FORTICHIARI, Bruno
Nacque a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, l'8 febbr. 1892 da Antonio, un macellaio di idee socialiste, e da Cleonice Marchesi. Dopo aver frequentato tre classi delle scuole tecniche, all'età di quindici anni cominciò ad aiutare il padre nel lavoro amministrativo e a frequentare l'organizzazione dei giovani socialisti. Aderì quindi al Partito socialista italiano (PSI), che a Reggio Emilia era fortemente improntato al riformismo di Camillo Prampolini, e dal 1910 lavorò come redattore della Giustizia.
Dopo un breve soggiorno a Piacenza, dove fu caporedattore del settimanale Piacenza nuova e segretario della Società umanitaria, nel 1912 si trasferì a Milano. Qui assunse ben presto un ruolo dirigente nel partito e nel movimento sindacale: dal 1912 al 1914 fu membro della commissione esecutiva della Camera del lavoro, impegnandosi nella lotta alle tendenze sindacaliste rivoluzionarie e anarchiche. Sempre nel 1912 divenne segretario della sezione milanese del PSI, conferendo un notevole impulso alla riorganizzazione del movimento socialista locale. Costituì e diresse la federazione provinciale del PSI, dotandola di un proprio organo di stampa, Battaglia socialista, sorta il 3 genn. 1914 dalla fusione dei periodici Sorgiamo! e Unione proletaria.
"La cultura, l'ispirazione socialista di Fortichiari non appaiono molto diverse da quelle dei riformisti: in una serie di articoli divulgativi intitolati "Socialismo", apparsi nel corso del 1914 su Battaglia socialista, egli si rifà largamente al positivismo evoluzionista e all'integralismo socialista, tipici del riformismo. Diverse tuttavia in lui appaiono le deduzioni tattiche e strategiche, diversi i cardini dell'azione socialista" (Bolchini, p. 270). Il F. assegnava priorità assoluta all'organizzazione, al rafforzamento del partito ed era fautore della tattica elettorale intransigente, che contrapponeva frontalmente proletariato e borghesia.
Su queste basi ingaggiò, insieme con L. Repossi, A. Zanetta e altri, una serrata lotta al gruppo riformista capeggiato da F. Turati, portando la federazione socialista milanese sulle posizioni di estrema sinistra. Si oppose nell'autunno 1914 alla campagna interventista condotta da B. Mussolini, che il 24 nov. 1914 venne espulso dal partito.
Il F. fu tra i più irriducibili oppositori dell'intervento, organizzò l'espatrio in Svizzera di renitenti e disertori e subì per questo denunce e arresti. Il 18 nov. 1917 partecipò a Firenze alla riunione degli aderenti alla frazione intransigente rivoluzionaria, che contestarono duramente l'appello alla resistenza e alla concordia nazionale lanciato dai riformisti dopo Caporetto. Nel 1918 fu condannato e internato a San Demetrio ne' Vestini (L'Aquila) e poi incarcerato per eccitamento all'odio tra le classi sociali. Nel dicembre di quell'anno, prosciolto dall'internamento e dall'accusa di tradimento, riprese il suo posto alla guida della federazione socialista milanese.
Il 15 ott. 1920 il F. fu tra gli organizzatori del convegno di Milano, dal quale uscì il manifesto-programma della frazione comunista del PSI, sottoscritto, oltre che da lui, da N. Bombacci, A. Bordiga, A. Gramsci, F. Misiano, L. Polano e U. Terracini. Il 7 novembre venne eletto al Consiglio comunale di Milano. Chiamato a far parte, con Bordiga e Bombacci, del comitato esecutivo della frazione, il F. lavorò intensamente alla preparazione del convegno di Imola (28-29 nov. 1920), nel quale vennero poste le basi teoriche e organizzative del partito comunista.
A Imola si registrò il convergere della cosiddetta "terza componente" - quella che faceva capo al F. e a Repossi - sulle posizioni di Bordiga, ma sul fatto che sin da allora il F. potesse essere considerato "bordighiano" esistono valutazioni discordanti. Lo Spriano ritiene che il F. e Repossi fossero già in quel momento "conquistati completamente da Bordiga" e "uomini suoi" (I, pp. 103, 117). Di diverso avviso è il Cortesi, per il quale "la saldatura con Bordiga, allorché questi rinunciò a fare dell'astensionismo un fondamento programmatico del futuro partito, non equivalse a una adesione passiva dei milanesi alle sue concezioni, ma corrispose al comune riconoscimento della necessità di una scissione la cui linea non passasse attraverso compromessi e dosaggi; al contrario la scissione doveva rispettare il più possibile le divisioni presenti da lungo tempo nel PSI, che la guerra imperialistica, la rivoluzione russa, i diversi atteggiamenti di fronte all'Internazionale comunista avevano accentuato e, dopo l'occupazione delle fabbriche e il II congresso dell'Internazionale stessa, drammaticamente precisato. Sulla base di questo comune riconoscimento, che non lasciava grandi margini al diviso e dubbioso gruppo torinese, si sviluppò tra i milanesi e i bordighiani una feconda collaborazione" (Prefazione a B. Fortichiari, Comunismo…, p. 12). Lo stesso F. ebbe a rivendicare l'originale apporto dei massimalisti milanesi alla costruzione del partito comunista.
