BRUNENGO
Vescovo di Asti, fu tra le personalità di maggior rilievo del regno d'Italia a metà del sec. X. Ne ignoriamo sia la famiglia sia la provenienza; e incerta è la data iniziale del suo episcopato ad Asti.
Nei documenti astigiani in nostro possesso B. è citato per la prima volta come vescovo nel novembre 937, mentre l'ultima menzione del suo predecessore Audace risale al marzo del 926. L'ipotesi per cui Audace avrebbe, ancora il 5 ag. 935, emesso un diploma in favore del monastero di S. Dalmazzo di Pedona, in cui concedeva l'autorizzazione di ricostruire l'abbazia distrutta dai Saraceni, sottoponendola alla regola benedettina, che B. avrebbe poi confermato con un diploma del 1º luglio 941, si basa sul cosiddetto Rationarium temporum Iacobi Berardenci Cuneatis, falsa cronaca redatta in epoca moderna dal Meyranesio (al riguardo vedi Cipolla, 1990, pp. 369 s.).Infatti B. disponeva dei possedimenti di S. Dalmazzo ancora nel 948:e pertanto a quest'epoca l'abbazia non aveva ancora riacquistato una vita autonoma. Rimane quindi insoluta la questione se B. nel 937 fosse vescovo di Asti già da molto tempo o lo fosse divenuto di recente, e se si debba eventualmente ipotizzare una prolungata sede vacante tra Audace e Brunengo.
Dai documenti attestanti l'amministrazione dell'episcopato astigiano compiuta da B. - trenta in tutto, relativi a permute e a locazioni di fondi e a liti in cui B. fu parte o giudice - si ricava che egli seppe incrementare abilmente le entrate e i diritti della sua Chiesa. La più importante acquisizione da lui compiuta fu certamente il castel vecchio di Asti che, con la inclusa cappella di S. Ambrogio, era stato venduto il 22 giugno 936 dal chierico Guido (figlio del conte Oberto di Asti, precedentemente entrato nell'ordine monastico) al marchese Anscario II di Ivrea e che Anscario trasferì al vescovo e alla Chiesa di Asti quando, divenuto marchese di Spoleto, partì dall'Italia settentrionale (937). Comunque già nel suo primo diploma, del novembre 937, B. ritenne di poter concedere a livello - ad un certo Gumperto - un appezzamento di terreno con relativa casa in castel vecchio come appartenente al "dominium et potestate suprascripto episcopi sancte Astensis ecclesie". Il diploma con cui i re Ugo e Lotario concedevano il 23 luglio 938, su richiesta di B., il castel vecchio, compresa la chiesa di S. Ambrogio, alla Chiesa di Asti ("per nostri precepti paginam donare et concedere, confirmare quoque et corrobare dignaremur") deve perciò essere considerato soltanto come un atto di riconferma redatto nella forma di prima concessione; forma che dovette essere adottata al fine, di evitare la menzione del nome di Anscario II, il quale nel frattempo era caduto in disgrazia presso re Ugo (si è supposto spesso - così Cipolla, 1890, p. 367, e Gabiani, p. 437 -, che Anscario avesse concesso insieme con il castel vecchio anche il suo castello di Annone ove risiedette nel 933 e che nel 1095 apparteneva alla Chiesa di Asti; l'ipotesi si deve ritenere errata poiché ancora il 9 sett. 952 re Berengario II menzionava "nostra curtis quae Nonis nuncupatur").
Successivamente B. trasferì in castel vecchio la sede episcopale di Asti; già alla fine del 950 o all'inizio del 951 egli stilava "in laubia domus domni Bruningi episcopi intus castrum qui dicitur vetere". Ma S. Secondo rimase chiesa cattedrale di Asti; documenti del 954, 955 e seguenti continuano a menzionare la "ecclesia S. Marie (et S. Secundi)" come "sedis episcopatum Astense"; e B. fece ancora intraprendere lavori di costruzione per S. Secondo - secondo una iscrizione scoperta nel 1888. Il castel vecchio doveva però fungere anche da rifugio dalla minaccia di incursioni saracene. Non per nulla B. imponeva, già nel 937, all'uomo che aveva ottenuto a livello un fondo con casa nel castel vecchio, la manutenzione di un tratto del muro del castello e "propter persecutionem paghanorum vuaitare et defendere predictam terram". Con il consenso di re Ugo il vescovo di Asti si inseriva così nella difesa del territorio.
Ma i rapporti di B. con re Ugo, che nel 938 lo qualificava anche "dilectus fidelis", non furono mai molto stretti, nonostante la manifestazione di benevolenza evidenziata nella cessione o meglio riconferma del castel vecchio. È probabile che nel suo intimo B. fosse rimasto più strettamente legato alla famiglia del marchese Anscario II. Non sorprende, perciò, trovarlo tra i sostenitori di Berengario II, fratellastro di Anscario ucciso a Spoleto (939-940) da uomini di fiducia di Ugo. Infatti quando Berengario II, ritornato in Italia nella primavera del 945 dal suo esilio in Germania costrinse Ugo a ritirarsi in Provenza, B. risulta da un documento del 27 maggio 945 arcicancelliere del giovane re Lotario, figlio di re Ugo, che Berengario tuttora tollerava tenendolo però completamente sotto la propria tutela. Evidentemente B. nella sua veste di arcicancelliere doveva influenzare il giovane Lotario nel senso voluto da Berengario.
