nel 1226 Buonconte, che forse fino a quella data si era tenuto discosto, rese omaggio all’imperatore, partecipò alla dieta di Ravenna e militò nell’esercito imperiale cum sua forcia («licet invitus», commenta l’autore del Chronicon Faventinum, p. 154), alternandosi col fratello nel corso di vari spostamenti in Emilia e Lombardia. A quell’anno risale probabilmente la conferma (o l’attribuzione definitiva) del titolo di conte di Montefeltro e certamente il conferimento del nuovo titolo di conte di Urbino, concesso dall’imperatore in accordo con il papa. Taddeo compare per la prima volta designato come «conte di Urbino» l’11 giugno 1226 (Böhmer, V, 1, 1881-82, n. 1629), mentre il titolo è testimoniato per la prima volta appaiato e riferito a entrambi i fratelli (comites Montis Feretri et Orbini) in un diploma del 13 gennaio 1227 (ibid., n. 1691). Divenendo anche Ugolino, figlio di Buonconte, vescovo di Montefeltro (dal 1228 al 1252), il gruppo parentale ebbe modo di consolidare ulteriormente il proprio dominio: di fatto, Buonconte e Taddeo erano conti di Montefeltro pur senza controllare il capoluogo San Leo, ma in esso risiedeva quel loro strettissimo congiunto che, in quanto vescovo, deteneva la giurisdizione di questa città e di alcuni altri importanti castelli. La prolungata sinergia tra il dominato comitale e la carica vescovile va considerata come uno tra i principali elementi del rafforzamento del lignaggio nel corso dei decenni centrali del secolo XIII.
Buonconte e Taddeo rappresentavano per l’imperatore due tra i vassalli più potenti dell’area posta tra la Romagna, le Marche e l’Umbria settentrionali ed erano i capi riconosciuti del partito filoimperiale. La loro fedeltà rimase tale anche dopo il deterioramento dei rapporti con il pontefice e l’inizio delle ostilità aperte. Di converso, appare evidente il diretto sostegno imperiale affinché la loro dominazione divenisse più salda. Questo si evince, oltre che dall’attribuzione del titolo di conte di Urbino, dal ruolo svolto dal rettore imperiale di Romagna Carnelevario per far sì che quella città, dopo una lunga fase di contrasti e complessi negoziati, si sottomettesse ai suoi nuovi signori (1233- 34). Negli anni 1235-36, a fianco del conte di Romagna e del suo vicario, Buonconte soccorse Ravenna contro la città di Faenza, che aderiva alla Lega lombarda. Tre anni dopo, Federico II, disceso in Umbria, gli commise l’incarico di promuovere una generale pacificazione della regione (soprattutto tra Città di Castello e Gubbio), sotto l’egida imperiale: l’atto fu ratificato a Foligno il 9 febbraio 1240. Lo stesso imperatore favorì l’impadronirsi di Città di Castello da parte di Buonconte: un processo di insignorimento iniziato al principio degli anni Trenta attraverso l’iterata nomina a podestà (nel 1240 per esplicita nomina imperiale), che però non giunse a compimento a causa della morte di Montefeltro. Infine, il 7 dicembre di quell’anno, i due fratelli erano presenti nelle fila dell’esercito imperiale che assediava Faenza.
Il nesso diretto con l’Impero si mantenne anche dopo la morte di Buonconte: Taddeo, che morì intorno al 1253, rimasto a capo della consorteria insieme con il nipote Montefeltrano, è attestato a fianco di Federico II nel 1243, mentre nel 1245 era podestà di Rimini per l’Impero e il 26 giugno 1246 fu scomunicato da Innocenzo IV. Dopo la vittoria dei parmensi sull’esercito imperiale (18 febbraio 1248), il partito federiciano si sfaldò. Il 16 aprile 1248, con un colpo di mano, Rimini fu sottratta agli imperiali e conquistata da Taddeo di Montefeltro, Malatesta da Verucchio, Ugo e Rainerio conti di Carpegna e Ramberto di Giovanni Malatesta, i quali tutti ricevettero, di lì a poco, la protezione apostolica (11 gennaio 1249). La consorteria dei Montefeltro, ormai spaccata in due, divise i propri beni e le giurisdizioni: come scrive il cronista Marco Battagli da Rimini, «in vacatione imperii domus ista letaliter est divisa» (p. 35). I due rami si contrapposero per decenni: da una parte il ramo guelfo dei conti di Pietrarubbia, originato da Taddeo, dall’altro il ramo ghibellino rappresentato dai figli di Buonconte.
L’espansione dei conti di Montefeltro si indirizzò, di qua e di là dell’Appennino, verso il contado di Rimini, il contado di Urbino, la Massa Trabaria e l’alta valle del Tevere. Già nel 1207, Buonconte e il fratello Taddeo si erano ritrovati al comando di milizie contro Ravenna e in aiuto di Rimini, città di provata fede imperiale. Dopo la pace generale di Santa Cristina (1° settembre 1216), stipulata da un lato da Rimini e Bologna con i loro aderenti, tra i quali figurano i comites Montisferetrani, il successivo 2 dicembre Buonconte rilasciò quietanza per sé e per suo fratello a Oddone di Mandello, podestà di Rimini, per il compenso elargito agli uomini che aveva comandato in servizio del Comune. Dall’elenco dei nomi si evince che i conti erano in grado di reclutare e comandare un buon numero di milites (46) e di pedites (circa 225), provenienti da un’area territoriale che andava dalle Marche settentrionali alla Toscana orientale, ma soprattutto dal Montefeltro, dalla Massa Trabaria e dall’alta valle del Tevere. I fratelli sono ricordati come comandanti di truppe per i riminesi, o viceversa aiutati da questi ultimi, più volte anche nel 1218, nel 1227 e negli anni Trenta del Duecento.
