FATTORI, Bruno
Nato a San Giustino (Perugia) il 31 marzo 1891 da Quintiliano e Vittoria Bisigotti, entrambi di Urbino, trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Senigallia, dove il padre gestiva la farmacia locale, e compì gli studi ginnasiali in convitto a Città di Castello e quelli liceali a Senigallia. Iscrittosi alla facoltà di lettere a Roma, al terzo anno si trasferì a Bologna, dove si laureò in letteratura italiana nel novembre 1913 con una tesi su Giambi ed Epodi di G. Carducci. ottenne presto un incarico per l'insegnamento ad Imola, che dovette però lasciare subito perché chiamato al servizio di leva. Allo scoppio della guerra, convinto delle necessità morali e politiche del conflitto, si recò al fronte come volontario; ferito e mutilato sul Carso il 30 giugno 1915, fu messo in congedo. L'anno successivo si arruolò ancora come volontario; ferito per la seconda volta il 30 giugno 1916, fu messo in congedo permanente e decorato con medaglia al valore. Sposatosi con Ada Castelli, nell'aprile 1919 ebbe la cattedra di italiano alla scuola magistrale di Senigallia. Tre anni dopo, superato un concorso per docenti negli istituti tecnici, venne destinato alla scuola "Umberto I" di Ascoli Piceno, dove insegnò italiano. In seguito si trasferì a Pisa, dove trascorse il resto della vita dedicandosi all'insegnamento e all'attività di uomo di lettere.
Morì a Pisa il 15 ott. 1985.
Schivo, estraneo a correnti letterarie, coltivò gelosamente la passione per la poesia, che si rivolgeva essenzialmente alle esperienze della sua esistenza: l'infanzia, la guerra, l'attaccamento alle città in cui visse, gli affetti, l'insegnamento sentito come vera e propria missione, lo sport inteso come alta manifestazione dello spirito umano, e infine nella vecchiaia, offuscata dalla cecità incombente, la solitudine e l'angoscia.
La guerra, e la convinta partecipazione giovanile del F., ispirarono le raccolte: Canti di guerra di un caporale (Senigallia 1919); La voce dei perduti (Lanciano 1928); Voce di una guerra: liriche 1914-18 (Pisa 1968). In queste raccolte, partendo da un manierismo patriottico di stampo carducciano egli approda gradualmente verso una lirica più intima e dimessa, così come l'entusiastica adesione - come per moltissimi giovani della sua generazione - ad una guerra sentita come un riscatto sociale e civile lascia spazio alla consapevolezza dei cinici giochi di potere dietro i pretesi ideali.
Durante i primi anni del fascismo il F. esercitò nei confronti del regime e dei suoi grotteschi rappresentanti una critica dura, presente in alcune liriche pubblicate successivamente, ad esempio ne Le maledette (Pisa 1959). Ammorbiditasi successivamente la sua ostilità, aderì in modo marginale alle nuove idee, esaltando esclusivamente l'impulso alle attività sportive: coltivate allora come esaltazione di virilità e di orgoglio nazionale, erano invece per lui un'eccelsa manifestazione dello spirito umano, oltre ogni barriera etnica e sociale. Nella raccolta Crescer d'anima (ibid. 1941) sono incluse quasi tutte le liriche dedicate all'argomento, pervase da un ostentato classicismo di maniera. La formazione culturale, la professione stessa d'insegnante di lettere rivolsero le sue scelte stilistiche più alla tradizione che al rinnovamento. Lontana dai grandi movimenti letterari del Novecento, la sua poesia si espresse in una vena lirica garbata e attenta alle piccole cose della vita. Grande risalto, ad esempio, è dato alle città in cui visse: Senigallia, Ascoli Piceno e Pisa sono altrettanti microcosmi, nei quali l'autore riconosce se stesso e le proprie radici. Di gustosi bozzetti naturalistici e di ritratti arguti e penetranti abbondano sia Vecchia Senigallia (Pisa 1970) sia Amore di Ascoli (ibid. 1973).
