BUONACCORSI (Bonaccorsi), Pietro, detto Perin (o Pierin) del Vaga
Figlio di Giovanni, nacque a Firenze nel 1501. La fonte più attendibile, per la sua biografia, è il Vasari il quale lo conobbe personalmente (Vasari, VI, p. 447): a luidobbiamo le prime notizie di un precoce alunnato presso Andrea de' Ceri e poi presso Ridolfo del Ghirlandaio, ove il B. ebbe a compagno Toto del Nunziata, emigrato poi in Inghilterra, con il quale sembra si esercitasse a disegnare sul cartone di Michelangelo per la Battaglia di Cascina.
La venuta a Roma, determinante per la carriera e la formazione stilistica del B., avvenne secondo il Vasari per merito del Vaga, pittore fiorentino altrimenti ignoto, il quale, dopo aver fatto lavorare il giovane con sé a Tuscania, lo introdusse nell'ambiente romano giovandosi per ciò delle proprie conoscenze. E il B. assunse così l'appellativo di "del Vaga" con il quale doveva essere da lì innanzi conosciuto.
Di una prima attività come decoratore di facciate di case, secondo la voga del tempo, non resta traccia se non nelle parole del biografo, mentre della partecipazione alla Loggia di Raffaello, tra i numerosi allievi di questo che ivi lavorarono, si può individuare una concreta traccia in alcune delle Storiedi Giosuè e di David, rispettivamente sulla decima e undecima volticella. Alla data 1519-19 (Golzio, 1936) il B. era quindi già entrato nella cerchia raffaellesca, e con una posizione di non secondario rilievo se gli veniva affidata la serie dei dodici monocromi del basamento della loggia, oggi noti solo attraverso le incisioni secentesche di Pietro Santo Bartoli. Delle esperienze allora condotte sulle opere tarde di Raffaello, quali i cartoni per gli arazzi della Sistina o le Sibille in S. Maria della Pace, il B. dà prova negli affreschi del salone di palazzo Baldassini in via delle Coppelle, eseguiti prima del luglio 1522 (De Campos, 1957) e solo parzialmente conservati (due di essi, staccati nel 1830, si trovano nei depositi degli Uffizi).
La medesima cultura si riflette nel disegno (Londra, British Museum) per il perduto affresco con i SS.Giuseppe e Filippo sulla parete di una cappella in S. Marcello al Corso, mentre elementi desunti da Michelangelo e da Sebastiano del Piombo si inseriscono nella Pietà affrescata in S. Stefano del Cacco e in quell'affresco con la Deposizione in S. Maria sopra Minerva che, danneggiato dall'alluvione dell'ottobre 1530 (Vasari), sopravvive in un disegno del British Museum e nei due frammenti, a suo tempo distaccati, oggi a Hampton Court. Agli stessi anni appartenevano gli affreschi di una cappellina nel monastero delle monache di S. Anna presso S. Carlo ai Catinari (il monastero e la chiesa vennero demoliti nel 1887) e il dipinto del tabernacolo all'angolo tra via dei Coronari e il vicolo Domizio, la "immagine di Ponte" (Vasari) oggi gravemente manomessa.
L'attività del B., già assai intensa in questo primo soggiorno romano, venne bruscamente interrotta dalla pestilenza che si abbatté su Roma in due riprese, tra l'agosto e il dicembre del 1522 e tra il febbraio e il luglio del '23. Vuoi che la sua partenza per Firenze sia avvenuta al primo (Davidson, 1966), o al secondo infierire del morbo (Vasari), comunque fu causa dell'abbandono di commissioni importanti, quali la decorazione della volta della sala dei pontefici nell'appartamento Borgia in Vaticano e quella della cappella Pucci a Trinità dei Monti. Commissioni che riprenderà al ritorno a Roma, dopo un breve soggiorno fiorentino che gli diede occasione di venire a contatto con il rinnovato ambiente della "maniera"; almeno uno dei suoi maggiori esponenti, il Rosso, frequentava infatti gli stessi luoghi del B. (Vasari, VI, p. 9) e l'incontro non fu privo di conseguenze sullo sviluppo artistico del Buonaccorsi. Dell'attività svolta nei pochi mesi trascorsi a Firenze restano un disegno per la Storia dei diecimila martiri (Vienna, Albertina), commessa per il convento di Camaldoli, e un monocromo con il Passaggio del Mar Rosso (Firenze, coll. Uguccioni), dipinto per il suo ospite "ser Raffaello di Sandro, prete zoppo, cappellano di San Lorenzo" (Vasari, V, p. 607): due composizioni ove domina la cultura classicheggiante e romanista formatasi nella Loggia, anche se con una accezione di pungente linearismo e di ridotta spazialità di un gusto già di maniera.
