BRINA (dal lat. pruina; fr. frimas; sp. escarcha; ted. Reif; ingl. hoar-frost)
Secondo il Chistoni la brina sarebbe dovuta al congelarsi del deposito liquido (rugiada) già formatosi sugli oggetti esposti all'irraggiamento notturno, in seguito a un ulteriore raffreddamento di questi (al di sotto di 0°). Il Hellman, invece, ritiene che la brina si formi anche per il passaggio diretto allo stato solido del vapore acqueo dell'aria, quando la temperatura degli oggetti è sotto zero. La brina si presenta sotto forma di granellini di ghiaccio bianchi, opachi, più minuti di un chicco di riso.
Occorre tener distinta la brina che si forma al suolo con atmosfera limpida, dalla galaverna e dalla calabrosa, incrostazioni di ghiaccio che si depositano anche sui rami delle piante o sui fili delle condutture, per lo più con atmosfera nebbiosa nel cuore dell'inverno. Nella galaverna il deposito sui rami è costituito da tanti minuti cristallini, mentre nella calabrosa esso è costituito da una crosta di ghiaccio opaco o semiopaco, biancastro e scabroso.
La brina è causa di gravi danni quando si presenta nei mesi primaverili, perché produce il congelamento della linfa che ha ripreso a circolare nella pianta e produce l'avvizzimento delle gemme o delle foglie. Per questo, nell'imminenza di una brinata, gli agricoltori cercano di difendere le piante mantenendo la temperatura al grado opportuno con apposite stufe, oppure con nubi artificiali prodotte dall'accensione di sterpi o di paglia umida, ostacolando l'irraggiamento e impedendo l'eccessivo raffreddamento.
Bibl.: C. Chistoni, Brina, galaverna e calabrosa, in Rend. della R. Acc. di Sc. di Napoli, 18 giugno 1910; id., Le brinate nel clima di Palermo ed il modo di formazione della brina, ibid., maggio 1911.