DELLA SCALA, Brunoro
Figlio di Guglielmo - che era figlio illegittimo del signore di Verona e Vicenza, Cangrande (II) Della Scala - e della moglie di questo di cui si ignora il nome, ma che forse apparteneva alla famiglia dei Savoia, nacque in data non nota, probabilmente nell'ultimo quarto del secolo XIV in località ignota (il padre si trovava in esilio dal 1360). Il D. è ricordato a Padova insieme con il fratello Antonio nel periodo in cui il padre tenne l'ufficio di podestà (18 maggio 1401-fine giugno 1402). Al seguito del signore della città, Francesco Novello da Carrara, partecipò alla difesa di Bologna contro Gian Galeazzo Visconti e cadde prigioniero nella battaglia di Casalecchio sul Reno (26 giugno 1402). Facino Cane lo portò prima a Modena, poi a Parma, dove poté riacquistare la libertà versando un riscatto di 500 ducati. Il 3 sett. 1402 era di nuovo libero, dato che risulta presente al conferimento di un dottorato nell'università di Padova (Gloria, Monumenti, II,n. 2206).
Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (3 sett. 1402) si profilava la possibilità, favorita anche dai Carraresi, di restaurare la signoria degli Scaligeri a Verona. Il D. fu quindi presente quando il 27 marzo 1404, nella chiesa di S. Agostino di Padova, suo padre Guglielmo e Francesco Novello da Carrara si impegnarono con patto solenne alla riconquista di Verona. Insieme con il fratello Antonio, il D. partecipò alla campagna militare e all'assalto della città in cui entrò tra i primi. Dopo la proclamazione di Guglielmo a signore di Verona il D. fu armato cavaliere da Francesco Novello sulla piazza del Mercato, insieme con altri che si erano distinti nella lotta.
Il 18 apr. 1404 Guglielmo morì improvvisamente: il D. e il fratello Antonio furono allora proclamati signori di Verona, con il consenso di Francesco Novello. Ma quando questi chiese il loro aiuto per conquistare Vicenza, com'era stato concordato nei patti conclusi nel marzo precedente, i due fratelli rifiutarono perché impegnati nella riconquista della cittadella di Verona, ancora in mano a truppe milanesi, e intavolarono trattative con i Veneziani per assicurarsi il loro appoggio. Francesco Novello seppe della decisione scaligera dagli ambasciatori veronesi che riuscì a catturare mentre rientravano da Venezia. Deliberò, allora, di impadronirsi del governo di Verona togliendolo al D. e ad Antonio che reputava responsabili del suo insuccesso contro Vicenza: ordinò, perciò, al figlio Giacomo, che si trovava ancora a Verona, di catturarli. Il giorno di Pentecoste 1404 (18 maggio), in occasione di una cena offerta da Giacomo nel castello, il D. e Antonio vennero presi e rinchiusi nel castello stesso: ebbe così definitivamente termine la signoria scaligera a Verona.
Dopol'investitura di Francesco Novello da Carrara come signore di Verona (22 maggio) il D. e Antonio furono trasferiti nella rocca di Monselice, dove rimasero fino all'arrivo dei mercenari veneziani mandati contro il Carrarese. Nel gennaio del 1406 troviamo i due fratelli a Trento. In seguito si recarono in Germania, dove sin dal 1396 viveva la loro madre. Il D. entrò subito in contatto con il re dei Romani Roberto del Palatinato per ottenere il suo appoggio contro la Repubblica di Venezia la quale, dopo la cacciata del Carrara, il 23 giugno 1405 aveva solennemente preso possesso di Verona. Nel febbraio 1406 il D. fu nominato da Roberto, a Heidelberg, vicario imperiale per Verona (Deutsche Reichstagsakten, VI, p. 14): da questo momento egli costituì una seria minaccia per il dominio veneziano a Verona.
