GAMBARA, Brunoro (Brunoro da Gambara)
, Brunoro (Brunoro da Gambara). - Figlio di Maffeo, nacque all’inizio del XV secolo e trascorse gli anni giovanili alla corte viscontea; nel marzo 1426 Filippo Maria Visconti gli diede il possesso di Castenedolo e, poco tempo dopo, gli assegnò un palazzo a Pavia e il castello di Villareggio, mentre nel testamento del padre (1427) veniva nominato erede universale insieme con lo zio Marsilio, suo tutore.
I rapidi mutamenti politici avvenuti nel 1427 con la conquista di Brescia e del suo territorio da parte di Venezia portarono la Serenissima a investire nel settembre del 1427 il G. e lo zio Marsilio dei medesimi beni e feudi già concessi dal Visconti alla sua famiglia cinque anni prima (Pralboino, Milzano e Verolanuova). Sono questi gli anni in cui il G. operò quasi all’ombra dello zio, agendo di comune accordo sia nella difesa delle proprie prerogative giurisdizionali e fiscali, sia nella scelta delle alleanze politiche e militari. Nel febbraio 1441 il G. e Marsilio Gambara appoggiarono la causa dei Visconti contro le pretese della Serenissima ottenendo conferma dei loro privilegi, ma, nell’estate dello stesso anno, ritornarono sotto la tutela -veneziana favorendone il successo militare a Milzano, Seniga, Pontevico e Pontoglio e ricevendo così il possesso di Gambara (riconfermato nel 1448).
Se all’astuzia dello zio si devono le scelte politiche vincenti, è da attribuire al nipote il formidabile incremento patrimoniale compiuto dalla famiglia nei decenni centrali del XV secolo.
Una lunga vicenda svoltasi tra il 1436 e il 1446, con strascichi anche negli anni seguenti, fu quella per il possesso di Corvione, località a nord est di Gambara soggetta alla mensa vescovile bresciana, ma affidata fin dall’inizio del XIII secolo alla famiglia dei Gambara. Riconfermato nel possesso di Corvione, devastato nel corso del conflitto fra Venezia e Milano (come attesta una lettera di papa Eugenio IV del 19 nov. 1436), il G. dovette in seguito difendere tale patrimonio fondiario dalle richieste avanza:e dal vescovo Pietro Del Monte il quale, a nome della mensa episcopale, ordinò, il 20 giugno 1446, che venisse riesaminata tutta la pratica, intimando al G. e a suo zio di restituire i beni di Corvione. Davanti alle pretese vescovili il G. si difese presentando la lettera di Eugenio IV e le successive conferme episcopali, finché si giunse a un compromesso (26 ottobre) che prevedeva la loro reinvestitura da parte del presule in cambio di un aumento del canone annuale e dell’introduzione della clausola di miglioramento dei possedimenti. Il possesso di Corvione fu di nuovo oggetto di discussio:me il 20 sett. 1458, quando il vescovo Bartolomeo Malipiero, successore di Del Monte, sostenne che tale concessione danneggiava l’episcopato e la mensa. Il G. non ebbe difficoltà nel far valere le sue ragioni sia mostrando i numerosi documenti a suo favore, sia sostenendo come tale concessione si fosse rivelata un affare assai vantaggioso anche per la mensa grazie alle migliorie (disboscamento, bonifica, installazione delle due «seriole» di Vernico e Gambara) da lui stesso apportatevi. Il possesso di Corvione fu definitivamente assegnato al G., nell’autunno di quell’anno, dietro il versamento di una somma di 2600 lire pagabili in quattro anni.
Nel 1448 il G. entrò in possesso di Gambara dove comprò subito alcuni terreni, mentre altri acquisti di case all’interno del castello e di terreni dentro e fuori del borgo avvennero tra il 1450 e il 1456. Sempre in quegli anni ebbero luogo numerose controversie fra il G. e i magistrati bresciani in merito al controllo sulle attività commerciali nei suoi possedimenti (oltre a quelli già ricordati, Pralboino e Verolanuova).
Fin dalla morte di Marsilio (primi mesi del 1457) il G., erede universale dello zio, si preoccupò di chiedere al governo veneto la conferma dei privilegi già concessi ai Gambara, conferma sancita in un ampio e solenne documento ducale del 9 sett. 1457. Nell’ultimo decennio di vita si adoperò per dare uniformità e coerenza al suo patrimonio, orientando tutte le sue energie nel concentrare all’interno del castello e del borgo di Gambara il nucleo più importante dei suoi possedimenti. Tra 1459 e l’inizio del 1468 acquistò case e terreni per oltre 200 ettari, vendendo o affittando le terre più lontane di Milzanello e Pralboino. La preoccupazione di avere una proprietà uniforme è presente anche nel testamento del G., redatto il 17 marzo 1468, in cui i beni vengono lasciati in modo unitario e indiviso ai cinque figli Maffeo, Pietro, Gianfrancesco, Nicolò e Marsilio, che il G. aveva avuto dalla moglie, la letterata veronese Ginevra Nogarola, sposata intorno al 1438 e defunta qualche mese prima della stesura dell’atto.
Questa è l’ultima notizia del G., che dovette morire poco tempo dopo.
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