GIUSTINIANI, Bricio (Fabrizio o Brizio)
Nacque a Genova dopo il 1450 (forse nel 1457) da Domenico di Bartolomeo e da Adornina Adorno di Brizio.
Il G., detto il Gobbo dai contemporanei, apparteneva al ramo dei Longo dell'"albergo" dei Giustiniani generato nel 1362 dall'unione di diverse famiglie "popolari", già aggregate nella compagnia commerciale o Maona di Chio, che deposero i propri cognomi particolari per assumere quello comune di Giustiniani.
Signori e infeudati della loro isola, per la potenza commerciale essi costituivano a Genova una delle più influenti consorterie di parte popolare e dell'ordine dei mercatores, capaci di determinare gli orientamenti politici cittadini. Nel complicato gioco delle fazioni politiche genovesi, parteggiavano per i "ghibellini" Adorno e si contrapponevano quindi ai Fregoso.
I vasti interessi economici e commerciali della famiglia nella colonia genovese di Chio dovettero probabilmente spingere il G. a occuparsi sin da giovane dello scambio marittimo con il Levante, attività che gli diede modo di diventare un abile uomo di mare.
Per contrastare i frequenti attacchi dei corsari, dal 1489 Genova teneva armate due galee di guardia nei mari liguri; nel settembre 1490 fu deciso di portarle a quattro nel periodo estivo, quando più numerose erano le incursioni dei pirati. Al momento di far partire la flotta, nel 1491, l'incarico di capitanarle fu affidato al G.: nel corso delle perlustrazioni marine egli attaccò al largo della Sardegna due triremi comandate dallo spagnolo Bernardo de Villamarín, che allora, prima di entrare al servizio di Alfonso II di Napoli, praticava la corsa. Il G. costrinse le triremi a un fortunoso sbarco sulla costa e quindi se ne impadronì, provvedendo a liberare i numerosi genovesi tenuti prigionieri ai remi. Il fatto gli procurò grande reputazione e rafforzò la sua fama di comandante; da allora in poi sarebbe stato costantemente impiegato nel comando di convogli militari marittimi.
Nel 1494 era nuovamente capitano delle galee della Repubblica e l'anno successivo, sotto l'alto comando di Francesco Spinola, era alla guida di due navi proprie, probabilmente finanziate con fondi del duca di Milano, Ludovico il Moro, allora signore di Genova. Il G. andò in soccorso di Rapallo minacciata da navi francesi che egli mise in fuga, o addirittura se ne impossessò, facendo prigionieri non meno di 18 francesi, che liberò il 23 novembre per rispettare i capitoli di pace siglati tra Carlo VIII e Ludovico il Moro. Nel 1497 la piccola flotta personale del G. fu al servizio della Repubblica, ancora sotto il suo comando - durato fino al dicembre 1498 - quando, all'inizio dell'anno seguente, lo cedette ai due figli. La dedizione della Repubblica genovese e dei suoi domini al re di Francia, votata nell'ottobre 1499 e con la quale Luigi XII subentrò formalmente a Ludovico Sforza anche nella signoria di Genova, trovò nel G. un tenace oppositore: visceralmente antifrancese e fiero sostenitore dell'Impero, al pari del resto della famiglia, non solo si era recato in Corsica per trasbordare balestrieri reclutati in aiuto dello Sforza, ma partecipò apertamente ai maneggi di Giovanni Adorno che miravano a riportare Ludovico a Milano. Tra il dicembre del 1499 e i primi giorni di gennaio del 1500, egli dovette probabilmente subire un periodo di prigionia, e il 17 giugno i figli furono banditi dalla città. Il difficile momento non dovette durare molto se nel 1502 il G. aveva ripreso a solcare i mari, forse al servizio di Genova, e il 10 marzo presentava un memoriale in cui respingeva le accuse, provenienti dalla corte pontificia, di avere compiuto atti di pirateria. Nel 1502, e poi ancora nel 1505, fu eletto nel Consiglio dei dodici anziani, che insieme con il doge governava la Repubblica, e fu uno dei quattro legati incaricati di accompagnare Luigi XII nel viaggio che doveva portare il sovrano da Pavia a Genova: la legazione non ebbe però luogo a causa del ritardo con cui si mosse e l'incarico fu affidato agli inviati che già si trovavano presso il re.
Il dominio di Luigi XII su Genova non riuscì a pacificare le inquiete fazioni politiche cittadine essenzialmente a causa degli indirizzi della monarchia francese che mirava a un rapporto privilegiato con la nobiltà feudale genovese, in particolare i Fieschi, e a rafforzarne il ruolo. A contrastare quell'orientamento, il 18 luglio 1506 scoppiò un tumulto popolare, sfociato poi in una sollevazione antifrancese. Tra gli agitatori e gli ispiratori del pronunciamento popolare vi era con ogni probabilità il Giustiniani.
