Nardi, Bruno
, Storico della filosofia e dantista (Spianate, Altopascio, 1884 - Roma 1968). Compiuti gli studi all'Università Cattolica di Lovanio (1908-1911), ove discusse con M. De Wulf la tesi di dottorato su Siger de Brabant dans la Divine Comédie et les sources de la philosophie de D., s'iscrisse quindi (1912) all'istituto di Studi Superiori di Firenze in un momento particolarmente felice della vita culturale fiorentina (N. fu in rapporto con gli ambienti della " Voce " e della Biblioteca filosofica, collaborò alla " Cultura filosofica " di De Sarlo; per altro seguiva da tempo la " Critica " e non rimase, estraneo alle suggestioni del neoeghelismo italiano, in particolare, in sede storiografica, all'influenza di Gentile) e a Firenze si laureò preparando con Melli una tesi su Pietro d'Abano (1919). Per lungo tempo professore nelle scuole medie superiori di Mantova, di Milano e di Roma, tenne qui l'insegnamento di storia della filosofia medievale nella facoltà di lettere (incaricato dal 1938, professore ordinario dal 1951). L'attività del N. come storico della filosofia del Medioevo e del Rinascimento è vastissima, e in essa gli studi danteschi occupano un posto dominante, non solo per la mole di contributi, ma in quanto costituiscono un fondamentale motivo ispiratore di molte altre ricerche.
Già la sua tesi di laurea discussa a Lovanio (poi pubblicata sulla " Rivista di Filos. Neoscolastica " III [1911], IV [1912] e quindi in estratto, Spianate 1912) affrontava un nodo di problemi che resteranno centrali nei successivi studi del N.: quella tesi aveva tratto occasione dalla nuova edizione del libro del Mandonnet, Siger de Brabant et l'averroisme latin au XIIIe siècle (1908-1911), che poneva tra l'altro il problema dei rapporti tra Sigieri e D. in un modo, dirà più tardi N., " puerile ", viziato da due pregiudizi: " Il primo di questi pregiudizi consisteva in un'inesatta visione storica di quello che nel Medioevo e nel Rinascimento era stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere il pensiero filosofico di D. conforme in tutto e per tutto a quello di S. Tommaso " (In onore di B. N., in " Giorn. Critico della Filos. Ital. " XXXV [1965] 277). Era questa la prospettiva in cui N. si era già collocato nel preparare la sua tesi lovaniense (Sigieri di Brabante, pp. 8-9, 65 ss. dell'estratto): ed è. notevole lo sforzo da lui compiuto - quando si era appena agl'inizi delle più agguerrite ricerche di filosofia medievali - per cogliere i complessi e vari orientamenti della cultura filosofica del XIII secolo nel cui ambito veniva ricollocando il pensiero di D., esaminato secondo alcuni problemi cruciali: la cosmologia, l'anima umana, la conoscenza, la moralità, utilizzando soprattutto il Convivio e la Commedia. Egli metteva in luce la distanza di D. da s. Tommaso (cui superficialmente era stato legato da una semplicistica storiografia che all'Aquinate riduceva tutto il pensiero di un secolo) e i rapporti con altri orientamenti, sottolineando l'importanza di certi motivi e la presenza di determinate influenze: come il notevole peso di suggestioni della tradizione platonica e neoplatonica, l'importanza dell'avicennismo e i suoi nessi con l'agostinismo, l'esatta fisionomia dell'averroismo,, l'influenza - nel suo secolo e sull'opera di D. - di Alberto Magno staccato dalla linea che lo connetteva al suo discepolo Tommaso. Secondo queste molteplici linee di ricerca - che ritrovavano il loro punto di raccordo nel costante riferimento a questo o quel testo di D. - si svolgerà ancora negli anni seguenti l'opera di N., ‛ dantista ' anche quando si occuperà di problemi che non sembravano direttamente connessi con il pensiero e l'opera del poeta.
