VENEROSI, Brandaligio
– Nacque a Pisa il 5 giugno 1676 da Marcantonio dei Conti di Strido e da Maria Maddalena Marchetti, di nobile famiglia pistoiese. Ebbe quattro fratelli: Liborio, che come Brandaligio fu poeta, Odoardo, Veneroso e Ranieri.
Si laureò adolescente in utroque dopo aver studiato diritto canonico a Pisa con Sebastiano Zucchetti. In giovane età conseguì una solida formazione matematica, probabilmente grazie ad Alessandro Marchetti, con il quale ebbe sempre ottime relazioni. Certamente raggiunse la fama in ambito letterario assai presto come testimoniano il suo precoce ingresso nell’Accademia della Crusca (2 gennaio 1698) e in Arcadia (29 aprile 1698), dove assunse il nome di Nedisto Collide.
Nel 1695 fu nominato Console dell’Accademia dei Rozzi istituita presso la Sapienza di Pisa (Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea medicea, I, 70, cc. 7-8); fu inoltre membro dei Disuniti di Pisa, degli Apatisti di Firenze, degli Innominati di Bra (dove fu il Pensieroso), mentre alla sua iniziativa, a quella del fratello Liborio e di altri poeti, quali Luca degli Albizzi, si deve la deduzione della colonia arcade pisana che prese il nome di Alfea (24 maggio 1700), della quale Venerosi fu vicecustode assieme a Francesco Samminiatelli e Ranieri Bernardino Fabbri.
Non è chiaro quando Venerosi conseguì il titolo di abate: nel Diario di Alamanno Salviati (Firenze, Archivio Storico dell’Accademia della Crusca, cod. 25, I, c. 40), il poeta è però indicato con quella qualifica già all’altezza del 1698. Nel marzo del 1699 giunse a Roma, come emerge dallo scambio epistolare con Antonio Magliabechi (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII 1087, c. 9r, lettera del 21 marzo 1699): qui strinse rapporti con Benedetto Menzini, Francesco Del Teglia, Filippo Buonarroti e Giusto Fontanini (ibid., c. 10r, lettera del 28 marzo 1699). Tuttavia le relazioni con l’ambiente romano non furono sempre facili: in particolare, Venerosi si lamentò con Magliabechi di Menzini e Del Teglia, rei, secondo lui, di aver deriso con dei sonetti infamanti la sua canzone per Clemente Vitelli da poco stampata. A Roma frequentò il cardinale Pietro Ottoboni (ibid., c. 12r, lettera del 9 aprile 1699) e l’Accademia dell’Arcadia, dove raggiunse una posizione di rilievo, dal momento che Giovan Mario Crescimbeni lo scelse come interlocutore del dialogo VIII della Bellezza della volgar poesia. Nel dicembre del 1700 fu di nuovo a Pisa ma nel 1702, a seguito di una lite nel foro pisano, partì alla volta di Firenze, dove si trattenne per più mesi. A Pisa lasciò la donna amata, tale Isabella Pini, che tuttavia non sposò. In una lettera del 20 gennaio 1702 annunciò a Ippolito Neri di voler pubblicare una raccolta di dodici canzoni in stile pindarico, ciascuna delle quali dedicata a un insigne poeta fiorentino, e che stava ora lavorando a quella per Menzini.