Un riflesso di tale cultura figurativa si può individuare negli affreschi della volta, di due lunette e dell'arcone della cappella Pucci cui il B. certo attese al suo ritorno a Roma, avvenuto sullo scorcio del 1523 allorché a Roma si recava anche il Rosso fiorentino - di lì a poco attivo in S. Maria della Pace - al quale seguiva, nel 1524, il Parmigianino. Contatti con quest'ultimo dovettero avvenire nella Sala vaticana dei pontefici poiché Clemente VII proponeva al pittore di Parma la decorazione appunto delle pareti di quella sala (Vasari, V, p. 222), la cui volta era stata affidata al B. e a Giovanni da Udine probabilmente già al tempo di Leone X, ma senza che allora fosse stata portata a termine, se di essa si fa nuova menzione al tempo di Clemente VII (Vasari, VI, p. 559). Di una prosecuzione del lavoro della volta in quegli anni immediatamente successivi al 1523, sembra far fede del resto il girotondo di angeli al centro, che spicca per il suo estroso colorismo nei confronti del partimento di stucchi, ovati e tondi di più stretta osservanza raffaellesca dovuto certo a Giovanni da Udine. La decorazione della sala dei pontefici non venne portata a fine per quanto riguarda le pareti, e lo stesso accadde per la cappella Pucci (completata da Taddeo e Federico Zuccari circa quarant'anni dopo), a causa del sacco di Roma del 1527, che tra l'altro determinò la dispersione della cerchia di artisti che allora lavorava nella città. A tale disgraziato avvenimento si dovette anche l'interruzione del lavoro cui il B. attendeva sulla volta della cappella del Crocifisso in S. Marcello (ad un primo contratto del 1523, ne aveva fatto seguito un altro nel '25: Fiocco, 1913) dove aveva eseguito la Creazione di Eva e la coppia di Evangelisti Marco e Giovanni, quest'ultimo terminato poi da Daniele da Volterra (Vasari, VII, pp. 51 s.). La dichiarata ispirazione agli affreschi di Michelangelo nella Sistina va unita qui a spunti manieristici, ma ogni elemento viene rielaborato in cadenze eleganti, in legature armoniose che rimasero tipiche dell'arte del B. e caratterizzano la serie di disegni forniti a Iacopo Caraglio per le incisioni de Gli amori degli dei (una serie completa di tali incisioni è presso il Gabinetto nazionale delle stampe di Roma): un incarico, quest'ultimo, ricevuto dallo stampatore Baviera - il quale lo aveva precedentemente affidato al Rosso fiorentino (Vasari, V, p. 425) - subito dopo il sacco, durante il quale il B. aveva subito traversie culminanti con la prigionia. Con tale lavoro si conclude il primo periodo romano del pittore che partirà per Genova, destinata a divenire teatro della sua attività per circa un decennio.
A Genova il B. venne condotto da Niccolò Veneziano, famoso ricamatore al servizio del principe Andrea Doria, il quale gli procurò la grossa commissione di decorare atrio, scale, loggia e sale del piano nobile nel nuovo palazzo che il principe si era fatto costruire a Fassolo.