All'indomani della tesi lovaniense, e già mentre preparava la tesi fiorentina su Pietro d'Abano (pubblicata nella " Nuova Rivista Storica " IV [1920] e V [1921] e poi nei Saggi sull'aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze 1958, 19 ss.) - da cui trarrà motivi per illuminare alcuni aspetti del pensiero dantesco (cfr. D. e Pietro d'Abano, 1920, poi nei Saggi di filosofia dantesca) - N. avviava secondo un indirizzo ben definito la sua opera di commentatore di D., attraverso saggi e recensioni che compariranno soprattutto sul " Giornale dantesco " e sul " Giornale storico della letteratura italiana ". Nel 1921 pubblicava un saggio in cui tracciava tutta una linea interpretativa dello svolgimento del pensiero di D.: gliene offrivano occasione (spesso nella sua produzione lo spunto polemico sembra costituire uno stimolo essenziale per la ricerca) due saggi di F. Ercole (L'unità politica della nazione italiana e l'Impero nel pensiero di D., in " Arch. Stor. It. " LXXV [1917] 79-144; Per la genesi del pensiero politico di D.: la base aristotelico-tomistica, in " Giorn. stor. " LXXII [1918] 1-41, 245-287), alla cui critica dedicava lo studio Il concetto dell'Impero nello svolgimento del pensiero dantesco (1921, poi in Saggi di filosofia dantesca). Punto centrale del saggio è l'esame della definizione del finir totius humanae civilitatis posto come principium inquisitionis directivum nella Monarchia (I III 1-2): tale fine (che qualitativamente coincide con quello del singolo - e ne costituisce la beatitudine - ma che il singolo non può raggiungere da sé) consiste nell'" attuare tutta e sempre la potenza dell'intelletto ": in questa prospettiva l' ‛ humana civilitas ' costituisce " un'unità naturale determinata dall'unico fine di tutti gli uomini " e la sua organizzazione politica deve esprimersi in una ‛ monarchia ' i cui confini coincidano con quelli del mondo conosciuto e il cui compito consista nel garantire la pace e l'unità del genere umano, necessarie al raggiungimento del suo fine naturale. Dall'analisi di questo tema, centrale N. fa emergere da un lato la presenza in D. di certe suggestioni averroistiche (" averroismo politico "), pur nella distanza del poeta dall'averroismo per i temi più caratterizzanti, e dall'altro il distacco nettissimo dal pensiero politico medievale, di s. Tommaso e di gran parte dei contemporanei (D. sembra sviluppare il concetto aristotelico di stato fino a trascendere l'ideale del filosofo greco in quello dell'Impero " stato assolutamente autarchico "); e soprattutto mette in evidenza - nella sottolineata autonomia del fine naturale - una distinzione tra Impero e Chiesa, destinati a procurare l'uno la beatitudo huius vitae e l'altra la beatitudo vitae aeternae, distinzione che corrisponde a quella tra ‛ documenta philosophica ' e ‛ documenta spiritualia '. L'interpretazione così proposta della Monarchia porta con sé il problema della sua posizione nello svolgimento del pensiero di D.: N. ne colloca la redazione tra il Convivio e la Commedia; se il primo infatti " s'impernia tutto sul simbolo della ‛ donna gentile ', la quale rappresenta la filosofia non in quanto essa si distingue scolasticamente dalla teologia ma in quanto s'identifica con la ragione divina e con la stessa sapienza o verbo con cui Dio fece il mondo... la Commedia invece s'impernia tutta quanta, fin dai primi canti, su due simboli ben distinti e coordinati, Virgilio e Beatrice, di cui l'uno rappresenta la Filosofia, ossia la ragione limitata e imperfetta, l'altro la Teologia che poggia sulla fede divina assoluta e infallibile. La scissione dell'unico simbolo della ‛ donna gentile ' nel duplice simbolo di Virgilio e Beatrice accusa uno sviluppo della coscienza filosofica di D., che è parallelo allo sviluppo della sua arte " (Saggi di filosofia dantesca, p. 266); tale scissione si delinea per la prima volta nella Monarchia con la distinzione tra ‛ documenta philosophica ' e ‛ documenta spiritualia ' e