Il 21 genn. 1921, al congresso di Livorno, il F. presentò la mozione che dichiarava costituito il Partito comunista d'Italia (PCd'I); al termine dei lavori venne eletto nel Comitato centrale del nuovo partito e quindi nel comitato esecutivo, insieme con A. Bordiga, R. Grieco, L. Repossi e U. Terracini. Al F. venne affidata la responsabilità dell'ufficio I, dal quale dipendeva l'organizzazione illegale del partito. Lo stesso F., che aveva assunto lo pseudonimo Loris, guidò direttamente le squadre comuniste di autodifesa operanti a Milano. Confermato, insieme con gli altri membri, nell'esecutivo del PCd'I dal II congresso (Roma, 20-24 marzo 1922), nella primavera del 1923 fu inviato in Unione Sovietica per approntare un piano che consentisse ai comunisti italiani di far fronte alle persecuzioni del fascismo.
Nel giugno dello stesso anno il F. partecipò ai lavori dell'esecutivo allargato dell'Internazionale comunista (Komintern), riunitosi a Mosca. In tale occasione il Komintern espresse dure critiche nei confronti della linea estremista dei comunisti italiani e impose d'autorità al PCd'I un nuovo esecutivo, del quale il F. - il solo dei cinque vecchi membri - avrebbe dovuto far parte. Il F. rifiutò l'incarico, sia per solidarietà con gli esclusi, sia perché non accettava l'idea di essere confermato soltanto in ragione delle sue delicate mansioni "tecniche" nell'apparato illegale del partito. Soprattutto condivideva l'opinione di Bordiga (in quel periodo rinchiuso in carcere), secondo cui un esecutivo "misto", comprendente i rappresentanti della "destra", era in contraddizione con gli stessi criteri organizzativi dei partiti comunisti, che richiedevano un centro direttivo omogeneo. Ripetute volte, tra il luglio e l'agosto del 1923, il F. presentò formalmente le dimissioni dall'esecutivo e dal Comitato centrale, ma esse vennero sempre respinte. Solo nell'autunno, mentre egli si trovava esule a Vienna in precarie condizioni fisiche, gli venne concesso un congedo per motivi di salute.
Il 22 marzo 1924 il F., che era segretario della federazione comunista di Milano, invitò Bordiga a tenere una conferenza presso la locale università proletaria. La conferenza dette luogo a una clamorosa manifestazione in favore del principale esponente dell'opposizione interna del PCd'I; questo fatto acuì la tensione tra le componenti del partito e portò alla destituzione del F. dalla segreteria cittadina. Nelle elezioni politiche del 6 apr. 1924 venne comunque candidato e risultò eletto deputato per la Lombardia. Nel giugno 1925 fu promotore di un'altra iniziativa che portò allo scoperto il dissenso della minoranza di estrema sinistra: insieme con i deputati O. Damen, F. Gullo, L. Repossi e altri esponenti bordighiani diede vita a un comitato d'intesa, ritenuto frazionistico e perciò sciolto su intimazione dell'Internazionale. Il conflitto si risolse al III congresso del PCd'I (Lione, 20-26 genn. 1926) con la plebiscitaria vittoria delle tesi di Gramsci e la definitiva sconfitta ed emarginazione politica dei bordighiani. L'8 novembre dello stesso anno il F. venne arrestato con altri deputati comunisti, tutti dichiarati decaduti dal mandato parlamentare; il 4 genn. 1927 fu condannato a cinque anni di confino, ma circa un mese dopo venne prosciolto con la condizionale perché affetto da tubercolosi.
Rientrato a Milano, il F. venne a trovarsi in gravi difficoltà economiche e dovette inoltre patire l'ostracismo del partito, che nel 1929 lo espulse con l'accusa di svolgere attività frazionistica filobordighiana. Durante il fascismo il F., che si manteneva facendo lavori precari, da salumiere a venditore ambulante, restò in contatto con pochi altri esponenti bordighiani, tra i quali il Repossi. Insieme con loro produceva qualche documento, firmato "Gruppo comunista" e "Sinistra comunista", che veniva diffuso nelle cassette postali e in alcune fabbriche. Nel 1944 fece domanda di riammissione nel partito e si collegò al gruppo del Lavoratore, diretto dall'esponente della sinistra comunista C. Venegoni. Nel 1945 il F., che era stato sollecitato da L. Basso e da C. Bonfantini ad aderire al Partito socialista di unità proletaria venne riammesso nel Partito comunista italiano (PCI). Fu designato membro della Consulta nazionale, ma nei suoi confronti permanevano molte diffidenze, che non gli consentirono di assumere posizione di rilievo nel partito. Fuori dagli organismi dirigenti del PCI, venne "confinato" con compiti di direzione alla Lega nazionale delle cooperative. In occasione delle elezioni del 1948 la sua candidatura, avanzata dalla federazione milanese del PCI, venne cancellata dai vertici del partito. Dopo il XXII congresso della Lega, tenutosi a Firenze nel dicembre 1949, il F. si dimise da dirigente nazionale e si ritirò a Luzzara, ove fu segretario della locale cooperativa di consumo.