Dopo l'abbandono dell'insegnamento, al quale dedicò la commossa raccolta Addio alla scuola (ibid. 1961), la poesia del F. subì un ulteriore ripiegamento su temi più intimi. La vecchiaia che incalza, la cecità in agguato, la morte della moglie Ada lo inducono ad accentuare i toni della malinconia, della solitudine e della nostalgia verso il mitico mondo dell'infanzia. I versi delle ultime raccolte, pubblicate postume, Si fa notte (Roma 1986) e Ultime faville (ibid. 1986), filtrano la rabbia e la disperazione di un uomo ormai solo e prossimo a morire, ma lanciano anche un messaggio di indulgenza e speranza nei confronti della vita.
Collaborò a molti periodici e giornali, tra i quali Il Telegrafo di Livorno, La Rassegna di Pisa, La Rivista d'Italia, L'Eroica, Convivium, Olimpo, Il Corriere elbano, Il Meridiano di Roma, Il Tirreno, La Fiera letteraria. Fu socio corrispondente dell'Istituto marchigiano di scienze, lettere e arti di Ancona e dell'Accademia dei Sepolti di Volterra. La sua produzione poetica ottenne numerosi premi letterari: XI Olimpiade (Berlino 1936); Istituto di Studi romani (1937); Goethe (Verona 1939); Sanremo (1940); Firenze (1957), Bergamo (1959); Amici del libro (Napoli 1965); Premio internazionale del sonetto (1980); Premio di poesia Città di Fucecchio (1985). Come traduttore ha pubblicato Pisa nei versi di due poeti francesi dell'800, Pisa 1953, e J. Milton, I sonetti, Milano 1958.
Scritti in prosa: Commento a Giambi ed Epodi di G. Carducci, Senigallia 1914; A. Scotti (pseudonimo), La necessità dell'autocrazia, ibid. 1914; Letture di Dante (Lecturae Dantis internationales), Milano 1963-70. Nell'indice della critica dantesca curato da A. Vallone per gli Studi danteschi dal 1950 al 1964 di E. Esposito (Roma 1965) il F. è citato per i saggi Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Canto XXVI dell'Inferno e Un trentennio di critica dantesca.
Opere in poesia, oltre a quelle già citate: L'altra sponda, Senigallia 1913, Linee azzurre, Ascoli Piceno 1933; Incontri, ibid. 1934; Dedalo e Icaro, ibid. 1934; Divenire, Adria 1936; Veglia a Getsemani, Città di Castello 1940; Viadell'ulivo, Pisa 1942; Fiora Turno (pseudonimo), La donna del soldato, Milano 1942; Mondo. Pisa 1952; Ritmo, ibid. 1953; Tizio, ibid. 1954; Non mutabile ormai con erba e fiore, ibid. 1955; Il sergente di Farla, ibid. 1955; Obbedienza, ibid. 1956; Il caporale di Palestro, ibid. 1959; Garibaldi in Sicilia, ibid. 1960; Prose e poesie, ibid. 1961; Il tait di mio padre, ibid. 1964; La casa di Eco: Posologia 1 0 2 confetti al giorno, preferibilmente al mattino, ibid. 1966; Incontri di Lunigiana, Roma 1968; Non ha senso la ragione, Pisa 1970, Per la morte di Ada Castelli Fattori, parole di suo marito, ibid. 1970; Andantino Pesaro-Gabicce, ibid. 1971; Coro di carcerati, ibid. 1973; Un ritratto di Cechov, ibid. 1973; Mosche e farfalle: epigrammi, ibid. 1975, La Senigallia di B. Fattori, Senigallia 1976; Il gatto di Adamo, Pisa 1979; Jocare, ibid. 1981; Follia e ragione 3 a 2, ibid. 1981; Tu edio, ibid. 1984.
Bibl.: L. Sabbatucci, Ascoli e il suo cantore, B. F., Prefaz. ad Amore di Ascoli, cit.; M. Carafoli, Prefaz. a La Senigallia di B. Fattori, cit.; S. Guarnieri, Prefaz. a Tu edio, cit.; L. Betocchi, Letture di poeti, in Frontespizio, VIII (1936), pp. 98 ss.; L. Capelli, Arietta di Arcadia, in La Fiera letteraria, 7 dic. 1952; V. Vettori, Storia letteraria della civiltà italiana, Pisa 1969, ad Indicem; M. Camillucci, Letture di poesia, in L'Osservatore romano, 15 marzo 1969.