ROSSI, Bruno Benedetto
ROSSI, Bruno Benedetto. – Nacque a Venezia il 13 aprile 1905, primogenito di Rino, un ingegnere coinvolto nell’elettrificazione della città di Venezia, e di Lina Minerbi.
Laureatosi in fisica a Bologna nel 1927, Rossi divenne assistente di Antonio Garbasso, direttore dell’istituto di fisica dell’Università di Firenze. Individuò presto nei raggi cosmici un promettente campo di ricerca compatibile con le limitate risorse dell’istituto.
La misteriosa radiazione penetrante proveniente dagli strati alti dell’atmosfera, denominata raggi cosmici da Robert Millikan, era stata individuata da Viktor Hess nel 1912, e contemporaneamente dall’italiano Domenico Pacini. Per Millikan i raggi cosmici erano raggi gamma di altissima energia, prodotti nel corso del processo di formazione degli elementi nello spazio interstellare. Tuttavia, un esperimento effettuato nel 1929 dai fisici tedeschi Walther Bothe e Werner Kolhörster mise in seria difficoltà questa teoria, dimostrando che i raggi cosmici contengono particelle cariche in grado di attraversare grandi spessori di materia molto densa. Bothe e Kolhörster trovarono che due contatori Geiger-Müller, posti in parallelo a distanza di diversi centimetri l’uno dall’altro e circondati da un pesante schermo di piombo e ferro, di tanto in tanto si scaricavano simultaneamente in seguito al passaggio di una particella carica attraverso lo schermo e i due contatori. Inoltre, il tasso di coincidenze diminuiva solo di una piccola quantità quando un blocco d’oro spesso 4,1 centimetri veniva interposto tra i contatori, una chiara prova dell’energia notevole e dell’alto potere di penetrazione delle particelle cariche rilevate.
Partendo dalle osservazioni di Bothe e Kolhörster, insieme a Gilberto Bernardini, Giuseppe Occhialini e Daria Bocciarelli, Rossi fabbricò alcuni contatori Geiger-Müller basandosi sulle descrizioni pubblicate e mise a punto quello che divenne universalmente noto come il circuito di coincidenze ‘alla Rossi’. Si trattava di un dispositivo che integrava contatori e valvole elettroniche e che in linea di principio consentiva di registrare il passaggio simultaneo di particelle cariche attraverso un numero arbitrario di contatori, permettendo inoltre di raggiungere una risoluzione temporale ben maggiore rispetto a quella ottenibile con il metodo meccanico impiegato dai fisici tedeschi. Rossi inaugurava così il suo programma di ricerca che si proponeva di fornire ulteriori prove sulla natura corpuscolare dei raggi cosmici e di determinarne le proprietà.
Secondo l’ipotesi di Millikan, i raggi cosmici in arrivo dallo spazio – in quanto radiazione gamma – non avrebbero dovuto subire l’influenza del campo magnetico terrestre, al contrario delle particelle cariche che tendono a muoversi intorno alle linee di forza. Tuttavia Rossi, convinto della loro natura corpuscolare, formulò nell’estate del 1930 una teoria secondo cui ci sarebbe stata una differenza nell’intensità dei raggi cosmici provenienti da est o da ovest rispetto al meridiano magnetico, a seconda del segno della carica. Si trattava di un fenomeno geomagnetico che si aggiungeva al già previsto effetto di latitudine (riguardante una dipendenza della intensità dei raggi cosmici dalla latitudine geomagnetica), non ancora pienamente verificato a quel tempo. Rossi tentò di misurare l’‘effetto est-ovest’ con un ‘telescopio’ per raggi cosmici consistente in due contatori paralleli montati a diversi centimetri l’uno dall’altro su una base girevole e connessi al suo circuito elettronico di coincidenza. Ma ad Arcetri non riuscì a ottenere risultati significativi e progettò quindi una spedizione in un luogo di montagna più vicino all’equatore, dove, secondo la sua teoria, la differenza est-ovest sarebbe stata assai più rilevante e quindi facilmente osservabile.
Nel corso dei primi anni Trenta, in una serie di pionieristici esperimenti svolti con varie configurazioni geometriche dei contatori e degli schermi assorbitori, Rossi dimostrò che i raggi cosmici rivelati localmente contengono una componente che viene rapidamente assorbita dalla materia densa in seguito a interazioni che producono sciami di particelle secondarie. L’esistenza degli sciami secondari fu confermata nel 1932 in Gran Bretagna da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini, il primo laureato di Rossi ad Arcetri, attraverso l’uso della camera a nebbia comandata da contatori in coincidenza. I dati derivanti dagli esperimenti di Rossi fornirono inoltre uno dei primi test della teoria, basata sull’elettrodinamica quantistica, formulata per descrivere lo sviluppo e attenuazione nella materia delle cascate di elettroni, positroni e fotoni. In un altro esperimento Rossi dimostrò che esistono raggi cosmici in grado di attraversare uno schermo di piombo spesso più di un metro (corrispondente a uno spessore superiore a quello dell’atmosfera terrestre) dopo essere stati filtrati da uno schermo metallico spesso 10 centimetri, fornendo una prova decisiva delle altissime energie di cui queste particelle sono dotate.
Nell’autunno del 1932, con il decisivo appoggio di Enrico Fermi, profondamente consapevole del valore innovativo di queste ricerche, Rossi vinse la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Padova, dove si trasferì alla fine del 1932. Ottenuti finalmente i fondi, nel 1933 organizzò una spedizione all’Asmara, in Eritrea, all’epoca colonia italiana, a un’altitudine di circa 2300 metri. Trovò che effettivamente l’intensità delle particelle penetranti provenienti da ovest superava del 20 per cento quella del flusso da est, provando quindi che i raggi cosmici in arrivo dallo spazio hanno carica positiva.