con l'affermazione dell'autonomia della filosofia, che sarà subito attenuata (già alla fine della stessa Monarchia) e quindi superata secondo il più tradizionale equilibrio, con il riconosciuto primato della teologia, nella Commedia: qui Virgilio, " simbolo della ragione umana, diventa messo e araldo di Beatrice, simbolo del pensiero divino "; sicché " la Monarchia è posteriore al Convivio; ma anche anteriore all'Inferno. Nell'opera politica la logica che trasporta lo scrittore a definire la base filosofica dell'indipendenza dell'Impero dalla Chiesa lo conduce a stabilire, implicitamente, un ugual rapporto d'indipendenza della ragione dalla fede, della perfezione naturale dell'umanità da quella soprannaturale " (p. 274). Ma non meno importante è un altro tema - strettamente connesso alla meditazione politica di D. -, che egualmente appare nel saggio del '21 e che rappresenta un elemento essenziale per intendere l'approccio di N. alla Commedia: nella Monarchia egli vede il maturarsi in D. di una " vocazione profetica " e della coscienza di una personale missione riformatrice che lo condurrà alla visione del poema sacro (" nella Monarchia il pensiero politico di D. si chiarisce e si afferma in una sintesi che resterà per lui quasi definitiva, e già spunta la fede in un rinnovamento del mondo per mezzo di una restaurazione della Maestà Imperiale, e con la fede ancora incerta un'oscura coscienza di quella che sarà la profetica missione del Poeta della Commedia... D. acquista piena coscienza della sua missione, del fato divino che incombe su lui, profeta della restaurazione della giustizia e della pace nel mondo, per opera del rinnovato Impero di Roma ", p. 274). Così nel 1921 la linea fondamentale secondo cui N. andava interpretando l'opera del poeta e si accostava alla Commedia è chiaramente definita: attraverso una serie amplissima di contributi, e la discussione di altre proposte interpretative, quella linea troverà la sua più matura formulazione in D. profeta (in D. e la cultura medievale, p. 336 ss.). Saggio assai ricco e complesso, ha il suo tema centrale nell'articolata tesi del profetismo di D., della missione che egli si sentiva chiamato a svolgere e della realtà della visione: di qui da un lato , la polemica contro la riduzione del fatale andare ' a finzione letteraria di significato allegorico o a " bella menzogna ", e la valutazione del significato letterale o istoriale (" Non artificio letterario, ma vera visione profetica ritenne D. quella concessa a lui da Dio, per una grazia singolare, allo scopo preciso che egli, riconosciuta la verità sulla cagione che il mondo aveva fatto reo, la denunziasse agli uomini, manifestando ad essi tutto quello che aveva veduto e udito ", p. 376). Così D. profeta si ricollega da un lato ai precedenti studi sulla Monarchia, dall'altro apre la via a nuove ricerche: ove non solo N. ribadirà in modo sempre più netto la polemica contro la riduzione crociana - fortunata in ambienti più diversi, di filologi e di teologi - della Commedia a ‛ romanzo allegorico ' (opponendosi quindi insieme alla distinzione tra struttura e poesia), come nei saggi D. letto dal Foscolo (1961, .poi in Saggi e note di critica dantesca) e Sull'interpretazione allegorica e sulla struttura della " Commedia di D. " (ibid.), ma ove l'interpretazione del senso della Commedia, in chiave di profetica visione, ispira e condiziona tutta l'interpretazione dello. sviluppo del pensiero dantesco e quindi anche la soluzione del problema dell'autenticità dell'epistola a Cangrande: nella cui seconda parte N. vedeva la mano di un anonimo teologo che intendeva annullare il significato letterale e il messaggio profetico della Commedia, avviando l'esegesi dantesca sul falso binario della finzione poetica che cela un senso allegorico (Il punto sull'Epistola a Cangrande, Firenze 1960; Osservazioni sul medievale " accessus ad auctores " in rapporto all'Epistola a Cangrande, 1960, poi in Saggi e note di critica dantesca).
