BRATTEA (lat. bractěa e brattěa)
Termine con cui si indicano, in genere, foglie molto sottili, soprattutto di metallo, in particolare di metalli preziosi: oro, elettro, argento, ottenute con battiture di martello. Il procedimento fu noto dalla più alta antichità e le brattee furono direttamente usate per rivestimenti di statue (cfr. il nome di bratteae Praenestinae della statua della Fortuna a Preneste), per dorature di oggetti (Omero, Od., iii, 425 s., usa il verbo περιχέειν per indicare la doratura delle corna degli animali da sacrificare) per decorazioni di ambienti (pareti e soffitti), di mobili e di stoffe. Le brattee, in tali casi, erano adoperate allo stato grezzo, oppure erano rilavorate dagli orefici, e assumevano, talora, forma e carattere di gioielli per sé stanti; questi, tuttavia, per la loro fragilità, erano piuttosto adatti a corredi funerarî, che non ad un uso quotidiano e resta talora il dubbio, dinanzi alla larga documentazione recuperata nelle tombe, che non ci si trovi di fronte ad una produzione di carattere specificamente funerario.
Comunque sia, fra i gioielli costituiti da brattee distinguiamo, attraverso il materiale, varî tipi: 1) i cosiddetti diademi: larghe fasce di lunghezza varia con forellini di sostegno (noti anzitutto dalle tombe di Micene, da quelle geometriche del Dipylon e da quelle etrùsche della fase orientalizzante), con decorazioni varie, ispirate ai repertorî in uso nelle arti decorative dei periodi cui appartengono, ed a noi ben noti soprattutto dalla decorazione vascolare contemporanea; spirali, quindi, o motivi geometrici, o fasce di animali e via dicendo (v. diadema); 2) corone formate da autentiche foglie d'oro, talora con fiori delle stesse brattee o smalti (corona di Armento a Monaco, corona di Canosa al Museo Naz. di Taranto), lavori di oreficeria, più o meno ricchi e fini, amati soprattutto nel mondo ellenico ed in età ellenistica; 3) corone di foglie e fiori di lamina adattate a diademi, fragili e graziosissime, a noi note dalla vascolaria (prodotti della scuola di Meidias), e soprattutto dai corredi funebri della Russia meridionale e dell'Italia meridionale (v. corona); 4) i πέταλα χρυσά, fiori e foglie intagliati nella lamina, che venivano cuciti sulle vesti o applicati, con chiodim, ai mobili e agli scrigni o a questi incollati; vi si distinguono in particolare quelli che assumevano valore apotropaico (testa di Medusa, fiori di elleboro, ecc.).
Questi gioielli minori, dalla diretta funzione decorativa, appartengono ad ogni età e rivestono infinite forme; nelle tombe di Micene, infatti, già ne abbiamo una grande varietà: linguette, crocette, figure geometriche, di animali o inerenti al culto, in forma di altare; ad Egina troviamo nelle tombe le rosette, che tornano anche ad Efeso, nelle tombe etrusche, già ricordate, e nelle necropoli della Russia meridionale. A Kerč, ad esempio, le laminette auree rinvenute nella tomba di una sacerdotessa di Demetra si riferiscono al culto della dea.
Nel campo dell'oreficeria il lavoro su b., o con b., è uno dei più semplici ed anche di minore interesse e importanza; facile è l'intaglio di foglie e fiori nella lamina liscia, e di immediato effetto (ma di scarsa resistenza) il loro intrecciarsi in ghirlande folte e il loro stendersi su stoffe cupe o brillanti, con vividi barbagli di colore. E facile ancora è la decorazione delle lamine quando l'effetto non è affidato alla forma del gioiello, ma ai motivi in rilievo che ne rialzano la superficie liscia; la decorazione è ottenuta infatti con stampigliature che imprimono l'ornato, spesso monotonamente ripetuto, senza dargli netto rilievo o precise linee di contorno, a meno che il bulino non torni successivamente a precisare il disegno e ad integrarlo, e l'orafo non insista sul lavoro rialzando e deprimendo figure e immagini, creando elementi plastici, lì dove era solo una liscia superficie di metallo. Ma con questo siamo già fuori delle brattee vere e proprie perché occorrono lamine più spesse e la lamina stessa si trasforma, per la visione e l'opera dell'artefice che accortamente la rielabora.
Bibl.: E. Saglio, in Dict. Ant., s. v.; A. Mau, in Pauly-Wissowa, III, cc. 820-821, s. v. V. inoltre: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste, IV, Lipsia 1886, pp. 230-370.