Scarsissime le date accertate storicamente del soggiorno genovese: a stare al Vasari (V, p. 612), l'arrivo del B. dovrebbe cadere agli inizi del 1528, e sappiamo poi che nel 1534 si recò da Genova a Pisa, mentre nel 1536 veniva annoverato tra i due "consoli dell'arte" genovesi (Grosso, 1915). Del tutto induttiva è inoltre la data del ritorno a Roma, che dovette avvenire non oltre il 1538, se Iacopino del Conte si giovò di un suo disegno per l'affresco della Predica del Battista nell'oratorio di S. Giovanni Decollato, che è datato appunto a quell'anno.
Nelle decorazioni di palazzo Doria, ove successe a Girolamo da Treviso, il B. profuse la sua cultura romanista: nell'atrio, gli spartimenti che incorniciano sulla volta episodi di storia romana e divinità classiche sono chiaramente memori del gusto acquisito nell'ambiente raffaellesco; e così nella loggia detta "degli Eroi" sulla cui parete si allineano personaggi di casa Doria; o nello stesso soffitto del salone, ove tuttavia al centro, nella monumentale Caduta dei giganti, si inseriscono non pochi validi spunti ispirati alla "maniera" fiorentina, nella intelaiatura compositiva raffaelleggiante. Ricordi della Loggia vaticana, ed una trasposizione pressoché puntuale della notissima incisione del Quos ego che Marcantonio Raimondi trasse da un disegno di stretta cerchia raffaellesca, caratterizzavano anche il perduto dipinto del Naufragio di Enea nella sala a sinistra della loggia (Ratti): la prima opera condotta dal B. nel palazzo e di cui resta traccia in un disegno al Louvre (n. 636).
Per la grossa impresa di palazzo Doria, il B. si avvalse di numerosi aiuti nell'esecuzione sia degli stucchi sia delle pitture: tra essi Luca Penni, fratello di Giovan Francesco e cognato del B. che nel 1525 ne aveva sposato la sorella Caterina; il Luzio Romano, che ritroveremo più tardi nell'impresa di castel Sant'Angelo; Prospero Fontana che si gioverà ancora di quelle esperienze circa due decenni più tardi, nella propria attività romana (Davidson, 1966).
Il soggiorno del B. era destinato a lasciare ampia traccia nell'ambiente pittorico genovese, e non solo in quegli artisti come i Semino e i Castello che svolsero la loro opera quali apparatori di ville e palazzi; ma in Luca Cambiaso, certo il maggiore e più originale esponente della pittura a Genova nel Cinquecento. Né egli limitò la propria attività genovese alla decorazione di palazzo Doria, poiché appartengono a quegli anni il polittico di S. Erasmo (ora nell'Accademia ligustica, Genova) ove la grazia squisita della lunetta rivela la maturazione stilistica del pittore; la pala per S. Francesco di Castelletto (ora nella chiesa di S. Giorgio a Bavari); la monocroma Sepoltura di Cristo in S. Maria della Consolazione; il mirabile polittico di Celle Ligure (chiesa di S. Michele) che rivela una avvenuta trasposizione in chiave di "maniera" delle esperienze fiorentine e romane; infine la pala Baciadonne - una Natività così denominata dal committente che l'aveva destinata alla propria cappella nella chiesa degli agostiniani a Bisagno - che è l'unica opera firmata dal B. a Genova e datata al 1534 la pala (oggi nella National Gallery di Washington) permette di fare il punto sul livello raggiunto dall'artista a quella data; un livello di personalissima rielaborazione di ogni elemento in termini di una sensibilità pittorica che si esprime con preziosità ed eleganze figurative. Caratteri che avrebbero probabilmente qualificato anche la decorazione della parete meridionale del transetto del duomo pisano, qualora tale opera fosse stata portata a fine.