All'interno di tale linea interpretativa si collocano altri saggi, destinati a esaminare aspetti particolari nell'evoluzione dell'opera di D.: basterà ricordare quelli Dalla prima alla seconda " Vita Nuova " (1942, poi in Nel mondo di D.: con la suggestiva ipotesi di un rimaneggiamento della sua chiusa, posteriore al Convivio); Le rime filosofiche e il " Convivio " nello sviluppo dell'arte e del pensiero di D. (1956, poi in Dal " Convivio " alla " Commedia ": ove si studia il passaggio dall'amore per Beatrice all'amore per la Donna gentile - la filosofia - e il nascere delle rime allegoriche, quindi, attraverso l'approfondimento di problemi filosofici, soprattutto etici, l'abbandono delle rime allegoriche di contenuto filosofico per intraprendere le rime ‛ aspre e sottili ': di qui l'inizio della stesura del Convivio, nato come opera gemella del De vulg. Eloq., l'una e l'altra interrotte sotto l'urgenza di nuovi problemi, quelli affrontati nella Monarchia, cui già si accenna nei capitoli IV e V del IV trattato del Convivio); Dal " Convivio " alla " Commedia " (nel volume dallo stesso titolo: che continua l'analisi precedente, studiando alcuni centrali e complessi problemi filosofici del Convivio, il " forte dubitare " di D., il proporsi dei rapporti tra filosofia e teologia, il balenare nella mente di D. dei duo ultima della Monarchia, la sua meditazione politica e il nascere di quella coscienza di una missione profetica che, sappiamo, è per N. la chiave interpretativa della Commedia). Felice sintesi di tante analisi particolari è la relazione al congresso internazionale di Studi danteschi nel 1965 (Filosofia e teologia ai tempi di D. in rapporto al pensiero del Poeta, poi in Saggi e note di critica dantesca, p. 3 ss.), in cui, quasi riprendendo conclusivamente un discorso aperto con la sua tesi di laurea, N. torna a collocare l'opera di D. nel fitto panorama della cultura del XIII secolo e, con l'esperienza di oltre un cinquantennio di ricerche, ribadisce le linee dello sviluppo del pensiero e dell'arte di D. secondo convinzioni ormai già salde in lui dal lontano saggio del 1921.
Dei contributi puntuali portati da N. al chiarimento di problemi e testi di D. è impossibile parlare analiticamente: è una mole di studi impegnati ora a stabilire passi controversi (" ristabilire il significato preciso delle parole in rapporto alla terminologia filosofica e scientifica del Medio Evo e ai problemi agitati nelle scuole ": Avvertenza ai Saggi di filosofia dantesca), ora a illuminare - attraverso innumerevoli riferimenti ad autori e testi coevi - il significato preciso di certe . dottrine (" né si creda che mi sia proposto di dimostrare quali sono le fonti del pensiero dantesco, cioè da quali libri e autori D. tolse i concetti filosofici che fece suoi. Questo genere di ricerche empiriche, nella maggior parte dei casi, è impossibile; ma è anche perfettamente inutile. Utilissima, invece, anzi necessaria è la conoscenza dei problemi e delle preoccupazioni intellettuali che formano l'ambiente spirituale nel quale il pensiero filosofico di D., personalissimo come ogni vero pensiero filosofico, si maturò nel diuturno sforzo della meditazione, spesso sorpassando, con penetranti e ardite intuizioni, il comune modo di pensare del suo tempo ", ibid.). Ci limiteremo a ricordare, come modo esemplare d'indagini testuali, Raffronti fra alcuni luoghi di Alberto Magno e di D. (1922), Le citazioni dantesche del " Liber de causis " (1924; ambedue poi in Saggi di filosofia dantesca), le amplissime Note al Convivio e alla Monarchia (raccolte nel vol. Nel mondo di D.); e ancora, tra gli ultimi scritti, il Saggio di commento alla " Monarchia " (I XI) e la nota " Redeant unde venerunt " (Mon., II, X, 3) (in " L'Alighieri " VII 2 [1966] 3-24 e VI 2 [1965] 58-62), ove N. ripete le sue riserve verso un metodo di scelta delle lezioni sulla base del calcolo statistico delle varianti, difendendo una critica testuale che s'impegni a ricostruire il senso di tutto un testo e il pensiero che esso esprime. Come esempio d'illustrazione di problemi, il saggio di commento al secondo del Paradiso (La dottrina delle macchie lunari nel secondo canto del " Paradiso ", 1917, poi in Saggi di filosofia dantesca), ov'è offerto per la prima volta un quadro della