GOZZADINI, Brandaligi
Nacque a Bologna intorno al 1295 da Paganino di Brandaligi e da Marchesina (Sina) di Bartolomeo da Fermo dottore di grammatica. Nel 1298 il padre, avendo ferito due popolari, venne dichiarato magnate e pertanto cancellato dalle matricole delle società del popolo e bandito dalla città. Il provvedimento fu revocato probabilmente poco prima del 1306, poiché in tale anno egli risulta iscritto negli elenchi degli atti alle armi della "cappella" di S. Michele dei Leprosetti. Successivamente fu di nuovo bandito dalla città e sembra che nel secondo bando siano stati coinvolti anche i due figli, il G. e il fratello Pino, probabilmente il primogenito. A questo bando è da attribuire la pressoché totale mancanza di tracce della parte iniziale della vita del Gozzadini.
Il primo documento che lo concerne è la dichiarazione d'estimo presentata congiuntamente dal G. e dal fratello Pino nel 1329. È un documento molto danneggiato e in parte mutilo, ma prova il forzato allontanamento dalla città del G. e dei suoi congiunti, la confisca di gran parte dei loro beni e l'annullamento di queste misure punitive poco prima del 1329. Ciò induce a ritenere che il G. e i suoi congiunti avessero beneficiato del provvedimento con cui il cardinale Bertrand du Poujet il 15 giugno 1328 aveva esteso a tutti coloro che erano stati banditi dalla città dopo il 1306 il contenuto del decreto del 17 marzo precedente che aveva riammesso in città due gruppi di persone bandite nel 1306 e nel 1321. La mancata presenza del G. e dei suoi congiunti negli elenchi del primo decreto indicherebbe che il motivo del loro bando non era stato né lo schieramento nelle file dei guelfi bianchi, espulsi nel 1306, né la partecipazione al tentativo di Romeo Pepoli di insignorirsi della città, sventato nel 1321, e al quale avevano sicuramente aderito altri membri della famiglia Gozzadini.
Riammessi in città, il G. e il fratello ottennero la restituzione dei loro beni, ma in condizioni che denunciavano chiaramente le vessazioni subite.
Al posto della casa di famiglia, che i vicini avevano coscienziosamente demolito quale misura accessoria al bando loro inflitto, non vi era che un casamentum, ossia un lotto di terreno, utilizzabile, volendo, per una nuova costruzione. Le proprietà terriere, ubicate in diverse località del contado - Castel del Vescovo, Budrio, Roveretolo e Altedo - e nelle vicinanze della città - a Pescarola e nella Guardia, l'immediato suburbio - erano in pessime condizioni. Il maggior appezzamento, oltre 160 tornature, quasi 35 ettari, nella campagna tra Altedo e Santa Maria in Duno, gravato da diritti di altri coeredi del nonno Brandaligi, necessitava di costose opere per consentire il deflusso delle acque e simile era la situazione della proprietà a Pescarola, soggetta alle inondazioni del fiume; mentre del miglior terreno a Castel del Vescovo, una vigna di cinque tornature, si erano impossessati gratuitamente i vicini. Le lacerazioni del documento non consentono di conoscere quale stima il G. e il fratello avessero attribuito ai singoli beni elencati, ma lascia comunque perplessi la valutazione complessiva datane dagli ufficiali addetti all'estimo, 685 lire di bolognini, che non sembra affatto congrua alla situazione descritta nella denuncia. Ciò farebbe supporre non tanto l'esistenza di altri beni, quanto una diversa e ben più favorevole valutazione dei beni denunciati, caso tutt'altro che raro, in particolare nell'estimo di persone riammesse in città dopo esserne state bandite.
