GIUSTINIANI (Giustiniani Banca), Brixio (Fabrizio)
Nacque a Genova il 28 febbr. 1713, primogenito di Giovan Battista di Brixio e di Camilla Pastorelli, e fu ascritto al Libro d'oro della nobiltà il 19 apr. 1732 insieme con il fratello Domenico, nato il 31 maggio 1721.
Il G. discendeva da un ramo glorioso della famiglia Giustiniani, quello dei Banca, che nel 1362 si era consorziato con altri rami - Longo, Campi, Forneto, Garibaldi - nella cosiddetta Maona di Chio, e che, nei secoli XV-XVI, aveva dato a Genova importanti esponenti della vita politica e culturale, tra cui l'umanista e annalista Agostino.
Con la perdita dei commerci del Levante e con il chiudersi progressivo della classe di governo su posizioni di rendita, furono abbandonati i tentativi di una ripresa navale e mercantile avvenuti nel primo Seicento. Anche questo ramo dei Giustiniani si ritagliò quindi uno spazio di interessi patrimoniali personali e familiari, restando complessivamente estraneo all'attiva gestione della cosa pubblica.
Chio era stata definitivamente conquistata da Sulaimān I nel 1566, e i Giustiniani lì residenti avevano subito uno spaventoso massacro, noto come "il martirio dei 18 giovinetti Giustiniani". La famiglia non ebbe inoltre la prontezza di convertire i capitali nei prestiti di Spagna, o non ritenne proficuo farlo: è significativo infatti che nessuno di loro compaia tra i banchieri di Carlo V o di Filippo II, mentre sono presenti come locatari di titoli del Banco di S. Giorgio.
Il G. - come suo padre, come il nonno omonimo (estratto senatore nel 1715) e come gli zii Domenico e Giovan Benedetto - non rivestì se non assai raramente cariche pubbliche, e sembra latitare anche in frangenti drammatici, che pure coinvolsero, in un riscoperto orgoglio patriottico, settori della nobiltà genovese, come avvenne per la capitolazione agli Austro-Sardi del settembre 1746 e per la successiva sollevazione popolare del 5 dicembre, quella del Balilla. Nello stesso periodo, il G. partecipava ai consigli periodicamente tenuti dalla famiglia con cadenza da mensile a trimestrale, "nella solita loggia" del quartiere cittadino dove sorgono tuttora i palazzi Giustiniani.
Le riunioni erano un'autentica attività di governo, per la cui validità occorreva la presenza di almeno i due terzi dei membri della famiglia residenti in città e nelle tre Podestarie, per decidere su vari temi di interesse comune, come le ascrizioni alla nobiltà, le eredità, le operazioni immobiliari e finanziarie, con particolare attenzione alle rendite dei titoli di S. Giorgio e delle loro ripartizioni ereditarie.
Dai verbali il G. risulta presenziare, accanto al padre, a partire da una riunione del 10 ag. 1736: allora si trattava di votare sull'ammissione alla rendita familiare di titoli di S. Giorgio per un Giustiniani, Baldassare fu Orazio; proprio in questa circostanza si dovette ripetere l'operazione perché il G., come minore di 25 anni, aveva votato senza averne diritto. Assente dal 1738, il G. ritornò in quel consesso nel 1739, con il fratello Domenico, e nel 1744, scomparso il padre, il nome del G. è registrato come il primo della lista dei presenti fino al 1752.
Pressoché inesistente, come già detto, fu l'assunzione di cariche pubbliche, fatta eccezione per una partecipazione, in data imprecisata, agli Affari straordinari, magistratura di secondaria importanza incaricata di decidere su cause di vedove, orfani e tutori. Anche come incaricato degli Affari per il Finale, ufficio che mantenne ininterrottamente dal 1749 alla sua elezione a doge, il G. svolse semplicemente il lavoro ordinario.
Forse qualche timido spunto riformista potrebbero suggerire le sue due presidenze degli anni '60. Nel 1763 fu magistrato dell'arte della seta, un settore fortemente compromesso alla fine del XVII secolo e che ora aveva ritrovato un provvisorio consolidamento, sia pure a livelli nettamente inferiori al passato, e sul cui rilancio puntava l'imprenditoria nobiliare più illuminata. Nel 1767 il G. fu magistrato delle Nuove Fortificazioni; agiva dunque su una materia dove forti erano le pressioni per il rispetto di una reclamata dignità militare di Stato sovrano, quando, superata la crisi con l'Impero, si stava definendo la cessione della Corsica alla Francia, non senza resistenze e timori interni alla classe di governo.