cosmologia dantesca in tutta la sua complessità e ne vengono messi in luce i nessi con la tradizione neoplatonica; gli studi che illuminano problemi spesso ignorati dai ‛ letterati ' amanti di una rarefatta critica estetica, come L'arco della vita, La dottrina dell'empireo, Il mito dell'Eden (tutti raccolti nei Saggi di filosofia dantesca), La caduta di Lucifero e l'autenticità della " Quaestio de aqua et terra " (Torino 1959, ov'è respinta l'attribuzione a D. della Quaestio per la difformità fra la descrizione che in essa è data del mondo fisico e quella presupposta nella Commedia), fino al classico saggio L'origine dell'anima secondo D. (1931-32, poi in Studi di filosofia medievale, Roma 1960; ma si vedano anche Sull'origine dell'anima umana e L'immortalità dell'anima, ambedue del 1938, e poi in D. e la cultura medievale), che - ampliando le ricerche a tutte le controversie de anima del secolo XIII - mette in luce ancora una volta la lontananza di D. dalle posizioni tomiste e i nessi con la tradizione albertina, agostiniana e sigieriana. Altri particolari problemi filosofici N. illustra con i saggi su La conoscenza umana e su Il linguaggio (1921, poi in D. e la cultura medievale; nel secondo è messa in luce la novità della posizione di D. che, affermando l'origine umana del linguaggio e dei suoi mutamenti, si allontana dalla comune esegesi teologica dello schema offerto dalla storia sacra); mentre portano contributi all'interpretazione generale dello sviluppo del pensiero di D., sempre sul fondamento di una mirabile erudizione, saggi come La " Donatio Constantini " e D. (1942, poi in Nel mondo di D.: ove N. trova nella condanna di quella dote / che da te prese il primo ricco patre la radice della missione riformatrice e profetica di D. e quindi la prospettiva più valida per intendere il messaggio della Commedia), quelli sulla Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in D. (in D. e la cultura medievale) e su L'averroismo del " primo amico " di D. (1940, poi nella seconda ediz. dello stesso volume), tesi a illuminare l'ambiente culturale e spirituale in cui si viene maturando la prima esperienza poetica di D., in rapporto soprattutto a Guinizzelli e poi a Cavalcanti (a essi si collega anche il saggio, denso di preziosi riferimenti, sui rapporti tra certe dottrine stilnovistiche e le dottrine mediche del tempo: L'Amore e i medici medievali, 1959, poi in Saggi e note di critica dantesca); mentre il confronto, amichevolmente polemico, con D.- et la philosophie (1940) di Gilson gli permetteva di ribadire le sue principali linee interpretative (carattere unitario della sapienza simboleggiata nella Donna gentile, svolgimento di una forte tendenza razionalistica che si definirà nella Monarchia, ritrovamento di un nuovo equilibrio tra filosofia e teologia nella Commedia). Cosi la ricerca erudita su luoghi e problemi danteschi s'intreccia sempre, lungo l'intero arco di una sterminata produzione, con le prospettive più ampie che investono tutta l'opera del poeta e ne guidano l'interpretazione: mossa dalla necessità di ricostruire " nelle sue linee originali il pensiero filosofico di D. ", la ricerca di N., sempre polemicamente aliena dalla ‛ critica estetica ', si è venuta impegnando secondo linee che, attraverso l'esatta valutazione e l'intelligenza storica del linguaggio e dei problemi danteschi, hanno voluto offrire nuove vie di comprensione dell'arte di D., nella convinzione che, per il compenetrarsi essenziale di struttura e poesia, non era possibile intendere il messaggio poetico senza un'esatta conoscenza del mondo storico e culturale in cui esso aveva preso forma (" Mi pare arbitraria la separazione fra la struttura del poema e gli episodi nei quali soltanto si vorrebbe cercare la poesia della Commedia. Il fatto è che ogni episodio è legato e condizionato dalla struttura... Privata della struttura di visione profetica nella quale è inserita, la realtà che s'offre al Poeta pei tre regni d'oltretomba e i personaggi che incontra col ricordo dell' 'aere dolce che dal sol s'allegra ' diventano incomprensibili. La verità è che la struttura si determina nelle vicende del viaggio ultramondano e queste danno concretezza e vita a quella ": Filosofia e teologia, in Saggi e note di critica dantesca, pp. 83-84).
