CASTIGLIONI, Branda
Nacque a Milano nel 1415 da Giacomo e da Orsina Castiglioni. Vantando fra la sua parentela diretta vescovi ed alti prelati ed essendo pronipote del cardinale omonimo, il C. si dedicò alla carriera ecclesiastica. Laureato in giurisprudenza e distintosi precocemente per la sua eloquenza, figurò nel 1439 quale deputato del capitolo di Bayeux, di cui era allora vescovo lo zio Zanone Castiglioni, che lo aveva chiamato giovanissimo in Normandia; divenne quindi arcidiacono di Coutances, la cui diocesi era retta da un altro suo parente, Giovanni, e quindi canonico di Vireville e poi della cattedrale di Liegi. La sua carriera non fece altri progressi in Francia, probabilmente anche per lo sconvolgimento politico determinatosi in Normandia con la riconquista francese. Nel marzo 1465, chiamato a Roma presumibilmente da un cardinale di Curia o dallo stesso Paolo II, salito al soglio pontificio l'anno prima, il C. tornò in Italia, recando al passaggio per Milano i saluti del re di Francia a Francesco e a Bianca Maria Sforza, in quel momento in ottimi rapporti con Luigi XI, che, successo al padre nel 1461, stava uscendo dalla pericolosa crisi della guerra della Lega del bene pubblico.
L'8 ottobre dell'anno dopo il C. divenne vescovo di Como, con qualche opposizione, pare, del nuovo duca di Milano, Galeazzo Maria, che aveva altri progetti su quella sede vescovile. Ciononostante - dal gennaio 1469 egli fu creato dallo Sforza membro del Consiglio segreto. Nell'estate dello stesso anno si dovette recare a Bormio, stazione termale della Valtellina, per curarsi essendo affetto da una grave, ma non meglio specificata malattia. A Como, dove aveva riformato alcuni monasteri e aveva riunito in un unico organismo l'ospedale maggiore o di S. Anna e i vari nosocomi della città - in cui non si recava se non saltuariamente -,aveva lasciato come vicari diocesani Bartolomeo Parravicini e Stefano Appiano e come amministratori i fratelli Giovanni e Cristoforo. Subito dopo il C. compì un missione diplomatica per il duca di Milano, che lo inviò in Francia. Egli doveva rassicurare il re circa i rapporti fra Carlo il Temerario ed il duca stesso, che in effetti, stava cominciando a subire il fascino del duca di Borgogna. Non è da credere però che un sottile politico quale era Luigi XI, verso cui l'atteggiamento dello Sforza stava trasformandosi da autenticamente cordiale, com'era quello del duca Francesco poco prima di morire, in ambiguo, potesse essere tranquillizzato da assicurazioni verbali, anche se l'ambasciatore era particolarmente ben scelto, perché già una volta il C. aveva fatto da tramite fra il re e il duca di Borgogna.
Quando il 30 marzo del 1472 morì Amedeo IX duca di Savoia, il C. venne incaricato, insieme con Sagramoro Visconti e con Lorenzo da Pesaro, di recare le condoglianze ed offerte di sostegno del duca di Milano alla vedova Iolanda, reggente del ducato già da vari anni, la quale si trovò subito dopo a far fronte ai tentativi d'ingerenza negli affari savoiardi sia del fratello Luigi XI, che sosteneva le pretese di reggenza di Filippo di Bresse, sia del duca di Milano, sia del duca di Borgogna, come anche alle minacce degli Svizzeri. Gli ambasciatori milanesi rimasero a corte fino alla proclamazione della successione del figlio del defunto duca. Il C. tornò in Savoia l'anno dopo, quando fu celebrato l'anniversario della morte di Amedeo IX, mentre la diplomazia sforzesca intensificava i suoi sforzi per assumere l'interessata protezione del vicino ducato, che avrebbe portato ai primi di gennaio del 1474 alla stipulazione della promessa matrimoniale fra la figlia del duca di Milano, Bianca Maria, e l'erede al ducato savoiardo, Filiberto. Nello stesso anno 1474,il C., che fu a Como nel luglio e nel novembre, fu nominato, insieme con Tommaso da Bologna, Pietro Francesco Visconti e Giovanni Simonetta, deputato agli affari di Genova, che proprio l'anno prima aveva avuto un sussulto di protesta contro l'oppressiva dominazione sforzesca.