Un documento dei re Ugo e Lotario, che ci è pervenuto soltanto in copia, e dove già il 13 ag. 941 B. è detto arcicancelliere, sembra presentare un errore del copista nella riga della recognitio in cui è nominato il cancelliere: "advicem Bruningi episcopi et archicancellarii" invece di "advicem. Bosonis episcopi et archicancellarii"; altrimenti si dovrebbe supporre che B. era allora effettivamente subentrato nell'ufficio di Bosone, per un breve periodo o come suo sostituto. Quando poi nell'estate del 945 lo stesso Berengario II richiamò in Italia re Ugo - temendone il ritorno in armi dalla Provenza - e fu nuovamente ristabilito per circa un anno e mezzo il potere regio di Ugo, la recognitio dei documenti ritorna naturalmente di nuovo in nome di Bosone o semplicemente "regio lussu".
Dal 19 maggio 947, essendosi Ugo definitivamente ritirato in Provenza, il solo B. è ancora documentabile come arcicancelliere di re Lotario. Al seguito del re B. percorse più volte il regno italico. Egli rimase arcicancelliere anche dopo la morte di Lotario (22 nov. 950) durante il primo anno del regno del nuovo re Berengario II e di suo figlio Adalberto. Ma quando nell'autunno del 951 comparve in Italia settentrionale con il suo esercito Ottone I, che liberò e sposò Adelaide, la vedova di re Lotario perseguitata da Berengario, e ingiunse a Berengario di sottomettersi, anche B. - spontaneamente o perché costretto - si schierò con il re germanico a Pavia nel settembre 951 (la recognitio di un diploma di Ottone I, emesso nell'autunno 951 in favore di un arciprete di Vercelli, è in nome di B. nella veste di arcicancelliere).
Questa sua decisione, però, gli dovette far perdere la fiducia particolare di Berengario II. Anche se nel marzo 952 la recognitio di un atto di Berengario II ed Adalberto fu di nuovo "iussu regum ad vicem Burningi episcopi et archicancellarii", fu rimosso dalla dignità di arcicancelliere nel settembre del 952 e sostituito dal vescovo Guido di Modena. Non si arrivò, comunque, ad una rottura completa tra B. e Berengario. B. intervenne infatti nel settembre 952 come "dilectus fidelis" in un diploma regio di Berengario in favore del monastero di Azzano del Tanaro, ed il 23 maggio 954 ottenne persino alla corte regia un privilegio per l'istituzione di un mercato mensile a Quargnento. Quando poi Liudolfo, figlio di Ottone I, attraversò le Alpi nel tardo autunno del 956 per debellare la signoria di Berengario II, B. sembra aver assunto un atteggiamento favorevole all'impresa: fece datare nell'aprile del 957 un atto di permuta secondo gli anni del regno italiano di Ottone, al pari di quanto avvenne a Lecco e a Milano. Gli atti successivi, dal gennaio 959 al febbraio 961, quando venne a mancare un'effettiva potestà germanica in Italia, B. li fece datare di nuovo per Berengario II ed Adalberto. Tuttavia non troviamo ulteriori prove di favore per B. da parte di questi re.
B. era evidentemente favorevole alla imminente instaurazione della signoria di Ottone I sull'Italia. Dopo che Ottone I, attraversate le Alpi, ebbe sottomesso il regno d'Italia e ottenuta anche la corona imperiale, egli fu uno dei primi vescovi italiani ad ottenere un significativo privilegio per la sua Chiesa: la conferma di tutti i possedimenti e precedenti privilegi ed in particolare quello per cui alla Chiesa di Asti erano affidati giurisdizione, mercato e tutti i poteri pubblici nella città e nel circondario entro un raggio di due miglia ("iure proprietario districtum mercatum atque omnem publicam functionem suae possidet civitatis et circumcirca infra duo miliaria coniacentia"). Con questo privilegio del 25 sett. 962, che B. fece confermare due giorni dopo dal tribunale regio, era stato compiuto il passo decisivo verso la piena realizzazione della signoria vescovile sulla città e l'acquisizione del potere comitale.
L'ulteriore assunzione di potere politico ed amministrativo B. dovette ben presto lasciarla ad altri. Egli è menzionato per l'ultima volta in un documento di permuta del gennaio 964. Il suo successore nell'episcopato astigiano, Rozo, è documentato per la prima volta il 25 apr. 967. quando partecipò ad un sinodo in Ravenna, e nel gennaio 969 viene definito da Ottone I "nostri examinis gratia episcopus". Poiché il necrologio di Ventimiglia registra il 21 marzo un "Brunengus episcopus" e non vi è prova che questi fosse vescovo di quella città, possiamo ritenere che B. morì un 21 marzo tra il 964 e il966. Non sappiamo sela sua morte e l'intervento di Ottone I siano da porsi in relazione con la ribellione di alcuni grandi feudatari italiani contro la signoria di Ottone I nell'anno 965, supposizione avanzata più volte (Cipolla, 1890, pp. 428 s.).
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