ZAMPESCHI, Brunoro
– Nacque nel 1465 a Forlì (secondo una parte della storiografia a Forlimpopoli), da Cassandra dell’Anguillara e da Antonello, signore di San Mauro, oggi San Mauro Pascoli.
Il padre lo avviò giovanissimo alla professione militare, ottenendo che fosse creato nel 1479 cavaliere da Roberto Malatesta, comandante generale dell’esercito fiorentino, allora in guerra contro papa Sisto IV insieme agli alleati milanesi e veneziani. Brunoro servì come luogotenente lo stesso Malatesta e si distinse in giugno nella vittoriosa battaglia della Magione, in Umbria. Il fatto che entrambi, padre e figlio, militassero contro di lui portò il pontefice a scomunicarli e a privarli dei titoli feudali (passati a Nicolò Sansoni Riario). Soltanto dopo la conclusione della pace fra la Sede apostolica e i Medici, alla fine del 1480, si crearono le condizioni per una normalizzazione dei rapporti. Ma Antonello morì già nel 1482; solo Brunoro entrò nell’esercito del papa.
Sisto IV, sovvenuto da Venezia, doveva affrontare la lega stretta fra Firenze, Ferrara, Milano e Napoli. Zampeschi partecipò alla battaglia di Campomorto (21 agosto 1482), netta vittoria dell’esercito papale. Egli passò quindi al servizio del duca Ercole I d’Este, combattendo contro i veneziani nella guerra di Ferrara. Dopo la morte del pontefice (12 agosto 1484), si attivò insieme con i fratelli naturali Ettore e Meleagro, per contrastare il consolidamento dei Riario, consanguinei del defunto, nel possesso di quelli che continuavano a considerare loro feudi. San Mauro e Giovedia furono occupate nel settembre del 1484. Il nuovo pontefice, Innocenzo VIII, promosse soltanto una debole reazione. Anzi, nell’autunno del 1485, prese ai suoi stipendi Zampeschi e i suoi fratelli, per inviarli a sostegno degli aquilani, che si erano ribellati contro gli Aragonesi e si erano dati alla S. Sede. Soddisfatto del servizio ricevuto (e convinto delle ragioni giuridiche presentategli) il papa fece Brunoro signore di San Mauro, Giovedia, Tomba e Talamello il 16 ottobre 1486.
Nella primavera del 1488 partecipò alla spedizione del protonotario Bernardino Savelli, che approfittava dell’assassinio di Girolamo Riario, occorso in aprile, per assicurare la Romagna al dominio diretto della Chiesa. In particolare, fu affidata a lui la guardia della rocchetta di Schiavonia, fortificazione a guardia degli accessi a Forlì da Faenza, della quale Savelli era riuscito ad avere il controllo. Le operazioni, tuttavia, sfumarono presto per l’appoggio milanese e bolognese alla vedova di Girolamo Riario, Caterina Sforza. Zampeschi poté soltanto ritirare le sue truppe ordinatamente.
All’inizio del nuovo decennio, le contese fra i tre fratelli Zampeschi per il possesso di San Mauro ebbero un esito drammatico: nel 1491, infatti, Brunoro, insieme con Meleagro, fu considerato mandante dell’assassinio di Ettore (morto in realtà accidentalmente, durante il suo arresto ordinato da Brunoro). Innocenzo VIII reagì duramente: riacquistò con le armi la località romagnola, ne spianò il castello e ne fece signore il cardinale Raffaele Riario Sansoni. Zampeschi dapprima passò a Rimini, poi entrò al servizio di Gentile Virginio Orsini, impegnato nel 1494 nel velleitario tentativo di contrastare in Romagna, con truppe napoletane, gli eserciti francesi discesi in Italia. Gli stessi eserciti del duca di Calabria, Ferrandino d’Aragona, avevano dato nel giugno dello stesso anno San Mauro di nuovo a Caterina Sforza. Zampeschi si pose allora agli stipendi di Venezia e partecipò ai soccorsi militari inviati dalla Serenissima alla città di Pisa, ribellatasi al dominio fiorentino all’inizio di novembre dello stesso 1494.
