BUONA FEDE (fr. Bonne foi; sp. buena fe; ted. guter Glaube; ingl. good faith)
Il concetto di buona fede è preso in considerazione dalla legge rispetto a varî rapporti giuridici e ciò ne rende difficile una definizione del concetto stesso che ne comprenda tutti gli atteggiamenti. Non è dunque possibile adottare al riguardo che una definizione assai vaga, come la seguente: la buona fede è la coscienza dell'osservanza di tutte le condizioni volute per il perfezionamento di un dato rapporto giuridico. La buona fede, concetto eminentemente etico, viene in tal modo presa in considerazione dal legislatore nel senso di eliminare parzialmente, quando essa ricorra, le conseguenze della nullità sostanziale del rapporto, derivante dalla mancata osservanza delle condizioni a cui la legge ne subordina la creazione.
Seguendo l'ordine del codice civile, la prima applicazione del concetto stesso ci è offerta dall'art. 116 in cui, nel caso del cosiddetto matrimonio putativo, è stabilito che se ambedue i coniugi o uno di essi abbiano celebrato il matrimonio versando, in relazione al rapporto a cui volevano dar vita, in un errore scusabile di fatto o diritto, ignorando cioè l'impedimento che vietava la celebrazione delle nozze e in forza del quale esse furono in seguito annullate, il matrimonio produrrà ugualmente gli effetti civili per entrambi o per quello di essi che era in buona fede. E basterà, occorre aggiungere, che l'ignoranza dell'impedimento vi sia stata al momento della celebrazione del matrimonio. Oggi, in Italia, per i matrimonî celebrati a norma dell'art. 34 del Concordato, bisogna attenersi alle disposizioni stabilite dal diritto ecclesiastico (can. 1015, 4, 1114). Anche più grande che nei rapporti di famiglia è l'influenza della teoria della buona fede nei rapporti giuridici che hanno per oggetto le cose. Il codice civile (articolo 701) dà una particolare definizione del possessore di buona fede, tanto grande è l'importanza che la buona fede ha nelle disposizioni della legge che al possesso si riferiscono: "è possessore di buona fede chi possiede come proprietario in forza di un titolo abile a trasferire il dominio, del quale ignori i vizî"; ossia, rimanendo nel campo dei diritti sulle cose, chi ha acquistato una cosa, in virtù di un contratto formalmente idoneo a trasferirne il dominio, da persona che credeva avesse il diritto di alienarla e ignorando che il vero proprietario fosse una persona diversa da colui che gliela ha alienata. Quando ricorrano queste circostanze, la legge riconosce al possessore, in omaggio alla sua buona fede nell'acquisto, varî vantaggi, come quello di fare suoi i frutti della cosa e di essere obbligato a restituirne al vero proprietario soltanto quelli che gli siano pervenuti dopo la domanda giudiziale (art. 703 cod. civ.) e di poter ritenere la cosa fino a che il proprietario rivendicante non gli abbia pagato i miglioramenti apportativi (art. 706 cod. civ.).
Anche per stabilire la qualità di possessore di buona fede e i diritti che ne derivano, basta (art. 702 cod. civ.) che la buona fede vi sia al tempo dell'acquisto. Così disponendo, il codice italiano, sull'esempio del codice napoleonico (art. 2269), si è informato alla tradizione del diritto romano.
Lo stesso articolo 702 del nostro codice civile, analogamente all'art. 2268 del codice francese, contiene un'altra regola di carattere generale che domina tutta la teoria della buona fede e secondo la quale il legislatore afferma che la buona fede è sempre presunta e che colui il quale allega la mala fede deve darne la prova.
Il libro secondo del nostro codice civile, dedicato ai beni, alla proprietà e alle sue modificazioni, contiene ancora varie altre disposizioni che giovano alla costruzione della teoria della buona fede, come quella dell'articolo 449 che, in tema di accessione, esonera il proprietario del suolo, il quale nel far costruzioni, piantagioni od opere abbia usato in buona fede del materiale altrui, dall'obbligo di risarcire il danno al proprietario del materiale (obbligo che invece gli incombe se di questo ha usato in mala fede), e come quelle degli articoli 450 e 452 ispirate parimenti a uno speciale riguardo per quanto è stato fatto in buona fede, sia pure invadendo con costruzioni, piantagioni od opere la sfera dell'altrui proprietà immobiliare.