Durante i test del suo apparato all’Asmara, Rossi scoprì anche l’esistenza nell’aria di sciami molto estesi di particelle causati dall’interazione dei raggi cosmici con i nuclei dell’atmosfera, in grado di causare coincidenze tra contatori a grande distanza l’uno dall’altro, un fenomeno poi riscoperto da Pierre Auger nel 1937.
Lo studio dei grandi sciami atmosferici permette di determinare l’energia e la direzione di arrivo dei raggi cosmici primari di altissima energia che generano lo sciame ed è ancora oggi utilizzato per rivelare e studiare particelle dotate di velocità prossime a quelle della luce, la cui origine è tuttora sconosciuta.
A Padova, oltre a occuparsi dell’attività di ricerca e dell’insegnamento, Rossi assunse l’incarico di pianificare e supervisionare la costruzione di un nuovo istituto di fisica, destinato a diventare uno dei più moderni all’epoca, di cui divenne direttore. Nell’aprile del 1938 sposò Nora Lombroso, ma il settembre successivo fu destituito dalla sua cattedra in seguito alla promulgazione delle leggi razziali a causa delle origini ebraiche della madre e decise di lasciare l’Italia. Nel giugno del 1939, su invito del fisico americano Arthur Compton, Rossi si recò a Chicago per partecipare a una conferenza internazionale sui raggi cosmici. Particolarmente dibattuto fu il problema del decadimento dei mesotroni, particelle penetranti dei raggi cosmici di recente individuate, dotate di una massa con un valore intermedio tra quella dell’elettrone e del protone. Supportato da Compton, Rossi effettuò un esperimento in alta montagna dimostrando che effettivamente il mesotrone dei raggi cosmici, più tardi denominato muone, decade rapidamente. Nell’autunno del 1940 Rossi ebbe un incarico di professore associato all’Università di Cornell, dove, insieme a Norris Nereson, effettuò la prima misura precisa della vita media dei mesotroni a riposo, pari a circa 2,2 microsecondi.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Rossi lavorò inizialmente come consulente del Radiation laboratory del Massachusetts Institute of technology (MIT) dove veniva sviluppata la strumentazione radar a scopi militari e nella tarda primavera del 1943 entrò a far parte del progetto per la costruzione della bomba atomica, spostandosi nei laboratori segreti di Los Alamos, nel Nuovo Messico.
Nell’autunno del 1946 fu chiamato al MIT, dove fondò il gruppo sui raggi cosmici che effettuò ricerche su una scala enormemente cresciuta, grazie al largo apporto di fondi e ai nuovi sviluppi tecnologici derivati in buona misura dalle ricerche belliche. Accanto alle indagini riguardanti le proprietà dei raggi cosmici primari, furono studiate le particelle instabili generate nell’interazione con la materia. Alcuni risultati notevoli furono la rivelazione del pione neutro e il suo decadimento in una coppia di raggi gamma, le misurazioni delle proprietà dei kaoni e degli iperoni e la prima osservazione diretta dell’annichilazione di un antiprotone. Le ricerche pionieristiche sugli sciami estesi atmosferici determinarono lo spettro di energia dei raggi cosmici individuando eventi dalla incredibile energia di 1020 elettronvolt, di gran lunga superiore a quella ottenibile in qualsiasi laboratorio terrestre.
Nel 1958, quando la fenomenologia dei raggi cosmici risultava ben compresa e gli esperimenti con gli acceleratori dominavano oramai la fisica delle particelle, gli interessi di Rossi si spostarono sempre più verso l’astrofisica e si rivolsero alle nuove opportunità di esplorazione rese possibili dall’avvento dei veicoli spaziali, una nuova dimensione scientifica che si rivelò subito di straordinaria ricchezza. Nel 1961 una sonda costruita dal gruppo di Rossi al MIT, trasportata dal razzo Explorer 10, effettuò la prima misurazione diretta della densità, velocità e direzione del vento solare ai confini della magnetosfera terrestre. Nello stesso periodo Rossi promosse gli studi che portarono, nel 1962, alla scoperta della prima sorgente extrasolare di raggi X a circa 9000 anni luce dalla Terra.
Questo esperimento spaziale inaugurava l’astronomia X, un nuovo potente strumento per l’osservazione dell’Universo, che ha fornito un enorme contributo allo sviluppo dell’astrofisica e una fonte essenziale di informazione sulle stelle di neutroni, i buchi neri e in generale su tutti i processi di alta energia nell’universo.
Nel corso delle sue attività di ricerca, Rossi accolse spesso nel suo gruppo giovani fisici dall’Italia e allo stesso tempo tenne corsi e seminari durante i suoi regolari soggiorni in patria, dando così un fondamentale contributo alla rinascita della fisica italiana nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta. Inoltre, a partire dal dopoguerra, ebbe un ruolo rilevante nella politica scientifica degli Stati Uniti, in particolare all’inizio dell’era spaziale. Nel 1965 fu nominato Institute professor, la carica più alta per un membro della facoltà del MIT, ed ebbe numerosi riconoscimenti come la medaglia d’oro della Società italiana di fisica e, negli Stati Uniti, la National medal of science e il prestigioso premio Wolf per la fisica.
Morì nella sua casa di Cambridge (Massachusetts) il 21 novembre 1993.
Le sue ceneri riposano nel cimitero dell’abbazia di S. Miniato al Monte che domina la città di Firenze e da cui si scorge la collina di Arcetri, dove era iniziata la sua carriera scientifica.
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