Certo è che in quei concitati e turbinosi mesi il G. ebbe un ruolo non secondario: il 7 settembre fu nominato tra i sei capitani incaricati di reclutare uomini armati per difendere la città; il 6 ottobre fu eletto tra i quattro capitani urbani con poteri straordinari chiamati a vigilare sulla sicurezza e a ristabilire l'ordine interno di Genova, un tentativo infruttuoso che doveva venire meno di lì a poco. Il 21 dicembre fu inserito per "la parte Adorna" tra gli otto cittadini nominati per regolare equamente l'attribuzione di cariche e uffici pubblici tra i diversi gruppi politici; dall'8 marzo seguente si occupò delle questioni che concernevano le Riviere e le podesterie fuori Genova e dopo pochi giorni riprese forse il grado di capitano delle galee, assoldato dalla Repubblica insieme con le sue navi.
L'intervento militare francese dell'aprile 1507 soffocò la rivolta e alcuni dei protagonisti furono giustiziati o banditi; il G. e la sua famiglia abbandonarono definitivamente Genova e non sembra che abbiano approfittato della pacificazione e della grazia generale concesse successivamente dal re. Stabilita a Napoli la famiglia, il G. continuò a solcare il Mediterraneo al comando di navi al servizio del re di Spagna, del papa e quindi dell'imperatore Carlo V, seguendo le loro mutevoli alleanze militari e politiche. All'inizio del 1510 era al comando delle navi che trasportavano le truppe assoldate da Giulio II e in agosto muoveva da Napoli al comando di cinque galee per andare in aiuto del papa e rinforzare la flotta ispano-veneziana a Ostia. A più riprese nel corso degli anni si misurò contro le flotte barbaresche e turca.
Nel settembre del 1509 il convoglio da lui guidato ebbe uno scontro con 27 fuste ottomane nei pressi di Ponza, nel corso del quale perse le sue due galee. Nell'ottobre del 1516, a seguito di alcune azioni di gran valore, catturò quattro fuste turche e tre anni più tardi, nel novembre del 1519, in un ennesimo combattimento con le navi ottomane, corse il pericolo della cattura, riuscendo alla fine a riparare a Palermo con le galee in condizioni disastrate.
Tra novembre e dicembre 1520 si trovava a Milazzo da dove, con gran parte dell'armata navale spagnola, doveva spingersi verso Genova a sostegno di un tentativo, fallito, di sollevazione degli Adorno per impossessarsi del governo della città. Le galee e gli uomini del G. si mossero al grido di "viva il gobo Justinian zenoese, che è la contraria parte di Fregosi" (Sanuto, XXIX, col. 481).
La sconfessione della pace di Madrid da parte di Francesco I, siglata nel 1526, portò alla riapertura del conflitto tra Imperiali e Francesi, dal settembre 1527 affiancati da un nuovo alleato, Genova, e dal prezioso sostegno delle navi guidate dai Doria. Benché tra Francesco I e Andrea Doria sorgessero tensioni, alla ripresa delle operazioni, nella primavera del 1528, la squadra navale genovese di 8 galee guidata da Filippino Doria, cugino di Andrea, andò ad ancorarsi al largo di Salerno in attesa dei rinforzi veneziani per procedere al blocco di Napoli.
Confidando sulla peraltro modesta preponderanza numerica, il viceré spagnolo Hugo de Moncada decise di attaccare subito le navi genovesi ponendo il G. al proprio fianco al comando della ben armata squadra spagnola, composta da sei galee, due brigantini e due fuste. Grazie a un'abile e decisiva manovra diversiva la battaglia combattuta il 28 apr. 1528, detta di Capo d'Orso, di Amalfi o della Cava, fu vinta dal Doria, che sbaragliò gli Spagnoli uccidendo o ferendo 1400 soldati e vogatori. Il Moncada e numerosi nobili italiani e spagnoli persero la vita. Il G. fu ferito a morte e cessò di vivere dopo pochi giorni sul convoglio che lo portava prigioniero a Genova o appena sbarcato in città.
In data non precisata il G. aveva sposato Geronima De Fornari, ma l'unione era stata infeconda oppure fruttuosa di sole figlie femmine (a Caterina, si deve forse aggiungere, seguendo il Federici, anche Andronica, nel 1504 andata in sposa a Nicolò Grimaldi); due maschi, Galeazzo e Battista, che il G. ebbe da relazioni extramatrimoniali, furono legittimati con atto pubblico nel 1496; ebbe inoltre un altro figlio, Domenico, che con i fratelli condivise le attività marittimo-militari del padre.
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