Agli inizi del 1476 una delicata missione fu affidata al Castiglioni. Già da un anno Milano si era stretta con la Borgogna in una alleanza, per la quale Iolanda di Savoia si era assunta le funzioni di intermediaria e favoreggiatrice. Si trattava però di un'alleanza quanto mai precaria, perché Galeazzo Maria non aveva rotto del tutto i rapporti con Luigi XI, né aveva d'altra parte fornito, benché ne fosse stato più volte sollecitato, un aiuto concreto contro gli Svizzeri all'alleato borgognone; inoltre l'appoggio che la duchessa Iolanda concedeva ai due alleati non era privo di reciproca diffidenza. Quando agli inizi dell'anno la reggente di Savoia decise di recarsi ad incontrare Carlo il Temerario, che nella sua avanzata contro i Cantoni si dirigeva verso la Savoia, il C., insieme con altri illustri milanesi, ebbe dal duca l'incarico di scortarla. Ufficialmente avevano il compito di renderle onore; nella realtà gli oratori, numerosi e fidati, avevano l'ordine di sorvegliarla strettamente e di accompagnarla fin presso il duca di Borgogna, a cui non dovevano recare alcun messaggio particolare. Il C. era così ai primi di marzo a Ginevra, quando giunse nella città la notizia della rotta subita da Carlo a Grandson. Probabilmente non in grado di intuire, in un caso imprevisto e di particolare gravità, le direttive della ondeggiante politica di Galeazzo Maria, gli oratori milanesi pregarono invano la duchessa di tornare indietro. Mentre questa proseguì il cammino, che l'avrebbe portata alla cattura e alla prigionia, il C. agli inizi del mese di aprile tornò in Italia.
Il 3 maggio successivo egli fu oggetto di una lettera di protesta diretta al duca di Milano a proposito del possesso dell'abbazia di Morimondo, in cui il C. aveva dei benefici, da parte di Giovanni Andrea Lampugnani, uno dei futuri assassini del duca stesso. Questo casuale filo che lo lega all'uccisore di Galeazzo Maria Sforza è raddoppiato dal fatto che egli avrebbe dovuto officiare la messa nella chiesa di S. Stefano, la mattina del 26 dicembre, quando il duca fu assassinato.
Divenuta reggente per il figlio minore, Gian Galeazzo, Bona di Savoia si premurò tosto di ottenere, con il rinnovo della lega e con la conferma del feudo di Genova, la benevola protezione di Luigi XI, cui inviò nel corso del 1477 più legazioni, che non sortirono però alcun effetto. Nel novembre-dicembre il C., insieme con Azzone Visconti e con Luigi Bossi, fu inviato presso il sovrano francese, ma anche questa volta il re, con il quale si arrivò al rinnovo della lega l'anno dopo, deluse le aspettative della duchessa. Agli ambasciatori, che incontrarono a corte Roberto di Sanseverino, le cui difese, nel suo contrasto con la reggente, erano state assunte da Luigi XI, il re promise soltanto il prossimo invio di una legazione francese a Milano. L'anno successivo il C. si trovò ancora una volta coinvolto in una impresa non coronata da successo. Dopo l'inizio della guerra in Toscana, seguita alla congiura dei Pazzi, era giunta a Milano notizia della disponibilità mostrata dal governatore di Genova, Prospero Adorno, alle proposte di Ferdinando I d'Aragona. Nel maggio fu mandato presso l'Adorno il C., che doveva invitarlo a portarsi a Milano per fornire le dovute giustificazioni sulla sua condotta alla reggente. Giunto nella città ligure travestito e senza seguito, non ottenne obbedienza dal governatore, che anzi provocò una sollevazione contro i Milanesi. Il vescovo di Como fu allora costretto a rifugiarsi in Castelletto, con 400 persone, da dove prese a bombardare la città. Dopo la vittoria (9 agosto) sulle truppe sforzesche di Roberto di Sanseverino, sceso da Asti in aiuto dei Genovesi, il C. resistette ancora alcuni mesi, ma nel novembre, senza speranza di soccorsi ed a corto di viveri, dovette abbandonare Castelletto rifugiandosi a Milano.