Nella primavera del 1534 il B. partiva infatti da Genova per Pisa deciso a prendervi stabile dimora "piacendoli quella città" (Vasari, V, p. 617); e quivi progettò la pala per l'altare dei SS. Giovanni Battista e Giorgio (disegno nella Kunsthaus di Zurigo, n. 152) - che verrà poi commessa al Sogliani nel 1536 - e la decorazione della parete circostante, con S.Giorgio che uccide il drago e, probabilmente, S. Giovanni che battezza le turbe (disegno all'Albertina di Vienna, n. 122). Del progetto non restano che cinque figure di putti in un fregio che corre in alto, ed anche questi assai guasti. Il B. infatti non tenne fede al proprio impegno e già nel 1536 tornava a Genova (doc. del 4 luglio 1536, in Popham, 1945). Abbandonerà poi definitivamente Genova per Roma nel 1538, come si è già detto, e a Roma consumerà l'ultimo decennio della propria attività e della propria vita.
L'ultima attività romana fu intensissima e dedicata prevalentemente agli affreschi, ma non perciò vennero trascurati i quadri di devozione né l'artista disdegnò di fornire disegni per ricami o cristalli incisi.
Il primo lavoro di cui assunse la commissione dovette essere la decorazione della cappella Massimi a Trinità dei Monti, di cui Angelo Massimi era entrato in possesso nel 1537 (Oberhuber, 1966): sulle pareti, entro un partimento di stucchi, dovevano trovar posto alcune Storie di Cristo, gli stessi soggetti che il B. elaborò poi per i sei cristalli ordinatigli dal cardinal Farnese per due candelabri d'argento. Sappiamo che l'incisore Giovanni Bernardi, incaricato dell'incisione dei cristalli, si era recato a Venezia a tale scopo prima del luglio 1539 (Ronchini, 1867) e pertanto a quella data la decorazione della cappella doveva essere stata portata a fine.
Distrutta l'opera del B. intorno al 1857, di essa restano: un affresco staccato con la Resurrezione di Lazzaro (nel Victoria and Albert Museum di Londra: Gere, 1960) e alcuni disegni (Londra, British Museum e coll. Hugh Squire; Budapest, Museo nazionale); mentre noti sono anche disegni per i cristalli incisi dal Bernardi, dei quali cinque tuttora esistono, divisi tra il Tesoro di S. Pietro e il Museo d'Arte industriale di Copenaghen (Kris, 1928-29).
Nel 1539, 12 aprile, il B. stipula un nuovo contratto per il lavoro della cappella del Crocifisso in S. Marcello, lasciato interrotto nel 1527. La decorazione della volta era compiuta nel maggio del 1543 (Fiocco, 1913): a questi anni appartiene la coppia degli Evangelisti Matteo e Luca, di uno spiccato michelangiolismo, di cui il B. diede i disegni (Louvre, nn. 2814 e 2815) lasciandone l'esecuzione a Daniele da Volterra. Sono gli anni in cui il B. riprende una intensa attività in Vaticano quale pittore ufficiale del papa Paolo III Farnese: gli viene affidata la decorazione del basamento della Stanza della segnatura, alterato a causa dell'inserzione di un camino ivi fatto trasportare dal papa nel 1541; riceve pagamenti per stucchi su disegno di Michelangelo nella cappella Paolina nell'agosto del 1542 (L. Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1924, p. 755 n. 3: gli stucchi vennero distrutti da un incendio nel 1545); del novembre dello stesso anno sono i pagamenti (Ackermann, 1954) per il cartone dell'arazzo da appendere nella Sistina sotto l'affresco del Giudizio (la parte superstite del cartone è conservata nella Galleria Spada di Roma; un disegno agli Uffizi, n. 726 E); mentre è di poco più tardi il lavoro agli stucchi del cassettonato nella Sala regia (van Dam van Isselt, 1954-55).
Intorno al 1543 (De Rinaldis, 1923-24) il B. dovette fornire anche i disegni per i cristalli, incisi poi da Giovanni Bernardi (Vasari, V, p. 373), per la, preziosa cassetta del cardinale Alessandro Farnese conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli: disegni (Louvre, nn. 593 e 594; British Museum; Chatsworth) che, per il loro carattere di "modelli", si apparentano alla serie con otto Storie dei SS. Pietro e Paolo destinata ai ricamatori di un piviale per Paolo III (per tale serie, vedi Pouncey-Gere, 1962, e Davidson, 1966).