Dalla denuncia dei due fratelli appare che essi avevano in comune la residenza, in una casa da poco presa in locazione nella cappella di S. Michele dei Leprosetti, la stessa in cui si trovava il loro casamentum e che era il tradizionale luogo di aggregazione del gruppo familiare. Appare inoltre che il G. e il fratello erano entrambi sposati e avevano diversi figli ancora in tenera età: ben sei Pino e, sembra, quattro il Gozzadini. Altri documenti di qualche decennio successivi danno notizia di due soli figli del G., Andrea e Giovanna, e indicano quale moglie Giovanna, figlia di Jacopo da Ferrara. Attestano anche che Giovanna gli aveva recato in dote la somma di 1600 lire, ma non è stato possibile determinare né la data del matrimonio né se Giovanna sia stata l'unica moglie del G. o se, come riportato da fonti narrative più tarde, il G. avesse sposato in prime nozze una certa Agnese di Ugolino Cocca e da questa fossero nati i due figli sopra indicati.
Il rientro a Bologna nel 1328 consentì al G. di prendere o riprendere contatto con l'ambiente dello Studio e nel 1332 ne completò i corsi di diritto civile. Il 23 ottobre un decreto del vicecapitano e degli Anziani autorizzò il depositario del Comune a versare al G. 600 lire, quale contributo per le spese che era in procinto di affrontare per il conferimento del titolo e delle insegne di cavaliere e di dottore. Il fatto, abbastanza insolito, che gli organi di governo di Bologna, direttamente nominati dal dominus della città, il legato pontificio Bertrand du Poujet, e da lui dipendenti, avessero deciso tale elargizione e di importo così elevato, indica che a tutto l'ottobre del 1332 il G. era o, quanto meno, appariva un fidato sostenitore del legato e delle sue iniziative. Appena due mesi più tardi un episodio circoscritto rischiò di modificare decisamente tale rapporto.
Le cronache narrano che nel dicembre del 1332 il legato, dopo aver convocato nel castello di Porta Galliera quattro dei principali cittadini di Bologna, Taddeo Pepoli, Bornio Samaritani, il G. e Andalò Griffoni, ne aveva ordinato l'arresto; ma, di fronte alla minaccia di una sollevazione popolare, dopo appena sei ore ne aveva disposto la liberazione. Non vi è motivo per dubitare che il fatto sia avvenuto; meno credibili invece appaiono i termini del suo svolgimento, così come descritti, e soprattutto il motivo del rapido mutamento dei piani del legato.
L'episodio va probabilmente inquadrato nella difficile situazione che Bertrand du Poujet si trovava ad affrontare alla fine del 1332. Nella città il suo prestigio, cui non aveva certo giovato la mancata attuazione del ventilato trasferimento della sede pontificia da Avignone a Bologna, scemava di pari passo con l'inasprirsi delle misure rese necessarie da uno stato di guerra continuo con le città vicine e dagli esiti poco favorevoli. E proprio nel dicembre del 1332 il legato si trovava costretto a fare ricorso a contingenti di milizie cittadine per sostenere lo scontro con gli Estensi, punta avanzata dell'ampio schieramento delle forze della lega, ostili alla sua alleanza con Giovanni di Boemia. Più che a punire i quattro esponenti dell'oligarchia cittadina è pertanto probabile che il legato mirasse ad assicurarsene la collaborazione. Lo proverebbero non solo la rapidissima conclusione della supposta prigionia, ma soprattutto la successiva vicenda dello stesso Gozzadini.
Nell'estate del 1333 Bertrand du Poujet, dall'anno precedente conte di Romagna, dopo aver sottratto Rimini alla signoria dei Malatesta, vi inviò il G. quale rettore. La duplice sconfitta subita dall'esercito del legato il 14 aprile e il 18 giugno 1333 indusse i signori delle città di Romagna a rompere l'alleanza loro imposta dal legato e a riprendere il controllo delle città già da loro dominate. Il 22 sett. 1333 i Malatesta riconquistarono Rimini, vanamente difesa dai soldati del legato, e fecero prigioniero il Gozzadini.