Poco tempo dopo, un tentativo diretto a restaurare la signoria scaligera con l'aiuto di fuorusciti veronesi e di Ludovico Cavalli, figlio del signore di Schio, venne scoperto e sventato dai Veneziani. Il D. cercò allora di giungere ad un accordo con la Serenissima, ma le sue proposte vennero respinte nell'agosto 1406 dal governo veneziano, il quale rifiutò ogni soluzione di compromesso desiderando arrivare alla completa sottomissione del D. e dei suoi familiari. Di fronte a questa politica di decisa opposizione, il D., insieme con Marsilio da Carrara, figlio del deposto signore di Padova, cominciò a prendere contatti con i nemici di Venezia: aprì trattative con Firenze, Milano e Genova e partecipò alle campagne del maresciallo Boucicault, il quale teneva Genova a nome del re di Francia e cercava di estendere il suo dominio in Lombardia. Venezia decise allora di eliminarlo: il 19 giugno 1499 il Consiglio dei dieci si impegnò a consegnare un premio di 4.000 ducati a chi avesse catturato e ucciso il D. e il 10 ott. 1410 cominciò a trattare con il marchese di Monferrato per indurlo ad organizzare l'assassinio del Della Scala.
Un cambiamento nei rapporti tra Venezia e il D. sembrò profilarsi alla fine del 1410. Il 18 dicembre Antonio Bembo riferì in Senato che la madre ed un fratello del D. erano giunti a Portogruaro e si erano dichiarati pronti a sottomettersi: il Senato autorizzò il Bembo ad iniziare le trattative. Nel febbraio 1411, poi, il governo della Serenissima entrò in contatto con lo stesso D. offrendogli, in cambio della sottomissione, di ammetterlo nel Maggior Consiglio, di concedere a lui e ai suoi cinque fratelli consistenti pensioni e di restituire le proprietà espropriate a Ludovico Cavalli e agli altri aderenti al partito scaligero, condannati nel 1406. Ma non si riuscì ad avviare una effettiva trattativa e il tentativo venne abbandonato nel corso del 1411.
In realtà il D. aveva nel frattempo trovato un sicuro alleato nella lotta contro Venezia in Sigismondo di Lussemburgo, re d'Ungheria, eletto re de Romani il 20 sett. 1410, il quale era in aperta ostilità con la Serenissima da quando questa aveva sottratto Zara al dominio ungherese. Insieme con Marsilio da Carrara il D. si mise al servizio di Sigismondo, il quale il 22 genn. 1412 ad Ofen lo nominò vicario imperiale di Verona e di Vicenza. Il 2 maggio dello stesso anno scoppiò a Verona un'altra sommossa antiveneziana. Le cause appaiono più complesse di quelle della rivolta del 1406 poiché si collegano ai contrasti sociali in atto in città (al riguardo, J. E. Law, pp. 170-75): ma è fuori di dubbio che uno degli obiettivi dei rivoltosi era la restaurazione scaligera ed il passaggio nell'orbita politica dell'Impero. Il D. aveva allora il titolo di capitano generale dell'Impero in Italia e Sigismondo fece appello a tutti i suoi fedeli nella penisola perché si unissero al D. nella lottà contro Venezia. La rivolta però venne domata: il D. e suo fratello Antonio vennero messi in testa alla lista dei proscritti dai Consigli veronesi, i quali aumentarono ad 8.000 ducati il premio per la sua cattura o la sua uccisione.
L'insuccesso della rivolta non indusse il D. a desistere dalla lotta contro la Serenissima. Il 30 ag. 1412 fu incaricato dal re dei Romani di concludere un'alleanza con i duchi austriaci Ernesto e Federico (IV) in funzione antiveneziana. La successiva campagna militare, però, non ebbe successo e Sigismondo fu costretto a concludere con la Repubblica una tregua di cinque anni: le speranze del D. erano ancora una volta deluse. La tregua non mise fine all'ostilità veneziana contro il Della Scala. La Serenissima, sempre timorosa del partito scaligero, condusse una vivace campagna diffamatoria contro di lui, accusandolo di essere "naturalis et de stupro genitus" (Piva, p. 126). Il 3 luglio 1415, poi, il Consiglio dei dieci decise di affidare al banchiere Andrea Priuli l'organizzazione dell'assassinio del D. e di Sigismondo: l'esecutore materiale dell'uccisione avrebbe dovuto ricevere la somma di 35.000 ducati.