Il favore e la fama goduti dal B. in questi anni gli valsero la commissione per la decorazione delle sale dell'appartamento papale in castel Sant'Angelo, rinnovate da T. Crispi nel periodo tra il giugno 1542 e l'aprile 1545 nel quale fu castellano. Il primo documento a noi noto di pagamenti al B. risale al giugno 1545, allorché, cioè, al Crispi era succeduto come castellano Mario Ruffini, e si riferisce alla volta della Sala del Consiglio o Sala paolina; là dove il senese MarcoPino affrescherà quattro Storie di Alessandro (pagamenti in data 19 gennaio e marzo 1546: Bertolotti, 1878 e 1880). Quest'ultimo fu infatti uno degli aiuti (tra gli altri collaboratori storicamente accertati è il Luzio Romano, già attivo in castel Sant'Angelo prima dell'intervento del B.) dei quali il pittore si valse nell'impresa, che condusse avanti si può dire sino al giorno della sua morte - l'ultimo pagamento è del 16 ott. 1547 - senza tuttavia portarla a compimento. La presenza del B. si avverte indiscutibile negli affreschi sulle pareti della Sala paolina come nei fregi delle due contigue sale che, dal soggetto di tali fregi, assumono la denominazione di "sala di Amore e Psiche" e "sala di Perseo".
I disegni per la Sala paolina che ci sono pervenuti (coll. Gere di Londra; coll. Woodner e Metropolitan Museum di New York; Uffizi; Windsor), mentre testimoniano la paternità del B. per l'ideazione di quel complesso decorativo destinato ad orientare nel proprio senso le decorazioni di ambienti monumentali nelle quali a Roma si cimenteranno il Vasari e il Salviati, relegano la partecipazione di Pellegrino Tibaldi - che succederà al B. - alla probabile esecuzione dell'episodio di Alessandro che taglia il nodo gordiano, de La famiglia di Dario dinanzi ad Alessandro e di alcune parti del basamento: oltre che all'Arcangelo Michele, alla figura di Adriano e alla porta in trompe-l'oeil.
E ugualmente ai disegni conservatici (Albertina, Vienna; Louvre, n. 621; Chantilly; British Museum) si deve la conferma della presenza del B. nei fregi delle due sale attigue, anche se l'esecuzione poté venir affidata in parte ad aiuti.
Nella sua ultima impresa pittorica il B. tiene fede alla prima educazione romana - nel partimento delle storie della Sala paolina si è riconosciuto il ricordo della decorazione di Polidoro sulla facciata di palazzo Milesi -; ma sovrattutto in alcune delle figure di Virtù nelle finte nicchie come nelle elegantissime sovrapporte, là dove il suo estro cioè si svolge libero da ogni impegno narrativo, consegue piena definizione quella maniera di cui egli è, a Roma, il più valido rappresentante intorno alla metà del secolo. Ad essa, come tale, non si sottrarranno gli artisti che lavoreranno nei decenni a venire e se ne potranno cogliere gli spunti ancora alle soglie del nuovo secolo.
Il B. morì a Roma il 19 ott. 1547 e, come accademico dei Virtuosi, fu sepolto nella cappella di S. Giuseppe al Pantheon (Vasari, V, pp. 630 s.; J. A. F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon,Archivalische Beiträge..., in Repertorium für Kunstwissenschaft, XXXVII [1914], pp. 22, 24). Da sua moglie, Caterina Penni, aveva avuto una figlia Lavinia che aveva sposato un Giuseppe Cincio, medico (Vasari, V, pp. 630 s.).
Tra le opere non documentate storicamente, e tuttavia attribuibili al pittore, vanno rammentate le composizioni con la Sacra Famiglia nel Courtauld Institute di Londra, già nella coll. Northbrook, nel Museo Condé di Chantilly, nella coll. Liechtenstein: tutte da riferirsi alla maturità dell'artista, così come la tavola di uguale soggetto sul mercato di Londra nel 1965 (Burlington Magazine, CVII [1965], suppl.); infine, quella Sacra famiglia oggi nel santuario di Nostra Signora di Coronata a Genova-Cornigliano che sembra appartenere al periodo romano di più stretta osservanza raffaellesca.