All'inizio del 1334 il G. era a Bologna. Nella città la situazione per il legato si era fatta ancora più difficile. Ai pesanti contributi in uomini e in denaro per sostenere la guerra contro gli Estensi aveva fatto riscontro una serie di pesanti sconfitte. Non occorreva che un pretesto per trasformare il malcontento in aperta rivolta e il pretesto fu un nuovo invio di milizie cittadine, ordinato dal legato per riprendere la guerra. Il 17 marzo alcuni dei cavalieri bolognesi che dovevano unirsi alla spedizione rifiutarono di obbedire e, guidati dal G., si impadronirono del palazzo del Comune incitando alla rivolta. La folla li seguì e in breve la città cadde in loro potere. Bertrand du Poujet, asserragliato nel castello di Porta Galliera, si trovò a sostenere un vero e proprio assedio, che ebbe termine solo il 28 marzo quando, scortato da 300 cavalieri giunti da Firenze, poté lasciare la città. Ripresero allora vita in rapida successione le magistrature e gli organi collegiali, espressione dell'autonomia cittadina e del potere delle corporazioni popolari.
Nella rivolta che aveva consentito il ripristino del libero Comune il G. aveva avuto una parte di rilievo e non tardò a riceverne il debito riconoscimento. Uno dei primi provvedimenti degli Anziani, il collegio che accentrava in sé il potere di governo, fu quello di nominare il G. rettore del ponte di Reno e dell'attiguo ospizio, con diritto di amministrarne tutti i beni e di percepirne i frutti. L'8 giugno 1334 il Consiglio del Popolo ratificò tale decisione, ne rese vitalizia la durata e stabilì che a riconoscimento del diritto di proprietà del Comune su tali beni il G. offrisse ogni anno un pranzo al capitano del Popolo e agli Anziani e un drappo per il palio della festività di S. Pietro.
L'attribuzione dei redditi di una proprietà del Comune al G., al di là dell'interesse per il caso singolo, assume preciso valore emblematico della prevalenza assunta nel nuovo regime da una ristretta oligarchia che, dopo aver promosso la rivolta contro il legato, si poneva quale effettiva classe di governo della città. Essa si trovò peraltro ad affrontare non solo tutti i vecchi e irrisolti problemi di crisi economica e di contrasti tra fazioni che la signoria di Bertrand du Poujet aveva solo mascherato, ma anche le pessime relazioni con la corte pontificia determinate dalla cacciata del legato. Non riuscì però a dare una risposta adeguata a tali problemi e, trascorsi appena tre anni, un nuovo regime signorile ne prese il posto.
Negli avvenimenti di questi tre anni di breve autonomia comunale il G. fu un effettivo protagonista. Insieme con Taddeo Pepoli e Bornio Samaritani fu costantemente presente nelle ristrette Balie via via create per affrontare le questioni più delicate, quali i termini e i costi di una rinnovata soggezione della città al papa (9 nov. 1334), il contenuto dell'auspicato trattato di riconciliazione (15 nov. 1335), il risanamento del debito del Comune (30 genn. 1336), la difesa militare della città e del contado (marzo 1336). Il punto più alto di questo concentrarsi del potere nelle mani di pochi lo si raggiunse il 6 maggio 1336 quando il Consiglio del Popolo, nonostante una forte opposizione interna, delegò i propri poteri normativi a una Balia di dodici persone da eleggersi dagli Anziani, integrata, in quanto membri di diritto, dal preconsole dei notai, dal "barisello" (bargello), da Taddeo Pepoli, dal G. e da Bornio Samaritani.
Ma un ruolo fondamentale il G. lo sostenne anche nell'esasperare le ricorrenti crisi in cui si dibattevano le fragili strutture dell'autonomia comunale. Forse incapace di perseguire un disegno politico diverso dallo scontro fisico e dalla sopraffazione degli avversari, il G. si trovò coinvolto a più riprese in vere e proprie risse con esponenti della parte che si andava raccogliendo attorno a Taddeo Pepoli. Questi, a differenza del G., poneva invece la massima cura nell'evitare un diretto, personale coinvolgimento negli scontri fisici e preferiva intervenire in un momento successivo, magnanimamente disposto a un accordo con l'avversario o, addirittura, quale arbitro dei contrasti.
