Il 2015 verrà ricordato come il peggior momento per l’economia del Brasile degli ultimi 25 anni: produzione e investimenti fissi in caduta, inflazione in aumento e conti pubblici in peggioramento. La difficile congiuntura economica, che ha un’origine prevalentemente interna, è stata aggravata dall’incertezza sulla situazione politica legata allo scandalo di corruzione della Petrobras – la società petrolifera statale - e alle minacce di impeachment contro la presidente Rousseff. Inoltre, anche il contesto economico globale non è stato favorevole: infatti la diminuzione dei prezzi delle materie prime e il rallentamento della Cina hanno causato una riduzione delle esportazioni brasiliane, mentre l’aspettativa di un aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti d’America ha contribuito all’elevata uscita di capitali finanziari dal paese sudamericano e al forte deprezzamento della valuta brasiliana. Ma per spiegare perché la situazione economica si è aggravata molto nel 2015, primo anno del secondo mandato della presidente Rousseff, bisogna partire dalla situazione economica precedente, che ha costretto l’autorità ad attuare manovre restrittive in una fase già di forte rallentamento economico. Nel 2014 la spesa pubblica era aumentata moltissimo sia per le spese legate ai Campionati mondiali di calcio sia per guadagnare consenso elettorale in vista delle elezioni presidenziali. La conseguenza è stata che alla fine del 2014 il disavanzo di bilancio (in percentuale al pil) era raddoppiato, arrivando al 6,2%. Anche il saldo primario, che esclude il pagamento degli interessi sul debito pubblico, per la prima volta dopo molti anni diventò negativo. Il nuovo governo Rousseff ha deciso di attuare una politica di austerità fiscale per riportare i conti pubblici verso l’equilibrio, che prevede nel breve periodo riduzioni delle spese e aumenti della tassazione, e nel medio periodo una riforma fiscale per incidere in modo strutturale su alcuni voci, in particolare la spesa pensionistica. La difficile situazione dei conti pubblici è stata la ragione principale dietro la decisione di settembre dell’agenzia di rating Standard & Poor’s di abbassare il giudizio sui titoli di stato brasiliani sotto la soglia dell’investment grade. Anche se il disavanzo del bilancio pubblico è molto elevato, il Brasile non è però in una situazione di crisi del debito sovrano. Infatti, il debito pubblico – circa il 70% del pil a fine 2015 – non è preoccupante, perché è denominato in gran parte in valuta locale. Inoltre, le elevate riserve ufficiali di valuta estera mettono il paese sudamericano nelle condizioni di poter onorare il servizio sul debito estero. Problemi di sostenibilità del debito potrebbero, tuttavia, emergere se il paese dovesse rimanere a lungo in recessione.
Nel 2014-15 anche la politica monetaria è stata un freno alla crescita economica: la Banca centrale del Brasile ha aumentato numerose volte il tasso ufficiale per cercare di mantenere il tasso d’inflazione sotto il limite del 6,5%. Questa politica monetaria ha aumentato molto il costo del denaro, contribuendo sia alla diminuzione della spesa per investimenti, già bassa per la caduta della fiducia delle imprese, sia al peggioramento del bilancio pubblico per l’aumento degli interessi pagati sui titoli sovrani. Nonostante la politica monetaria restrittiva, l’inflazione ha continuato ad aumentare, avvicinandosi al 10%, in parte per effetto del deprezzamento della valuta nazionale che aumenta il prezzo delle importazioni. La combinazione della politica di austerità fiscale e della politica monetaria anti-inflazionistica hanno fatto entrare il Brasile in recessione: dopo un anno di crescita zero, nel 2015 la contrazione della produzione sarà di circa il 3%. Nel 2016 la ripresa verrà probabilmente trainata dalla domanda estera, infatti il forte deprezzamento del tasso di cambio ha reso i prodotti manufatti brasiliani più competitivi e questo stimolerà le esportazioni. Tuttavia, la crescita della produzione manifatturiera è limitata da vari ostacoli che limitano la produttività delle imprese, che vanno da carenze infrastrutturali, come strade, porti e aeroporti e di capitale umano a un inefficiente contesto per fare attività d’impresa (secondo la Banca Mondiale il Brasile è al 116° posto su 189 paesi nella graduatoria sulla facilità del Doing Business). Per tornare a crescere al 3,5%, il tasso di crescita medio annuo della decade prima della recessione, il Brasile dovrà eliminare questi ostacoli, visto che probabilmente non potrà più beneficiare di elevati prezzi delle materie prime come nei dieci anni passati.
La recessione, l’elevata inflazione e il contenimento della spesa sociale avranno purtroppo la conseguenza di arrestare, se non far arretrare, i notevoli progressi sociali compiuti negli ultimi dieci anni: molti brasiliani, che da poco erano diventati parte della classe media, rischiano di ricadere sotto la soglia di povertà e l’elevata disuguaglianza nella distribuzione del reddito potrebbe tornare ad aumentare.