Del 1228 è l’atto di concordia e di cittadinanza contratto dai Montefeltro e dai Carpegna col Comune di Rimini, atto dal quale si ricava l’elenco dei castelli feretrani – una trentina – detenuti dalle due famiglie in quel periodo.
I Montefeltro, in particolare, disponevano di castelli dislocati in due nuclei territoriali. Il primo partiva dal lato orientale del monte Carpegna e da lì degradava lungo la Valconca, la valle dell’Apsa e la valle del Mutino. Il secondo si situava nel territorio di S. Agata Feltria e nel Montefeltro romagnolo. Così, i conti di Montefeltro premevano, con il primo nucleo, sulla Valfoglia e sul contado di Urbino; con il secondo nucleo insistevano sulla Romagna e sul contado di Rimini.
Il rapporto con Città di Castello, dopo essere stato teso per alcuni decenni, si concretizzò in termini di alleanza a partire dal principio degli anni Trenta del secolo, appena la città tornò di fede imperiale, e nel periodo in cui, riuscendo a conquistare definitivamente Urbino e allargando la loro sfera di dominio alla Massa Trabaria e all’alta Valle del Tevere, il raggio di azione dei due conti si ampliò ulteriormente. Sono ricordati prima un patto di alleanza e i giuramenti di cittadinanza con Città di Castello (1230-31) e subito dopo l’iterata nomina a podestà di entrambi i fratelli e dei loro più stretti congiunti nel corso di tutto il quarto decennio del secolo. Nel 1232, Taddeo e Buonconte, insieme con altri signori, sottomisero al Comune di Città di Castello il castello di Peglio, situato in un’area strategica della Massa Trabaria. Nel 1234, il loro ambito politico si era talmente ingrandito, che i conti di Montefeltro strinsero un patto con il Comune di Orvieto, concedendo agli orvietani libero transito, guide e scorta nei loro territori, in cambio della liberazione di due prigionieri di guerra del distretto tifernate.
I documentati rapporti con i maggiori lignaggi del Montefeltro, della Val Tiberina e della Massa Trabaria (soprattutto i conti di Montedoglio, i conti di Carpegna, i Brancaleoni, i Faggiolani, i Malatesta, i Ramberti e i Tiberti), permette di cogliere un terzo elemento di forza nella politica dei due fratelli: l’esistenza di una solida rete di alleanze con i rappresentanti delle maggiori aristocrazie del territorio, lignaggi con cui i Montefeltro erano strettamente imparentati, che probabilmente (almeno nei casi dei Carpegna, Faggiola e Malatesta) derivavano da un’origine comune, e che agirono spesso in sintonia di interessi fino agli anni Cinquanta del Duecento.
Benché fossero anche cittadini riminesi e tifernati, e dunque validi sostenitori dei regimi filoimperiali di quei due Comuni, in realtà, Buonconte e Taddeo erano talmente forti e collegati con l’Impero, che la loro politica fu largamente indipendente e sempre condotta anche a proprio vantaggio. Sfruttando la posizione geografica dei loro territori, montani e periferici, ma per queste stesse ragioni in grado di fornire cospicue risorse in uomini, cavalli, approvvigionamenti e difesa, la loro linea di azione si sovrappose, nei fatti, a quella delle due città, la condizionò per decenni nei termini dell’esercizio di una vera e propria egemonia, e in definitiva impedì tanto a Rimini che a Città di Castello di concludere il processo di espansione dei rispettivi distretti nell’area delle Marche settentrionali. I due conti infatti instaurarono un potere signorile che permise loro di controllare, dall’entroterra, gli sbocchi di numerose vallate appenniniche verso nord, est e Ovest, contendendo Urbino e il Montefeltro a Rimini, e la Massa Trabaria a Città di Castello. In particolare, sarà proprio il dominio su Urbino e sul suo contado, inizialmente ottenuto con l’aiuto efficace dei riminesi (che fin dal 1202 avevano posto la città nella loro orbita di influenza) a mutare il quadro geopolitico di riferimento.
Buonconte era ancora vivo il 15 giugno 1241, essendo allora (e da oltre un anno) podestà di Città di Castello. Morì nel secondo semestre del 1241 o durante i primi mesi dell’anno successivo.
Ebbe almeno cinque figli maschi: Montefeltrano (1195?-1253), Cavalca, Ugolino vescovo di Montefeltro (1197?-1252; su di lui: A. Bartolini, I vescovi del Montefeltro, Sogliano al Rubicone 1976, pp. 37-40), Gigliolo e infine Taddeo, ricordato da Salimbene de Adam per aver fatto parte dell’ordine dei frati minori. Per un giudizio complessivo sull’operato di Buonconte e su quello del fratello Taddeo, si può adottare il punto di vista di Gino Franceschini (1970, p. 27): «Ciò che conferisce un particolare carattere all’opera dei Montefeltro in quegli anni, è un mirabile slancio e uno spirito d’iniziativa, che li ha portati dalla solitudine dei loro monti alla creazione di una estesa signoria, che abbraccia due vaste regioni ecclesiastiche ».
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Tommaso Di Carpegna Falconieri