Nell’ottobre 1499 giunse a Zampeschi da Roma l’indulto per la morte di Ettore, prologo di un suo stabile impiego negli eserciti pontifici. Egli entrò nell’esercito di Cesare Borgia, che a nome del papa e con l’aiuto del re di Francia Luigi XII muoveva contro Forlì e Imola, signorie di Caterina Sforza. In particolare, partecipò all’assedio di Forlì, tra il dicembre 1499 e il gennaio 1500, distinguendosi nella presa di Russi. Non poté però evitare che Borgia, il 9 marzo 1500, fosse investito anche della signoria di San Mauro.
Tutto cambiò alla morte di Alessandro VI, il 18 agosto 1503. Durante la sede vacante, Brunoro appoggiò il tentativo di Antonio Maria Ordelaffi di insignorirsi di Forlì. Ebbe poi, in ottobre, il via libera del duca di Urbino Guidubaldo Della Rovere a occupare Forlimpopoli, insieme al fratello Meleagro, in quel momento condottiero per i veneziani. La Serenissima, in quei frangenti, stava prontamente accettando le offerte di dedizione da parte di importanti città e terre romagnole: nel gennaio 1504 Zampeschi fece arrivare al Senato un’ipotesi di passaggio addirittura del suo vecchio feudo di San Mauro sotto il leone di S. Marco. Tuttavia, man mano che si consolidava la posizione del nuovo pontefice Giulio II, eletto il 1° novembre 1503, tutti gli attori in gioco vedevano esaurirsi gli spazi aperti dalla repentina eclissi di Borgia. Zampeschi, che ancora nel febbraio 1504 era d’accordo nel dare Forlì alla Serenissima e aveva preso dimora a Ravenna, capitale della Romagna veneziana, tornò al suo più consueto ruolo di capofazione forlivese: in particolare, partecipò alle lotte intestine tra le famiglie Numai e Maratini e, schieratosi con questi secondi (guelfi), guidò una grossa scorreria entro le mura cittadine nel giugno 1506. Poi però la presenza del pontefice in città, in ottobre, favorì la stipula di una pace tra le parti, nella quale fu compreso anche lui.
Erano i prodromi di un nuovo scenario: il servizio per il pontefice. Nel marzo 1508, rientrato in possesso di Giovedia, fu mandato con un contingente a Forlì per garantire la pace fra le fazioni. Quindi, a partire dalla fine dello stesso anno, Brunoro compare nei mandati della Camera apostolica come comandante della guardia dei cavalleggeri del papa.
Lasciò Roma poco dopo. Iniziata la guerra della Lega di Cambrai contro Venezia, tra aprile e maggio 1509, egli guidò le operazioni contro Solarolo e Brisighella, penetrando nella Valle del Lamone. Riconsegnata dai veneziani al papa anche Ravenna, Zampeschi secondo alcune fonti vi risiedette come governatore dell’armi, partecipando altresì alla presa di Rimini, in giugno. Il pontefice, con bolla datata 10 giugno 1510, lo ricompensò dandogli conferma di concessioni e privilegi già assegnati dai suoi predecessori al padre Antonello e facendogli dono di alcune terre e di una casa a Santarcangelo. Rimaneva in sospeso però la titolarità della signoria di San Mauro e Tomba. Fra il 1508 e il 1513 Zampeschi e suo fratello Meleagro pagarono per questi luoghi, così come per Giovedia, il censo alla Camera apostolica contemporaneamente ai Riario, che ancora continuavano a dichiararsene signori.