Alle ricerche dantesche si può collegare gran parte degli altri studi di N. sulla filosofia medievale: non solo egli soleva dire che D. fu il suo vero maestro, ma tutto il panorama della filosofia medievale gli pareva che " acquistasse un senso e valesse la pena di essere osservato " se ci si poneva dalla " scintillante vetta " della Commedia. I nessi tra le ricerche dantesche e quelle sigieriane sono immediati; ma anche tutti gli studi sul problema dell'anima nel secolo XIII si svolgono in contrappunto continuo con gli studi danteschi, come pure gli studi su Alberto Magno e sulla tradizione agostiniana e francescana; e ancora quelli su Virgilio, sol che si pensi al posto essenziale riconosciuto all'Eneide nello sviluppo del pensiero e dell'arte di D., dal De vulg. Eloq. alla Monarchia, alla Commedia (" Mentre era intento a scrivere il secondo libro del De vulgari eloquentia, Virgilio gli era apparso maestro di ‛ stile regolato ' o ‛ tragico ' che culmina nella ‛ cantio '. Ma la lettura dell'Eneide non tardò a scoprirgli in Virgilio non solo il poeta, ma il vero storico e filosofo dell'Impero, sulla necessità del quale per la pace del mondo lacerato dalle discordie e dalla cupidigia, il suo animo di filosofo appunto s'era raccolto a meditare. L'incontro con Virgilio, che più tardi D. amerà proiettare in un tempo anteriore, riferendolo all'anno del suo smarrimento e del suo viaggio ultraterreno, avvenne invece nell'anno in cui scoprì quale, secondo il vero, è ‛ lo fondamento radicale de la imperiale maiestade '... L'incontro con Virgilio, poeta, storico e filosofo dell'Impero, è certamente un fatto di capitale importanza nello sviluppo del pensiero dantesco... Abbagliato dalla recente scoperta, qual fosse il ‛ fondamento radicale de la imperiale maiestade ', e dalla grande luce che gli veniva dall'Eneide, Virgilio divenne da quel momento la sua guida spirituale per tutto il tempo che D. dedicò, interrotto il Convivio, alla composizione della Monarchia... Nel pensiero e nell'arte di D. si compieva quella felice contaminatio dell'Eneide con la Bibbia e le leggende cristiane dell'oltretomba, ond'è venuto alla luce il miracolo della Divina Commedia ": Dal " Convivio " alla " Commedia ", pp. 101-102, 105, 123).
Così gl'interessi di N., mossi dalla necessità di risolvere un problema mal posto (quello della presenza di Sigieri nella Commedia), allargatisi subito in ambiti vastissimi, tornano costantemente a D.: la morte ha colto N. intento a compiere un'opera cui da tempo si era impegnato, il commento alla Monarchia.
Scritti. - L'esistenza di una bibliografia completa fino al 1968 (v. più sotto) ci dispensa dalle minute indicazioni bibliografiche; ci limiteremo pertanto alle raccolte di saggi danteschi rammentate in forma abbreviata nel testo: Saggi di filosofia dantesca, Milano 1930 (Firenze 1967²: nel testo si cita da questa ediz.); D. e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca, Bari 1942 (ibid. 1949²: nel testo si cita da questa ediz.); Nel mondo di D., Roma 1944; Dal " Convivio " alla " Commedia " (Sei saggi danteschi), ibid. 1960; Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966.
Bibl. - Gli scritti di B. N. (bibliografia completa dal 1907 al 1968), a c. di T. Gregory e P. Mazzantini, in " L'Alighieri " IX 2 (1968) 39-58; A. Schiaffini, B. N. filologo e scrittore, ibid. 5-12; T. Gregory, B. N., in " Giorn. Crit. Filos. Ital. " XLVII (1968) 469-501; E. Garin, Ricordo di B. N. (1884-1968), in " Studi d. " XLV (1969) 5-28; G. Petrocchi, B. N., in " Giorn. stor. " CXLVI (1969) 317-320; C. Vasoli, B. N. dantista, in I critici, Milano 1970, 2023-2051.