PARADISI, Bruno
− Nacque a Roma il 6 maggio 1909 da Luigi e da Maria Franceschi. Dalla madre, toscana, derivò un forte legame affettivo con il Grossetano, il Senese e l’Amiata, dove fino agli ultimi anni trascorse l’estate.
A Roma conseguì la laurea in giurisprudenza nel dicembre 1932. Dei suoi docenti ricordava con ammirazione la forte tempra di Pietro Bonfante nella costruzione dogmatica del diritto romano. Nel perseguire la carriera universitaria non ebbe legami di scuola e si dedicò autonomamente agli studi di storia del diritto altomedievale, tradizionalmente rivolti in prevalenza, secondo il lontano modello di Friedrich Carl von Savigny, a indagare le sorti delle istituzioni e delle dottrine romanistiche durante i ‘secoli bui’ dei regni germanici. Qualche contatto stabilì con Enrico Besta a Milano e ne derivò la prima monografia, Massaricium ius (Bologna 1937), condotta con analisi delle fonti letterarie e archivistiche di area lombarda, a partire dall’età tardoimperiale e bizantina fino al secolo XI.
In filigrana, la monografia risentiva delle vecchie polemiche postrisorgimentali sui ‘fattori costitutivi del diritto italiano’ (il romano e il germanico) e propendeva, contro le ipotesi germanistiche che pure erano state avanzate, per una derivazione del contratto di massaricio dal regime delle terre del Fisco imperiale. La tesi riscosse larghi consensi di fronte all’incerta origine dell’istituto, come attestano le numerose recensioni positive.
Con il lavoro sul massaricium Paradisi ottenne, nel 1937, la libera docenza in storia del diritto italiano e l’incarico di insegnamento all’Università di Bari, sede per la quale vinse il concorso a cattedra nel 1940. Al concorso presentò uno dei suoi studi più innovativi, la Storia del diritto internazionale nel Medio Evo (Milano 1940). Il tema era stato fino ad allora sostanzialmente ignorato dalla storiografia giuridica ed erano incerte le chiavi metodologiche con cui affrontarlo e affiancarlo alla storia strettamente politica e alla memorialistica dei diplomatici.
A differenza dell’opinione corrente fra storici e giuristi, che fissava la data di nascita del diritto internazionale nelle paci di Westfalia del 1648, Paradisi ne rintracciava la consistente strutturazione fin dall’antichità romana, scorgendo in essa le origini − contro il nazionalismo allora imperante − di una comune civiltà giuridica europea. Rese poi espliciti in un denso lavoro, che non ebbe grande circolazione a causa della stampa editoriale appartata (Il problema storico del diritto internazionale, Firenze 1944; ed. rivista e ampliata Napoli 1956), i fondamenti teorici e storiografici con i quali, nella prospettiva di uno storicismo marcatamente idealistico, aveva inteso liberare la storia del diritto internazionale dalle ipoteche sia dell’astratto giusnaturalismo, sia della dogmatica giuspositivistica, per cogliervi invece, «oltre e più in alto di ogni questione tecnica, il determinarsi di un grande avvenimento spirituale» (ibid., p. VI).
Sino alla fine degli anni Cinquanta dedicò al diritto internazionale nell’antichità e nell’Alto Medioevo numerosi saggi, riuniti successivamente nei due volumi di Civitas Maxima (Firenze 1974). Frattanto, allo scoppio della guerra, fu richiamato in servizio come ufficiale: con Riccardo Orestano, compagno di studi universitari, e grazie ai suoi suggerimenti, fu assegnato a un ufficio del ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1941 fu chiamato all’Università di Siena, dove si trasferì temporaneamente lasciando Roma, ma mantenendo lì l’abitazione. Per tutto il periodo bellico e nel primo dopoguerra visse principalmente fra Siena e l’Amiata, coltivando anche amicizie con antifascisti. Laico e liberale, negli anni a venire si orientò in politica verso il Partito repubblicano italiano (PRI) di Ugo La Malfa.
Vedovo della prima moglie, morta giovanissima e dalla quale aveva avuto, nel 1935, il primo figlio, Franco, poi professore di medicina specializzato in malattie infettive, nel 1946 sposò Maria Lida Bonaguidi, originaria del Senese, e dal matrimonio nacque il secondo figlio, Fabio.
Nel 1949 si trasferì all’Università di Napoli, dove insegnò fino al 1967, ma non risiedette in quella città: per il forte timbro formale che sempre impresse a tutti i rapporti privati e professionali, anche nel mutare degli stili di vita della società e delle università italiane, non sentì congeniali né Napoli, né il suo ambiente accademico. Alla Sapienza di Roma, dove poi fu chiamato, osservò con ostilità e incomprensione le rivolte studentesche del 1968-69 e svolse con crescente distacco le attività didattiche fino al pensionamento.
Nel 1974 fu eletto socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, per la quale organizzò alcuni convegni, e nel 1978 assunse la direzione della Enciclopedia del diritto dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.