All'inizio degli anni Cinquanta si allontanò dalle posizioni propriamente bordighiane e spinse la propria eresia fino a considerare sullo stesso piano gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, paese quest'ultimo nel quale, a suo giudizio, non vigeva il comunismo, bensì il capitalismo di Stato. Nel tentativo di favorire una politica di mobilitazione delle masse operaie, in vista di quello che a lui appariva l'inevitabile scontro finale con il nemico di classe, il F. cercò di collegarsi con quei settori del PCI che contrastavano la politica di Togliatti e avevano in P. Secchia l'esponente di maggior spicco. La convergenza tattica si realizzò intorno al gruppo di Azione comunista, ma si rivelò assai fragile ed effimera (lo stesso F. dirà, anni dopo, di non aver "mai creduto assolutamente di influire su Secchia", Comunismo…, p. 183) e quando, nel luglio 1956, il F. venne espulso dal PCI, Secchia si trovò a difendere le ragioni del partito contro le tendenze centrifughe di sinistra. Negli anni successivi il F. non abbandonò mai la speranza di veder nascere in Italia un partito rivoluzionario in grado di "competere con il PCI, che cerca di evitare ogni trauma alla classe borghese" (ibid.) e mantenne contatti con vari gruppi organizzati alla sinistra del PCI.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni di solitudine e di indigenza. Morì a Milano il 6 genn. 1981.
Il F. è autore dei volumi A. Zanetta (con M. Malatesta), Milano 1948; Sul XX Congresso del PCUS. Come è stato fondato il PCI. A Repossi, Gramsci, Turati, ibid. 1958; Comunismo e revisionismo in Italia, in Testimonianza di un militante rivoluzionario, a cura di L. Cortesi, Torino 1978.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2128; G. Palazzolo, L'apparato illegale del PCI nel 1921-22 e la lotta contro il fascismo, in Riv.stor. del socialismo, settembre-dicembre 1966, pp. 98, 112-119, 121-124, 133, 140, 142; C. Pillon, I comunisti nella storia d'Italia, Milano 1966, ad Indicem; L. Cortesi, Il socialismo ital. tra riforme e rivoluzione 1892-1921, Bari 1969, ad Indicem; P. Secchia, L'azione svolta dal partito comunista in Italia durante il fascismo, in Ann. dell'Ist. G. Feltrinelli, XI (1969), ad Indicem; P. Bolchini, Milano 1915: il socialismo e la guerra, in Movimento operaio e socialista, ottobre-novembre 1970, pp. 270, 276, 278, 286; A. De Clementi, A. Bordiga, Torino 1971, ad Indicem; A. Lepre - S. Levrero, La formazione del Partito comunista d'Italia, Roma 1971, ad Indicem; L. Cortesi, Le origini del partito comunista italiano. Il PSI dalla guerra di Libia alla scissione di Livorno, Bari 1972, ad Indicem; G. Bocca, P. Togliatti, Roma-Bari 1973, ad Indicem; P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI nel 1923-24, Roma 1974, pp. 13 s., 19, 88, 91, 126 s.; P. Spriano, Storia del Partito comunista ital., I-II, V, Torino 1976, ad Indices; G. Mammarella, Il Partito comunista ital. 1945-1975. Dalla Liberazione al compromesso storico, Firenze 1976, ad Indicem; F. Livorsi, Amedeo Bordiga, Roma 1976, ad Indicem; R. Martinelli, Il Partito comunista d'Italia 1921-1926, Roma 1977, ad Indicem; L. Valiani, Il Partito socialista ital. nel periodo della neutralità 1914-1915, Milano 1977, ad Indicem; U. Terracini, Intevista sul comunismo difficile, a cura di A. Gismondi, Roma-Bari 1978, ad Indicem; A. Del Pont - S. Carolini, L'Italia al confino. 1926-1943, I, Milano 1983, p. 238; I. Granata, Sindacato e crisi della democrazia. La Camera del lavoro di Milano dallo "splendore" del biennio rosso allo scioglimento, Milano 1986, ad Indicem; G. Galli, Storia del PCI, Milano 1993, ad Indicem; C. Beltrami - J.V. Maggiani, Vita e idee di B. F., in Ricerche storiche, XXIX (1995), 76, pp. 53-94; I 535 eletti per la XXVII legislatura, Bologna 1924, p. 131; Diz. biogr. del movimento operaio ital., a cura di F. Andreucci - T. Detti, II, Roma 1976, ad vocem; Encicl. dell'antifascismo e della Resistenza, VI Appendice, Milano 1989, ad vocem.