Questa raccolta non giunse sotto i torchi, ma ne restano delle tracce: la canzone per Vincenzo da Filicaia Che fate o Cigni del mio patrio fiume fu edita da Domenico Moreni nel 1830 (Lettere di Lorenzo il Magnifico...); la canzone per Anton Maria Salvini, Te voglio de’ miei carmi alto argomento (Firenze, Biblioteca Moreniana, Bigazzi 248, cc. 3r-5v) suscitò una feroce critica da parte di un lettore anonimo (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII 186: Nuova critica di Aristofane contro Brandaglio Invernesio, ossia Brandaligio Venerosi). Nel 1703 fu di nuovo a Firenze, dove ritrovò gli amici Vincenzo da Filicaia, Giovan Battista Fagiuoli, Anton Maria Salvini e Ludovico Adimari. L’ambiente fiorentino non gli fu però sempre favorevole: Fagiuoli informò infatti Magliabechi che nell’Accademia degli Apatisti si recitavano composizioni «pungentissime satiriche contro del Sig.r Abate Venerosi» (Mirto, 2018). Nello stesso anno Brandaligio si recò a Milano con l’intenzione di vestire l’abito dei cappuccini, come scrive a Ludovico Antonio Muratori, nonostante le resistenze dei suoi sodali che lo invitavano a non seppellire «il fervore del mio spirito in un’ispida lana» (Carteggio di L. A. Muratori, 1982, p. 84, lettera del 6 giugno 1703). Il progetto però sfumò presto, dal momento che Venerosi ammise di averlo pensato in un momento di depressione. Dallo scambio epistolare con Muratori apprendiamo anche che l’erudito modenese aveva chiesto a Venerosi di curare un’edizione di tutte le opere di Gabriello Chiabrera: il poeta rifiutò, ritenendo questo progetto un «perdimento di tempo» e un’«impresa da ingegni stracchi» (ibid., p. 88, lettera dell’11 luglio 1705). Nel 1705 gli fu commissionata anche la stesura degli Annali di Pisa, che mai giunsero a compimento. Tornato a Pisa, si stabilì nella sua villa di Cevoli: non per diletto ma per ristrettezze economiche, come dichiarò in una lettera del 23 settembre 1711 all’Auditore dello Studio di Pisa, Niccolò Antinori (Firenze, Biblioteca nazionale, Autografi palatini, I, 23), pregandolo affinché gli facesse ottenere la cattedra di filosofia morale o lettere umane in quella università.
Negli anni Dieci intensificò la sua attività poetica, che si espresse soprattutto nella corda della lirica eroico-encomiastica e d’occasione: Epitalamio per le nobili e felicissime nozze degli illustrissimi signori Comandante Gio. Federigo Lanfranchi e Maria Rosa Ceuli, Pisa 1706; Nel vestir l’abito di religiosa l’illustrissima signora Caterina Lucrezia Mastiani nell’insigne monastero di S. Matteo in Pisa. Canzone, Pisa 1706; In morte di Gioseppe primo imperatore de’ Romani [...] Canzone, Lucca 1711; In morte di Luigi delfino di Francia, canzone, Pisa 1711; Per la grave e numerosa perdita degli ulivi seguita l’anno 1709 nella gran burrasca [...] Canzone, Pistoia 1711; Al signore Domenico Maria Muradori celebre pittore in Roma [...] Canzone, Lucca 1718, e così via. Nel 1716, a Pistoia, presso Stefano Gatti, pubblicò l’oratorio, su musica di Giovanni Maria Clari, Il martirio di S. Stefano papa e martire, dedicato a Cosimo III de’ Medici. A Venerosi si deve anche il libretto per l’oratorio Ester ovvero l’umiltà coronata, sempre su musica di Clari. Sue rime sono comprese nella terza edizione accresciuta del terzo volume della Scelta de’ sonetti e canzoni de’ più eccellenti autori di Agostino Gobbi (Venezia 1727, pp. 130-142), nei tomi quarto, settimo, ottavo e nono delle Rime degli Arcadi (rispettivamente alle pp. 255-272, 369 s., 230-237, 70 e 130) e in due antologie allestite dagli accademici Innominati di Bra: le Poesie italiane di rimatori viventi non mai per l’addietro stampate (Venezia 1717, pp. 267-279) e le Gare del Consiglio e del Valore dedicate al Serenissimo Signor Principe Eugenio di Savoia (Torino 1717, pp. 6-12).
Nel 1717 a Modena, presso lo stampatore Antonio Capponi, uscirono Le imprese militari della Gran Lega operate in sostenere i diritti di Carlo VI gloriosissimo imperador de’ Romani alla monarchia di Spagna dal primo anno della guerra a tutta la campagna del 1709.