Dai verbali delle sedute del Minor Consiglio, cioè del vero organo di governo della Repubblica, il G. non risulta avere mai preso la parola o aver compiuto iniziative di politica interna o estera, economica o ecclesiastica, su cui si registrano invece gli appassionati interventi di nobili tradizionali ma aperti al confronto e alle proposte di riforma, come Domenico Invrea o Ambrogio Doria.
In effetti l'elezione ducale del G., avvenuta il 31 genn. 1775 con 194 voti su 339, sembra proprio l'espressione di una maggioranza preoccupata di scegliere un uomo d'ordine, che desse garanzia di immobilismo, nonché sufficientemente devoto. In quel momento la carica ducale era rifiutata dai patrizi più autorevoli o per censo o per prestigio, e si poneva la questione dei rapporti con la curia arcivescovile e gli ambienti ecclesiastici in genere, dopo che, sotto il precedente doge, Pier Francesco Grimaldi, si era giunti anche a Genova alla soppressione della Compagnia di Gesù.
I due problemi si posero al momento dell'incoronazione. Il G. cercò infatti, come altri dogi del periodo, di procrastinare il più possibile la cerimonia, che avvenne solo il 24 giugno in palazzo e il 25 in duomo, dove il discorso ufficiale fu tenuto dall'abate cistercense Giambattista Biagioli (dato subito alle stampe, è conservato presso la Biblioteca dell'Università di Genova) che, nel profluvio di retorica, con citazioni bibliche e stereotipati encomi di antenati, individuava proprio l'elezione del G. come espressione della volontà politica di difendere la città dagli attacchi al cattolicesimo.
Alla devozione religiosa del G. e ai meriti di famiglia, nonché al solito "martirio dei 18 giovinetti Giustiniani" fanno ovvio riferimento anche gli altri testi celebrativi, tutti pubblicati: il capitolo del padre somasco Bernardo Laviosa, recitato anch'esso all'incoronazione, e due sonetti composti, nell'ambito della Ligustica Accademia arcadica, da Fabrizio Giano e da Giuseppe M. Doria, che celebra il G. con il nome arcadico di Altauro.
Nel generale conformismo celebrativo, si insinua il sospetto di un'ironia abilmente dissimulata nel sonetto del Doria e si aggiunge l'intelligente nota polemica di Paolo Girolamo Pallavicini che, nel discorso introduttivo ai sonetti, rivendica alle iperboli celebrative della poesia la funzione di "nobile stimolo" a imitare le antiche virtù per coloro che hanno responsabilità pubbliche. I libri cerimoniali registrano un elevato numero di visite di personalità del clero al doge e la sua partecipazione a feste religiose; e tale condiscendenza del G. potrebbe avere indirettamente condotto al comportamento provocatorio (poi censurato dagli inquisitori di Stato) del predicatore, che in Duomo, durante la quaresima del 1776, aveva salutato l'arcivescovo prima del doge.
Terminato il dogato nel gennaio 1777, l'anno seguente il G. fu nominato presidente del magistrato di Guerra e deputato di quello di Marina; dal 1772 continuava a presiedere regolarmente i consigli di famiglia e, anche se sostituito durante il dogato nella funzione di presidente, trovava il modo di presenziare, talvolta organizzando le riunioni nel palazzo ducale.
Il G. morì improvvisamente in una sua villa d'Albaro l'8 nov. 1778. Dal matrimonio con Isabella Doria di Francesco Saverio il G. non aveva avuto figli: con lui si chiude il ramo dei Giustiniani Banca.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss., 494, c. 52; Fidecommisseria Giustiniani, 18, cc. 167-177; Genova, Biblioteca civica Berio, Mss. e rari, X.2.168: A. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 497; G.B. Biagioli, Per la solenne incoronazione del ser.mo B. G., Genova 1775; F.M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, III, Genova 1851, p. 104; G. Gaggiero, Compendio delle storie di Genova dal 1771 al 1797, Genova 1851, p. 5; L. Levati, I dogi di Genova dal 1771 al 1797 e vita genovese negli stessi anni, Genova 1914, pp. 23-26, 723; L. Volpicella, I libri cerimoniali della Repubblica di Genova, Genova 1921, pp. 399 s.; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 290; C. Sartorio, Il patriziato genovese, Genova 1967, p. 176; A. Beniscelli, Settecento letterario, in La letteratura ligure, la repubblica aristocratica, II, Genova 1992, p. 267; F. Molteni, Cenni sui rapporti tra Savona e Genova nel XVII secolo: la politica ecclesiastica, in Quaderni franzoniani, XI (1998), 2, p. 521.