Il 28 dicembre il ducato di Milano subì a Giornico un altro duro scacco, questa volta da parte degli Svizzeri, che però non sfruttarono la vittoria, addivenendo ad una tregua alla fine di marzo del 1479. Tramite fra i due belligeranti, che avrebbero ratificato la pace il 29 settembre, fu il re di Francia,presso il quale nel giugno si trovava il C., quale ambasciatore ducale con il compito di perfezionare le laboriose trattative. Era a Milano invece alla fine dell'anno. Qui era avvenuto, nel settembre, il ritorno di Lodovico il Moro dall'esilio impostogli dalla cognata due anni prima, ed il conseguente imprigionamento di Cicco Simonetta. Anche i figli del vecchio segretario ducale, Ippolita e Ludovico, erano stati arrestati ed incarcerati a Monza. Liberati però, anche per intercessione del vescovo di quella città, furono prelevati dal C., che l'anno successivo si occupò anche di dirimere una questione relativa alla dote di Ippolita. Presente a Milano il 23 giugno 1480 alla ratifica da parte di Bona di Savoia e del figlio Gian Galeazzo all'atto di fidanzamento fra quest'ultimo ed Isabella d'Aragona del 26 sett. 1472, al principio di novembre il C. era a Roma. L'11 agosto di quell'anno, com'è noto, i Turchi si erano impadroniti di Otranto ed in conseguenza di ciò mentre il re Ferdinando aveva lanciato un appello alle potenze italiane, il papa aveva convocato una Dieta per il 1º novembre. Rappresentarono in essa il duca di Milano, il C., Leonardo Botta ed Antonio Trivulzio. L'istruzione ufficiale dava loro ampio mandato di assumere impegni anche gravosi in difesa della Cristianità, ma l'istruzione segreta, come del resto accadeva spessissimo, era molto più restrittiva e circostanziata. Le trattative si prolungarono fino al maggio del 1481, senza portare ad alcun risultato.
Successivamente il C. rimase con grande probabilità a Roma, dove si trovava sicuramente nel novembre e nel dicembre di quell'anno. Ne ripartì il 14 maggio 1482, con gli altri ambasciatori della lega, senza aver potuto impedire lo scoppio della guerra cosiddetta di Ferrara. Quando il 12 dicembre dello stesso anno si arrivò alla pace fra il papa e la lega, fu fra i negoziatori dell'accordo, che non includeva però la Repubblica veneta. Il rifiuto di Venezia di accettare il trattato di pace portò quindi alla coalizione di tutti gli Stati italiani contro di essa e alla ripresa della guerra. Ai primi di aprile Sisto IV, la cui alleanza con Ferrara e con gli altri alleati sarebbe stata pubblicata il 30 dello stesso mese, nominò il C. legato della flotta pontificia, costituita da dodici galee. Il 31 egli ricevette due vessilli da recare con sé in mare, benedetti solennemente dal pontefice in S. Maria del Popolo. Da Ancona la flotta della lega, al cui comando era Federico d'Aragona, si portò a Lissa occupandola, ma esaurì ogni sua attività in uno scontro dall'esito incerto presso l'isola di Curzola in Dalmazia. Tornato il C. a Roma, Sisto IV lo nominò governatore della città, ma per la violentissima opposizione di Girolamo Riario egli fu sollevato dall'incarico il giorno stesso della nomina. Si era ritirato a Como, quando, morto Sisto IV (12 ag. 1484), venne inviato di nuovo a Roma per porgere le congratulazioni di Lodovico il Moro al nuovo pontefice, Innocenzo VIII. Nel novembre del 1485, mentre la congiura dei baroni nel Regno si stava trasformando da problema di politica interna in guerra pontificio-napoletana, il C. era presso Ferdinando, come inviato del Moro, che si sarebbe poi schierato accanto al re. Dopo due mesi circa dalla firma della pace fra il papa ed il re di Napoli, che era riuscito a schiacciare la congiura, il 3 ott. 1485,tornò a Roma quale oratore ducale, insieme con Giacomo Trivulzio e con Guido Antonio Arcimboldi.
Era ancora nell'Urbe nel maggio 1487,quando pare avvenisse in pectore la sua designazione a cardinale, ma il 15 luglio dello stesso anno egli morì a Roma. Gli furono tributate esequie cardinalizie e fu seppellito in S. Pietro, in una tomba ora scomparsa.
Furono dovuti alla sua munificenza gli affreschi dell'oratorio del collegio Castiglioni, a Pavia, eseguiti nel 1475.
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