Ma dove la teoria della buona fede acquista, in tema di diritti immobiliari, un'importanza che trascende quella delle regole sin qui ricordate, è nell'istituto della prescrizione. Per l'articolo 2137 del codice civile infatti l'elemento della buona fede, che non è richiesto, come regola generale, dal sistema della nostra legge per acquistare mediante la prescrizione, diventa invece elemento essenziale perché si avveri la prescrizione acquisitiva decennale. Ed è anche in questo caso sufficiente che la buona fede sia esistita al momento dell'acquisto.
Il concetto della buona fede riappare anche nel diritto delle successioni per dichiarar salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto di convenzioni a titolo oneroso fatte in buona fede con l'erede apparente e per limitare anche la responsabilità dello stesso erede apparente quando egli sia in buona fede (art. 933 cod. civ.), e pervade poi intimamente il diritto delle obbligazioni costituendo il fondamento di varie regole che trovano quotidiana applicazione nelle vicende delle contrattazioni civili e commerciali. Una di tali regole domina infatti tutta la materia dei contratti e, risolvendo il fecondo contrasto del pensiero romano tra il diritto e l'equità, stabilisce imperativamente il principio che tutti i contratti devono essere eseguiti in buona fede e obbligano non solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l'equità, l'uso o la legge ne derivino.
Se la premessa definizione della buona fede può in certo modo contenere nei suoi confini l'espressione del concetto a cui si riferisce, quando questo sia considerato in rapporto ai singoli casi in cui nel diritto delle obbligazioni la buona fede è richiamata per stabilire ad es. determinati vantaggi a favore del debitore (art. 1242 cod. civ.) o del creditore (art. 1240 cod. civ.), del venditore della cosa altrui (articolo 1459 cod. civ.) o di cosa affetta da vizî (art. 1503 cod. civ.), del depositario (art. 1851 cod. civ.) o di chi ha ricevuto in buona fede l'indebito (articoli 1148 e 1149 cod. civ.), non è sufficiente però a esprimere l'altissimo significato morale, a cui la teoria della buona fede assurge, come norma di carattere generale, nel campo del diritto delle obbligazioni, affermandosi come regola superiore che il legislatore volle posta a presiedere all'esecuzione e all'interpretazione di ogni manifestazione della volontà umana. Così considerata, la buona fede non è più invero una condizione richiesta dalla legge per far salvi determinati effetti di un rapporto giuridico annullato o per diminuire, a vantaggio di chi era relativamente al rapporto stesso in uno stato di scusabile errore, le conseguenze dell'annullamento, ma diventa la codificazione di un principio morale, e la definizione di esso esula quindi dalla competenza del giurista, come quella di tutte le norme etiche su cui si fondano le costruzioni giuridiche.
Bibl.: Il tema della buona fede non è stato trattato dai giuristi se non in relazione ai singoli rapporti giuridici nella disciplina dei quali tale concetto ricorre. Conviene dunque consultare le trattazioni del diritto di famiglia, del possesso, della prescrizione, del diritto delle successioni e delle obbligazioni. Si potranno consultare utilmente anche i migliori testi di storia del diritto per cercarvi l'evoluzione del concetto della buona fede dovuta al diritto canonico. Sotto questo aspetto vedasi R. Th. Troplong, De l'influence du christianisme sur le droit civil des Romains, 2ª ed., Tours 1903. Per una costruzione generale dell'istituto si può ricorrere a G. Lomonaco, Enciclopedia giuridica italiana e al volume del J. Bédarride, Traité du dol et de la fraude en matière civile et commerciale, 4ª ed., Parigi 1886; P. Bonfante, Essenza della buona fede e suoi rapporti con la teorica dell'errore, in Bull. dell'Ist. di dir. rom., VI, 3-4.