Si tratta indubbiamente della più nota opera di Venerosi, largamente apprezzata dai contemporanei, come certifica anche la precoce recensione che ne viene offerta sul Giornale dei letterati d’Italia (1717, vol. 28, p. 434), nella quale l’opera è definita come ‘canzoniere’. In realtà l’operazione allestita dall’autore è assai ambiziosa: sperimentò infatti una strada per l’epica alternativa a quella del poema, per cui concepì le ventisei canzoni della raccolta come altrettanti canti di un poema. Nell’avviso al lettore (p. IX) l’autore rivendicò il primato di questa iniziativa, in cui fece fruttare il suo lungo apprendistato nel genere pindarico e seppe combinare armoniosamente «le nobili maniere de’ lirici» con «l’arte che agli epici componimenti è prescritta». Ciascun testo celebra un’impresa militare dell’esercito della Gran Lega durante la guerra di successione spagnola, terminando però il racconto con la campagna del 1709. L’approdo alle stampe dell’opera fu molto difficile, per diversi motivi; infine, su interessamento di Muratori, l’opera fu edita a Modena, interamente finanziata da Venerosi. Fu Muratori inoltre a suggerire all’autore di dedicare la raccolta a Eugenio di Savoia, il quale, in ringraziamento, si offrì di procacciare a Venerosi una cattedra presso l’Università di Pavia che tuttavia il poeta rifiutò.
Nel 1718 uscirono, infine, a Pistoia presso Stefano Gatti le Canzoni sacre morali per ciascun giorno della Quaresima, già compiute nel 1714 (recensione sul Giornale de’ letterati d’Italia, 1719, vol. 31, pp. 440 s.).
Con quest’opera Venerosi prosegue la sua personale riscrittura dei tradizionali generi letterari, giacché converte in canzoniere il tradizionale quaresimale in prosa.
Gli ultimi anni della sua vita dovettero trascorrere senza significativi eventi, ma certamente in una condizione economica non florida. Dopo una lunga malattia morì il 10 febbraio 1729 nella sua villa di Cevoli, nella cui chiesa pievania fu sepolto.
Il ramo dei Venerosi dei Conti di Strido si spense con la morte del fratello Odoardo, avvenuta nel 1746: già dal 1703 con fedecommesso stipulato dal cugino Alemanno, fu stabilito che al momento della sua estinzione i beni e il titolo della casata passassero alla famiglia pisana Agostini Fantini Della Seta, ragion per cui oggi le carte inerenti la storia della famiglia Venerosi sono conservate nell’Archivio Agostini Fantini Venerosi Della Seta a Pisa.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII 1024 (lettere di Venerosi ad Anton Francesco Marmi); Biblioteca dell’Accademia della Crusca, 28 (lettere di Venerosi a Ippolito Neri, nn. 42-46); Roma, Biblioteca Angelica, 25, cc. 46rv, 48r; 26, cc. 179rv, 183r.
G.M. Crescimbeni, De’ commentari intorno all’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar poesia, III, Venezia 1731, p. 257; G. Bottoni, Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, III, Pisa 1792, pp. 361-372; Lettere di Lorenzo il Magnifico..., a cura di D. Moreni, Firenze 1830, pp. 67-77; F. Grassini, Biografia dei pisani illustri, Pisa 1838, s.v.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIV, Biografia, Fiesole 1844, pp. 434-436; C. Lupi, Notizie inedite intorno a B. V., poeta pisano, in Nuova Antologia, XXIII (1873), 8, pp. 955-960; Annuario della nobiltà italiana, IV (1882), pp. 143 s.; M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, I, Bologna 1926, pp. 146 s.; M. Bini, Lettere a Ippolito Neri, in Bullettino storico empolese, VI (1962), 2, pp. 403-454; Edizione nazionale del Carteggio di L. A. Muratori. Carteggi con Vannucchi [...] Wurmbrandt, a cura di M.L. Nichetti Spanio, Firenze 1982, pp. 81-100; L. Guerrini, Anton Francesco Marmi e la vita filosofica italiana d’inizio Settecento, in Studi settecenteschi, XXI (2001), p. 27; M. Catucci, B. V. e la guerra di successione spagnola, in Sincronie, XV (2004), pp. 145-151; M.P. Paoli, La dama, il cavaliere, lo sposo celeste, in Nobildonne, monache e cavaliere dell’ordine di S. Stefano, a cura di M. Aglietti, postfazione di G. Zarri, Pisa 2009, pp. 42 s.; M. Fedi, Tuo lumine. L’Accademia dei Risvegliati e lo spettacolo a Pistoia tra Sei e Settecento, I, Firenze 2011, pp. 211, 264; A. Mirto, Il poeta e il bibliofilo. Giovan Battista Fagiuoli e Antonio Magliabechi: lettere, in Seicento & Settecento, XIII (2018), p. 62; P.G. Riga, L’elogio del Principe. Ritratti letterari di Eugenio di Savoia-Soissons, Torino 2019, pp. 103-109.