Il progetto, però, non fu portato a termine e il D. continuò a prestare servizio presso l'imperatore. Presente ad Aquisgrana nel 1414 all'incoronazione di Sigismondo, si recò nel 1417 a Costanza dove prese parte al concilio, patrocinando gli interessi di Belluno, e dove incontrò i fratelli Paolo, Nicodemo, Fregnano e Bartolomeo, nonché la sorella Oria (Laura). L'anno successivo fu, nel febbraio, tra gli ambasciatori imperiali che portarono a Filippo Maria Visconti il diploma di investitura ducale. Sempre nel 1418 fece parte, come assessore, del tribunale imperiale e si adoperò per formare una lega diretta a difendere il patriarcato di Aquileia contro le mire espansionistiche di Venezia: a tal fine si recò a Cividale, dove la sua presenza è documentata fino al 12 giugno 1419, e dove promise l'intervento in favore dei Friulani delle truppe ungheresi comandate dal fratello Fregnano.
Negli anni successivi il D. continuò ad impegnarsi per preparare la discesa di Sigismondo in Italia e la sua campagna contro Venezia. A questo fine condusse trattative con i Savoia, il Monferrato, Genova, Milano e con i Confederati svizzeri, ma non riuscì a raggiungere alcun risultato positivo. In realtà, all'inizio degli anni 1420, Sigismondo, impegnato nella guerra contro gli ussiti, era meno interessato ai problemi italiani: fu comunque contrario, nel 1421, alla sottomissione di Genova al Visconti e inviò il D. alla città ligure e a Firenze per tentare di bloccare l'impresa milanese. In questo periodo il D. si occupò anche di questioni relative al mondo germanico. Così il 26 ott. 1422 ricevette dal re il comando delle truppe del duca Ludovico di Wittelsbach nel conflitto contro parenti e vicini di questo e l'anno successivo fu incaricato di riscuotere la tassa degli ebrei nel ducato di Baviera-Ingolstadt. Solo nel 1424 Sigismondo tornò ad impegnarsi nei problemi italiani: in quell'anno affidò al D. il compito di aprire negoziati con la Savoia e con i Confederati svizzeri, negoziati che l'anno successivo vennero estesi a Milano e a Genova. Nel corso di tali trattative il D. non dovette dimenticare la questione della propria famiglia: lo sta a dimostrare il mandato del 20 maggio 1426 con cui Sigismondo ordinò a tutti i sudditi dell'Impero in Italia di sostenere il D. e suo fratello Paolo nella lotta contro Venezia (Reg. Imp., XI, n. 6643).
Per ricompensarlo dei numerosi servizi a lui prestati, Sigismondo nominò il D., in data 25 dic. 1428, conte di Heiligenberg e Werdenberg, feudi siti nella regione del lago di Costanza, i quali erano tornati all'imperatore in seguito alla morte senza eredi dell'ultimo titolare (ibid., n. 749). Non sembra, però, che il D. entrasse in possesso della contea: i parenti del precedente titolare, infatti, occuparono il territorio di Werdenberg, mentre Heiligenberg era reclamato dal duca Federico IV d'Austria, conte di Tirolo. È assai significativo, in proposito, il fatto che l'11 febbr. 1430 Sigismondo accolse il D. nuovamente nella sua famiglia con una pensione annua di 1.100 ducati ungheresi (ibid., n. 7635).