Al B. vengono attribuiti anche i disegni per alcune serie di arazzi, come quelli con Figure mitologiche di casa Doria e quelli con Storie di Psiche, dell'Atelier di Bruxelles; mentre di disegni per arazzi con Storie di Didone ci dà notizia il Vasari (V, p. 617) nel periodo genovese del pittore.
Di altre opere, degli ultimi anni, non resta traccia: così degli affreschi nel nuovo S. Pietro, attorno ad una Madonna di Giotto e nella cappella del Sacramento; nell'altar maggiore di S. Salvatore in Lauro o in quello di S. Maria del Pianto; mentre di una breve attività nella prima cappella a destra in S. Luigi de' Francesi rimane il solo documento di allogazione, in data 20 marzo 1547 (Gnoli, 1935). Occorre infine far giustizia di talune attribuzioni che pure hanno avuto un certo seguito: come quella degli affreschi nell'abside della Assunta di Trevignano, da riconoscere a Pellegrino da Modena (Brugnoli, 1962; Davidson, 1970); a Roma nella loggia Altoviti (ora nel Museo di palazzo Venezia), senza alcun dubbio del Vasari, come da sua stessa testimonianza (VII, p. 695) e nel salone del palazzo della Cancelleria, dovuti al Peruzzi (Pouncey). Per quanto riguarda invece la decorazione delle sale di palazzo Massimo alle Colonne, la partecipazione del B. sembra doversi circoscrivere a disegni (Hirst, 1966) di cui si sarebbe servito Daniele da Volterra.
Fonti e Bibl.: G.Vasari, Le Vite..., a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 222 s., 425, 587-632; VI, ibid. 1881, pp. 8 s., 447 ss., 559;VII, ibid. 1881, pp. 51 s., 695(vedi anche la Vita di Perin del Vaga, Firenze 1912, con introduz., note e bibl. di M. Labò); Id., Il Libro delle Ricordanze, Roma 1938, p. 72;F. Zuccaro, Idea de' pittori,scultori e architetti [1607], in Scritti d'arte, Firenze 1961, II, p. 238;R. Soprani, Notizie de'pittori..., I, Genova 1768, pp. 380-88;G. C. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi... in Genova..., Genova 1780, passim;F. Alizeri, Notizie..., III, Genova 1874, pp. 364-375;A. Ronchini, Maestro Giovanni da Castel Bolognese, in Atti e Mem. delle RR. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, IV (1867), p. 11 dell'estratto; A. Bertolotti, Speserie segrete e pubbl. di Paolo III, in Atti e Mem. delle RR. Deputaz. di storia patria per le prov. dell'Emilia, III (1878), I, pp. 205-208;Id., Artisti belgi ed olandesi a Roma..., Firenze 1880, p. 45;P. Pagliucchi, Icastellani di Castel Sant'Angelo, Roma 1909, pp. 108-114;G. Fiocco, La cappella del Crocifisso in S. Marcello, in Boll. d'arte, VII (1913), pp. 87-94; [O. Grosso], Fonti dell'arte ligure in Pagine d'arte, III (1915), p. 56;H. Voss, Die Malerei der Spätrenaiss. in Rom und Florenz, Berlin 1920, pp. 99-104; A.De Rinaldis, II cofanetto farnes. del Museo di Napoli, in Boll. d'arte, III (1923-24), pp. 145-65;A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 2, Milano 1926, pp. 404-434;E. Kris, Di alcune opere ignote di Gio. dei Bernardi nel Tesoro di S. Pietro, in Dedalo, IX (1928-29), pp. 97-111; U.Gnoli, Docum. senza casa, in Riv. d'arte, XVII (1935), pp. 216 s.;V. Golzio, Raffaello nei docum., Città del Vaticano 1936, pp. 68, 98-100;M. Labò, in U. 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