In forma litografata a dispense per gli studenti erano apparsi a Napoli i cinque volumi di Storia del diritto italiano (l’ultima edizione è del 1964-1968; il IV è diviso in due tomi; il V, sulla canonistica di età bolognese e appena abbozzato, rimase incompiuto). Registrati in aula dagli allievi e sommariamente rivisti, i corsi seguivano partizioni e criteri della manualistica tradizionale, dalla caduta dell’Impero di Occidente fino ai glossatori bolognesi, con sintesi talvolta acute, ma spesso ricalcate sui risultati comunemente acquisiti nella letteratura specializzata. La produzione scientifica maggiore è invece raccolta nei due corposi volumi di Studi sul Medioevo giuridico (Roma 1987) che riuniscono gli scritti pubblicati ininterrottamente su temi di storia del diritto nell’alto medioevo e sui primi giuristi dello Studium di Bologna. Si segnalano nella raccolta, oltre ad alcune pregevoli sintesi sul diritto romano, sui diritti germanici nell’Italia altomedievale e sul metodo dei glossatori, un lungo saggio su Il pensiero politico dei giuristi medievali (1977) e una meditazione, non sempre limpida, ma appassionata, su La caduta dell’Impero romano e la crisi della civiltà in Occidente (1973).
Non credente per profonda convinzione, ma sempre rispettoso della fede altrui, negli ultimi anni di vita Paradisi si dedicò a riflettere sui rapporti tra religione e diritto, anche per influenza della moglie Maria Lida, donna di intensa sensibilità religiosa e autrice di studi sul cattolicesimo inglese. Alcuni appunti abbozzati sono andati dispersi.
Accanto ai contributi medievalistici delle sue assidue ricerche, nella seconda metà del Novecento il ruolo di Paradisi fu rilevante nell’accompagnare e promuovere l’apertura della storiografia giuridica italiana a nuovi temi, in specie di storia del diritto moderno, rimasti fino ad allora marginali nella tradizione universitaria italiana, e nel collocarla in posizione eminente nel dibattito internazionale. Già nel 1947 aveva pubblicato uno dei primi e rari bilanci critici su Gli studi di storia del diritto italiano nell’ultimo cinquantennio (1895-1945), destinato agli studi in onore di Benedetto Croce (apparso in Studi senesi, LX (1946-47), 2, pp. 710-776), ove salutava con entusiasmo l’opera di Francesco Calasso, dal quale in seguito si distaccò per dissidi accademici, differenze caratteriali e dissensi scientifici. Nel 1980 dedicò una vera e propria monografia a discutere, con serrata critica, il ‘cuore’ del pensiero storico di Calasso sotto il titolo: Il problema del diritto comune nella dottrina di Francesco Calasso (ora in Paradisi, cit., II, 1987, pp. 1009-1112).
Su questioni di metodo della storiografia giuridica fecero seguito corsi, conferenze e lezioni tenute in varie sedi in Italia e all’estero e ristampati in massima parte in Apologia della storia giuridica (Bologna 1973). Vi riunì gli scritti di oltre un ventennio dedicati a riflettere sui «dubbi» e gli «assilli» circa «la natura e la validità di un’attività storiografica intorno al diritto», e confessava: nonostante il contributo di tanti studiosi, «non mi è quasi mai riuscito di trovare quanto sono andato affannosamente ed incessantemente cercando: l’interpretazione della storia del diritto come storia umana, una storia che dia ragione non soltanto di origini e di svolgimenti istituzionali, ma ne chiarisca il significato al lume della storia generale dell’uomo» (p. 5).
Particolarmente sensibile alla necessità di inserire la storiografia giuridica italiana nelle grandi correnti culturali europee, ma senza afferrarne né condividerne la fuoriuscita dallo storicismo idealistico, sul finire degli anni Cinquanta fondò, con Edoardo Volterra, la Società italiana di storia del diritto, che si pose subito al centro, con i congressi da lui ispirati e organizzati, del dibattito internazionale. L’imponente congresso, tenutosi a Firenze nel 1973 con la partecipazione dei maggiori studiosi dell’Europa e degli Stati Uniti e dedicato a La formazione storica del diritto moderno in Europa (gli atti in quattro volumi furono stampati a Firenze nel 1977), in un quadro vivo di fermenti nell’intera cultura giuridica italiana, legittimò definitivamente gli studi modernistici di storia del diritto nelle università della Repubblica. Nei primi anni Sessanta collaborò con Helmut Coing alla fondazione del Max Planck Institut für europäische Rechtsgeschichte di Francoforte, ispirato a salde idee europeistiche, e dieci anni dopo salutò con partecipazione la nascita di riviste che si proponevano di rinnovare gli studi di diritto e di storia del diritto in Italia, quali i Materiali per una storia della cultura giuridica di Giovanni Tarello e i Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno di Paolo Grossi. Non volle invece assumersi il carico di una rivista o di una collana, che gli veniva sollecitato da più parti, e poco si curò, nel breve tempo nel quale ne ereditò la direzione, degli Annali di storia del diritto.
Liberale e aperto alle ricerche degli allievi, lasciò senza condizionarli che scegliessero autonomamente i propri temi di studio. Non ebbe una vera e propria ‘scuola’, nel senso tradizionale del costume accademico, ma impresse il suo timbro su numerosi giovani, in particolare promuovendone scambi internazionali, soggiorni all’estero e ricerche di storia europea. Gli furono particolarmente legati Vincenzo Piano Mortari fin dagli anni di Siena e a Napoli Raffaele Ajello, Armando De Martino, Aldo Mazzacane.
Energicamente attivo fino agli ultimi giorni, morì a Roma il 18 gennaio 2000.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale, Fascicoli personali, 16/052, 1, ad nomen; Accademia dei Lincei, Archivio storico, f. Bruno Paradisi; M. Cardinale, Cultura crociana e metodologia storica nel pensiero di B. P. e di Giovanni Cassandro, in Apollinaris, LIX (1986), pp. 671-700.