Nel maggio 1431 il re, che si trovava a Norimberga, incaricò il D. di aprire nuove trattative con la Savoia e con Milano per preparare la sua discesa in Italia. Il 1º ag. 1431 concluse con Filippo Maria Visconti a Milano un accordo, accordo che il 3 ottobre a Feldkirch presentò a Sigismondo per l'approvazione. Poco dopo il re si mise in viaggio e giunse il 21 novembre a Milano, dove il 25 novembre fu incoronato re d'Italia. All'incoronazione presenziarono anche il D. e suo fratello Bartolomeo. Il 6 maggio 1432, a Parma, il D. figura tra i testimoni dell'atto con cui Giovanni Francesco Gonzaga fu elevato al rango di marchese di Mantova. Fu a fianco del re anche durante il lungo soggiorno a Siena e in occasione della sua incoronazione imperiale celebrata a Roma il 31 maggio 1433. Allora gli fu rinnovata la carica di vicario imperiale di Verona e Vicenza (ibid.,n. 9487).
Successivamente, il D. si recò con l'imperatore a Basilea. In quella città partecipò alla Dieta e al concilio fino al maggio del 1434. Fu allora che i Veneziani cominciarono a cambiare atteggiamento nei confronti del D., cercando di attirarlo dalla loro parte con doni e promesse, impegnandosi, innanzi tutto, ad annullare il premio promesso sin dal 1409 per la sua cattura o per la sua uccisione. Sembra che il D., dal canto suo, si mostrasse ugualmente disponibile ad un accordo, forse anche perché non aveva avuto figli.
Nel marzo 1434 il Senato veneziano si dichiarò disposto a venire a patti con il D., offrendogli una pensione annua tra 1.000 e 1.500 ducati (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreti, XIII, ff. 96v, 135) anche se il D. fino ad allora aveva sempre preteso concessioni territoriali. Il 31 ag. 1435 a Trnava in Slovacchia venne conclusa un'alleanza tra Sigismondo e Venezia contro Filippo Maria Visconti. Gli ambasciatori veneziani invitati a stipulare l'accordo avevano avuto anche l'incarico di aprire trattative con il D.; ma la questione del dominio scaligero fu esplicitamente esclusa dall'accordo. Anzi Sigismondo - il quale l'8 sett. 1434 aveva rinnovato al D. il vicariato imperiale per Verona e Vicenza, estendendolo anche ai fratelli di questo, Fregnano e Paolo, e ai loro figli maschi, in caso di morte del D. - il 25 sett. 1435, a Presburgo promise formalmente allo stesso D. che non avrebbe trattato la questione scaligera con i Veneziani senza il suo consenso (Reg. Imp., XI, n. 11197). Il D. continuava, quindi, a godere della piena fiducia dell'imperatore: risulta suo consigliere ancora il 15 sett. 1437 e figura tra i testimoni di un atto giuridico il 4 novembre dello stesso anno a Praga (ibid., n. 12168).
Poco dopo, il 21 nov. 1437, il D. morì improvvisamente a Vienna, dove la sua famiglia da tempo aveva delle proprietà. Fu sepolto nella chiesa degli eremitani di S. Agostino vicino al castello.
qI diritti del D. su Verona e Vicenza passarono dopo la sua morte ai fratelli Fregnano e Paolo che ne ottennero la conferma il 20 maggio 1438 dal re dei Romani Alberto II. Alla morte di Paolo, avvenuta - a quanto risulta - poco dopo, gli stessi diritti vennero confermati a Fregnano da Federico III. Una annotazione nei registri imperiali, non datata, ma inserita tra il 22 e il 24 luglio 1437, ci informa del fidanzamento del D. con Anna, figlia del conte Enrico IV di Gorizia e della prima moglie di questo, Elisabetta di Cilli. Dalla stessa fonte apprendiamo che il D. aveva in Istria la signoria di "Athyna" e che ricevette un'aspettativa sui feudi imperiali dal conte Enrico di Gorizia nel senso che essi sarebbero passati a lui in caso di morte senza eredi del conte. La condizione, però, non si verificò, dato che, come viene aggiunto nel registro, "Dominus Brunorius pie memorie preventus est ante comitem Heinricum" (ibid., nn. 12012 s.).
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