Nella stessa estate 1510 Zampeschi servì nella guerra contro il duca di Ferrara Alfonso I: dapprima partecipò alla conquista della Romagna cispadana estense e poi, all’inizio dell’anno seguente, passò con lo stesso Giulio II all’assedio della Mirandola. Conclusa con successo questa operazione, egli subì uno scacco: infatti, inviato a investire il forte situato alla foce del canale Zaniolo (o Bastia del Genivolo, a sud della curva del corso attuale del fiume Reno), fu messo in frettolosa fuga da una sortita ferrarese il 28 febbraio 1511. Si temette addirittura per la sua vita, ma era «stato più presto vergogna che altro» (Sanuto, 1886-1889, XII, col. 14). Giulio II non se ne risentì troppo. Alla fine di marzo già affidava a Zampeschi, insieme ai condottieri Vitello e Giovanni Vitelli, nuove truppe contro lo stesso obiettivo, che però non fu conseguito. Invece, Zampeschi fu congedato in luglio, dopo l’entrata a Bologna dei Bentivoglio, che causò la ritirata dell’esercito pontificio da Casalecchio di Reno (21 maggio 1511).
Egli passò quindi momentaneamente al servizio di Venezia, accanto al fratello Meleagro. Nonostante quanto riportato dalla più antica storiografia, dunque, non partecipò alla battaglia di Ravenna (11 aprile 1512). La sua presenza è invece testimoniata in quei giorni a Cusercoli, nell’Appennino forlivese. Nella successiva estate, egli era ancora libero da condotte: in luglio, si ebbe notizia che la Repubblica Fiorentina aveva intenzione di assoldarlo, con cento lanceri a cavallo.
Defunto papa Della Rovere, il successore Leone X lo confermò nella sua carica di capitano della guardia. Si trovava nondimeno a Forlì, quando ripresero gli scontri tra fazioni in città. Quindi, tra novembre e dicembre 1515, egli accompagnò il papa a Firenze e a Bologna, per l’incontro con Francesco I. Infine, in occasione della guerra d’Urbino, nella primavera del 1517, tornò alle armi. Ebbe alcuni successi nella fase iniziale del conflitto, con la presa di Pesaro, Maiolo e San Leo, ma le sue truppe si resero presto protagoniste di gravi disordini. Addirittura, in occasione della presa di Sorbolongo da parte di Giovanni delle Bande Nere, Zampeschi fu accusato di viltà.
Morto Leone X, all’elezione del successore Adriano VI egli si trovava a Forlimpopoli, eletto nel Magistrato cittadino. Ancora fra marzo e maggio 1522 governava la città a nome del rappresentante pontificio.
Morì a Santarcangelo il 24 novembre 1525 e fu sepolto nella chiesa collegiata di S. Ruffillo, dove fra il 1530 e il 1534 Iacopo Bianchi da Dulcigno, su commissione di suo figlio Antonello, realizzò un pregevole monumento sepolcrale in pietra d’Istria.
Aveva sposato Laura Pignatta, appartenente a una famiglia del patriziato forlivese, da cui aveva avuto, oltre ad Antonello, Giovanni, Battistina e Claudia.
Fonti e Bibl.: M. Vecchiazzani, Historia di Forlimpopoli..., Parte seconda, Rimini 1647, pp. 143-272; S. Marchesi, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì, Forlì 1678, ad ind.; L. Passerini, Zampeschi di Forlì, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, dispensa 92, Torino 1875; M. Sanuto, Diarii, XII, XV, XXIV, Venezia 1886-1889, ad indices; C. Casanova, Comunità e governo pontificio in Romagna in età moderna, Bologna 1981, ad ind.; S. Calandrini, San Mauro, Giovedìa, La Torre, Verucchio 1989, pp. 35, 39-42, 52; L. Cacciaguerra, Testimonianze veneziane su Forlimpopoli e la Romagna, in Forlimpopoli. Documenti e studi, IV (1993), pp. 148 s., 154; M. Gori, Le arche degli Zampeschi nella chiesa collegiata di San Rufillo, ibid., VIII (1997), pp. 85-104.