Alcune avventate iniziative del G. contribuirono validamente a rafforzare, per contrasto, il prestigio di Taddeo Pepoli. Fece particolare scalpore nel luglio del 1336 la plateale sfida del G. al divieto di portare armi in città e la successiva rissa che i suoi seguaci, anch'essi armati, attaccarono con le forze del podestà. La mancata punizione per questo eccesso, sintomo dell'estrema debolezza delle istituzioni cittadine, incapaci di far rispettare le norme da esse stesse emanate, dovette convincere il G. che gli erano possibili altre e più forti prevaricazioni. Parevano facilitargliele la sua posizione di membro della Balia cui il Consiglio del Popolo appena due mesi prima aveva delegato i suoi poteri e il suo ripetuto coinvolgimento in incarichi di prestigio, come l'ambasceria a ricercare l'alleanza del marchese Obizzo (III) d'Este nel novembre 1336, e di rilievo politico e militare, quale uno dei capitani della Parte guelfa nello stesso mese. Né è da trascurare in questo contesto l'importanza dell'appoggio che al G. veniva dall'intera famiglia, sia quale gruppo compatto nelle assemblee e negli scontri di piazza, sia attraverso gli incarichi di suoi singoli esponenti. Importante sotto tale profilo si rivelò l'opera di Donzevalle Gozzadini, preconsole, cioè capo della potente società dei notai nel primo semestre del 1336, e soprattutto gli incarichi attribuiti al fratello del G., Pino, anch'egli doctor legum, ma, ben più del fratello, attivo in compiti consoni al suo titolo. Nel giugno del 1334 Pino fu scelto come sapiens nel caso in cui fosse stato necessario ricorrere a un consilium per decidere questioni nate dalle norme emanate sui banditi per debito e all'inizio del 1336 fu inviato con Roberto da Saliceto, altro doctor legum, e il notaio Fulco Burelli a re Roberto d'Angiò e alla corte pontificia per un ulteriore tentativo di risolvere i contrasti con la città.
Ai primi di luglio del 1337 il G. tentò un'ennesima prova di forza, forse indottovi, ma di sicuro sopravvalutando la consistenza del suo seguito. Vi dette occasione una successione di vendette in cui era coinvolto Jacopo Bianchi, partigiano di Taddeo Pepoli. Il G. ne pretese la punizione ma, nonostante gli Anziani avessero imposto a entrambi e ai loro familiari una pesante garanzia al fine di evitare il degenerare dello scontro, le due famiglie e i loro seguaci si armarono e si dettero battaglia. I Gozzadini ebbero il sopravvento, ma l'intervento di Taddeo Pepoli, accorso con grande seguito a ristabilire, come al solito, la pace, impedì al G. alcun guadagno da tale vittoria. Fu invece il Pepoli a trarne i reali benefici, come colui che aveva ristabilito la pace in città. E contro il G., i suoi familiari e i Formaglini che lo avevano appoggiato, ritenuti causa degli ultimi disordini, la folla si scatenò e ne pose a sacco le case. Il G. si salvò con la fuga. La mattina seguente il saccheggio il podestà proclamò il bando contro tutti i componenti maschi delle famiglie Gozzadini e Formaglini, dai 14 ai 70 anni, e contro altri 22 cittadini loro alleati. Subito dopo venne nominata una nuova Balia, investita di pieni poteri per il governo della città. In questa Balia vi erano solo fidati amici di Taddeo Pepoli e infatti alla fine d'agosto egli venne acclamato signore dal Consiglio del Popolo.
Ben poco si sa delle successive vicende del Gozzadini. Un documento della fine del 1341 sembra fare riferimento al fallimento di un tentativo suo e dei suoi familiari di rientrare in Bologna. Cronache familiari più tarde ne indicano la partecipazione nel 1342 alla difesa di Pisa contro Firenze, appoggiata da milizie di Bologna guidate da Giacomo Pepoli, e ne riportano la morte a Pisa, ove si sarebbe ritirato, nel 1348. In realtà un documento degli inizi del 1348 attesta che in tale data il G. era già morto, ma dove e quando ciò sia avvenuto non è stato possibile determinare con sicurezza.
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