BUCCINO (Ούλκοι, Volcei)
Cittadina in provincia di Salerno, posta su un colle che domina la valle del fiume Sele. L'antico nome di Volcei è attestato in numerose iscrizioni latine rinvenute nell'area urbana e nel territorio (CIL, VI, 379 b ii 45; X, 1809; II, III, 17, 213, 280). Di Volceientes parla Livio (XXVII, 15, 2) ricordando la deditio del 209 a.C. di Irpini, Lucani et Volceientes al console Q. Fulvio durante la guerra annibalica; Plinio (Nat. hist., III, 98) parla di Volcentani nell'elenco degli oppida della Lucania («-...Volcentani quibus Numestrani iunguntur»), Ούλκοι ritorna in Tolemeo (Geog., III, 1, 61) e infine il Liber coloniarum (1, 209) cita la praefectura vulceiana.
Volcei, ascritta alla tribù Pomptina (CIL, X, I, 1809), fu municipio romano retto da quattuorviri (CIL, X, 1, 411- 413, 416-418; χ, 2, 8105-8106). L'epigrafe (CIL, X, I, 1809), che cita un duovir Volcéis, ha suggerito al Degrassi, seguito dal Bracco, l'ipotesi che la città possedesse lo statuto di colonia in età antonina.
I confini dell'ampio territorio del municipium compreso tra il Sele, il Vallo di Diano e gli Alburni, ricostruibili da fonti epigrafiche e letterarie, sono segnati dai limiti territoriali delle vicine città di Compsa (Conza della Campania) a N, Numistrum (Muro Lucano) a E, Eborum (Eboli) a O e Atina (Atena Lucana) a S.
Le più antiche testimonianze di insediamento umano in tale territorio sono state messe in luce in aree concentrate nei pressi dei fiumi Platano e Tanagro che costituirono fin dall'antichità naturali vie di comunicazione rispettivamente verso la Lucania e il Vallo di Diano.
I rinvenimenti di ceramica impressa del Neolitico Inferiore in località S. Mauro, su un pianoro sopra il Platano, non sono legati alla localizzazione di un insediamento, giacché provengono da un riempimento con associazioni incoerenti con materiali del Neolitico Medio-Superiore, con ceramica eneolitica tipo Piano del Conte e Gaudo e frammenti di tipo appenninico, subappenninico e dell'Età del Ferro. In località S. Antonio, a breve distanza dalla confluenza dei due fiumi, una necropoli eneolitica costituita da tombe a forno con deposizioni multiple, è riferibile a una stazione di carattere nomadico della cultura del Gaudo (v. vol. II, p. 794) su una delle sue vie di penetrazione commerciale verso l'interno. Alla prima Età del Bronzo (Protoappenninico B) è invece riferibile l'abitato in località Tufariello, un villaggio con strutture rettangolari e quadrate recintato con un muro spesso 5 m che nella sua seconda fase mostra una notevole attività di focolari connessa forse a una produzione ceramica. A un deposito superficiale appartengono dei frammenti dell'Appenninico classico (Media Età del Bronzo) dalla località Pareti.
Nell'Età del Ferro il territorio di B. si trovava inserito, come tutta l'alta valle del Sele e dell'Ofanto, nell'area della cultura detta di Oliveto Citra-Cairano, un tipo di Fossakultur di estrazione balcanica che appunto dall'Ofanto, via Conza, arriva fino a Montecorvino Rovella, a ridosso del Villanoviano di Pontecagnano. Se i materiali di questa fase sono tuttora scarsi a B., i corredi delle necropoli in località S. Stefano, Campo Sportivo e Braida, ai piedi della collina rispettivamente a N, NE e S dell'attuale abitato, e alcune tombe rinvenute da ultimo nello stesso centro moderno, danno il quadro, dal VII ai primi decenni del IV sec. a.C., di una cultura regionale, per la quale si è proposto il nome di «cultura della valle del Platano» (Johannowsky), con un repertorio formale e decorativo della ceramica affine a quello di Atena Lucana, Satriano, Ruvo del Monte, nella quale alcune forme indicano la continuazione di un rapporto con l'area balcanica attraverso la Puglia. Tipico di tale cultura è l'uso di deporre il cadavere in posizione rannicchiata, che continua fino al IV sec. a.C.
La facies culturale della «Cultura della Valle del Platano» sembra prolungarsi a B. con insediamenti sparsi fino al IV sec. inoltrato quando la regione circostante era ormai divenuta tutta lucana. Se all'inserimento definitivo nella compagine della lega lucana alla metà del secolo sembrano accennare alcuni elementi tra i quali l'adozione del cinturone, certamente in piena fase lucana deve porsi, alla fine del IV sec. a.C., la costruzione della cinta di mura in opera quadrata di calcare locale a doppia cortina che segna la nascita della città nel suo sito definitivo.
In questo periodo critico gli stretti rapporti con Paestum traspaiono da una tomba a camera, la 104, ancora in località S. Stefano, con resti di pittura figurata, e dalle ceramiche importate da quel centro; tali i frammenti della lèkythos firmata da Assteas rinvenuti nella stessa tomba 104 e un cratere dello stesso pittore, rinvenuto nel secolo scorso e oggi a Villa Giulia, raffigurante la parodia del ratto di Cassandra, tre anfore, una delle quali con il giudizio di Paride, dalla tomba 120, assegnate alla cerchia dello stesso pittore, un lèbes gamikòs attribuibile a Python dalla tomba 110, due anfore su alto piede del Pittore di Napoli 1778 dalla tomba 171. All'Apulia rimandano invece i frammenti di un cratere a volute con il mito di lesione attribuibile al Pittore della nascita di Dioniso dalla tomba 104.
Dello stesso periodo è in località S. Stefano, in un'area precedentemente occupata da tombe e in aggiunta a una struttura forse santuariale di età tardo-arcaica, un edificio, probabilmente pubblico (sede di un collegio ?), con una sala da banchetto pavimentata in mosaico a tecnica mista: tessere bianche e battuti neri e rossi - uno dei più antichi noti in Italia - con motivi di delfini saltanti, onde e meandri intorno al tema centrale della stella a sei punte.
Nel territorio extraurbano una cinta in opera poligonale molto accurata in località S. Mauro, a Ν del fiume Platano, sostenne una terrazza sulla quale è stato messo in luce un santuario di III-II sec. a.C. Vi si sono riconosciuti un tempietto (m 3,15 X 5,80) e un altare al centro dell'area recintata, mentre tre ambienti quadrangolari accanto al lato O sembrano locali di servizio. Al santuario è forse da collegare una vicina sorgente dotata nello stesso periodo di un'analoga recinzione in poligonale. Distrutto alla metà del I sec. a.C., il santuario subì rifacimenti nel corso del I sec. d.C. e in età tardo imperiale.
Un'altra cinta in poligonale più rozzo, a S dello stesso Platano, in località Pareti, costituisce il terrazzamento di una villa costruita nel II sec. a.C. e con una notevole fase di I sec. d.C. prolungatasi fino a età tardo imperiale (IV sec. d.C.).
Dell'impianto urbano del municipio romano conosciamo il circuito delle mura, rimaste quelle di età ellenistica, e parte del reticolo viario, di massima ricalcato da quello medioevale e organizzato su un asse longitudinale lungo il crinale della collina tra Porta Consina e Porta S. Mauro. Nell'area centrale dell'abitato, in Via Santo Spirito, si conserva in vista il podio di un tempio in blocchi di calcare locale, tradizionalmente identificato come Caesareum sulla base dell'iscrizione CIL, X, 415. Rinvenimenti recenti di strutture di terrazzamento e di resti di edifici di carattere pubblico con mosaici e rivestimenti marmorei sembrano avvalorare l'ipotesi dell'ubicazione del foro nella stessa zona. Sondaggi stratigrafici nello stesso sito mostrano, con il rinvenimento di resti di un portico del II sec. a.C., di una strada lastricata e altre strutture, la precoce monumentalizzazione del centro della città. Nulla resta in vista nella zona dell'acropoli, occupata dal castello medievale; avanzi di un criptoportico e di tabernae su due livelli appartengono alla sistemazione delle pendici S in funzione, senza dubbio, di un apprestamento monumentale della sommità (santuario?).
A sua volta il titolo (II, III, 26), rinvenuto a valle del castello, testimonia, con la menzione di tribunalia e gr(adus), la presenza di un teatro, forse ubicato a metà della pendice Ν del colle.
Il territorio extraurbano ha rivelato numerosi insediamenti di produzione agricola, taluni con più accentuati caratteri residenziali come le ville in contrada S. Nicola, in contrada Vittimose (II sec. a.C. - IV d.C.) e in contrada Vagni di Auletta (III-IV sec. d.C.), altri più spiccatamente rustici come quella in località Pareti (I sec. d.C.) con interessanti testimonianze di produzione olearia. In ogni caso, la toponomastica moderna con i numerosi nomi prediali (Romagnano, Ricigliano, Sicignano) da un lato e l'iscrizione CIL, X, 407 dall'altro, con la menzione di numerosi fundi e di quattro pagi (Forensis, Naranus, Aequanus, Transamuclanus ?), ma anche di prati e saltus, allude a una utilizzazione agricola del territorio relativamente consistente in rapporto alla difficile morfologia della regione.
Tra le strutture del territorio ricordiamo infine la grande cisterna in località Costa S. Maria, sopra l'abitato, probabilmente pertinente a un acquedotto, e i resti dei ponti del Diavolo e in località S. Cono, soli avanzi della rete stradale locale che, su tracciati ancora da meglio indagare, doveva metter capo alla via da Reggio a Capua.
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