BRACCIALETTO
L'uso del b. è documentato fin dai tempi più remoti con l'introduzione dei metalli. Nel mondo egiziano e mesopotamico era portato tanto dagli uomini quanto dalle donne all'avambraccio, al polso, alle caviglie: spesso in forma di cerchi sottili, talvolta ornati di gemme; di tali b. restano numerosi esemplari, oltre a quelli raffigurati sui monumenti. La Bibbia distingue i b. che ornavano il polso (Genesi, xxiv, 27, 30, 47; Ezechiele, xvi, 11; xxiii, 42) e quelli che si infilavano nel braccio sopra al gomito (Samuele, i, 10); in Numeri (xxi, 50) si ricordano e si distinguono i due tipi e un terzo è citato in Isaia (iii, 9) accanto ad altri ornamenti femminili. I Persiani sono chiamati da Erodoto (viii, v, 113) "portatori di braccialetti" (ψελιοϕόροι). Nella Cina antica non esistono b. e la parola per distinguerli appare per la prima volta in un dizionario del I sec. d. C.; vi furono probabilmente introdotti dall'India con il buddismo. Sono raffigurati nell'arte dell'Asia Centrale e poi in quella cinese; una forma particolare di b. cinese è quello di giada o di legno scolpito e intarsiato, e b. simili appaiono nelle pitture di Ajanta e nelle sculture del Gandhāra. Solo nella poesia di Tu Fu e Co Chu-i U (sec. VIII d. C.) sono ricordati b. d'oro e d'argento.
In Grecia il b. appare nella civiltà minoico-micenea sia in affreschi cretesi (ad esempio il "Re dei gigli" di Cnosso, con b. ornato di gemme al polso), sia in esemplari d'oro e d'argento micenei; è infine ricordato nell'e pos omerico. Le fonti letterarie greche distinguono i b. da polso (περικάρπια, περοιχείρια) e quelli per il braccio (ἀμϕιβραχιόνια), e le varie forme a spirali ἕλιξ a serpenti (ὄϕις, δράχων), a nastro (σϕιγκτήρ).
(P. Sticcotti)
Oltre ad avere una funzione ornamentale, il b. veniva portato dagli uomini col valore di un distintivo onorifico; ed i Sabini, secondo quanto ci tramanda Tito Livio, solevano recarsi in battaglia con il braccio destro ornato di grosso e pesante braccialetto. Ma nonostante la indiscussa documentazione letteraria e figurativa, convalidata dai numerosi rinvenimenti archeologici in ambienti ed epoche diverse, alquanto difficile risulta una ricostruzione del quadro tipologico del b., perché uno stesso modello si ripete di ambiente in ambiente, in epoche molto diverse fra loro, pure se le varianti presentate dai numerosi esemplari pervenutici possono documentare le differenti correnti stilistiche delle oreficerie locali. Solo in sporadici casi ed in particolari ambienti, ove il gusto e l'originalità delle officine locali s'impone, accanto ai tradizionali modelli vediamo sorgere creazioni nuove che possono nettamente contraddistinguere un'epoca ed una civiltà. Pertanto, in rapporto alla forma, si possono distinguere tre tipi fondamentali comuni: a cerchio, serpentiforme, a nastro.
Nel suo più semplice modello il b. appare come un cerchio tubolare, a superficie liscia o attorcigliata, con le estremità a volte cave in modo da scivolare l'una nell'altra a guisa di chiusura. Il cerchio, in alcuni casi, si presenta doppio o triplo ed assume la forma di una spirale.
La più antica documentazione risale al III millennio ed è fornita da un gruppo di sei braccialetti di argento rinvenuti dallo Schliemann tra altri oggetti in un vaso di argento nel II strato di Troia (2350-2000 a. C.). Allo stesso ambiente, pure se di un'epoca più tarda, appartiene un b. di argento nastriforme che, nella preziosità tecnica della ornamentazione a doppia fila di spirali filigranate divise da rosette, rivela influssi mesopotamici e cicladici. Anche se questo esemplare isolato non è sufficiente a testimoniarci un tipo, è evidente che fin da epoca remota si conobbero b. più riccamente ornati, creati da orafi per re o nobili; mentre alla parte più umile della popolazione erano riservati i semplici cerchi di ferro o di argento. Ne abbiamo conferma, per un ambiente diverso, nel bel b. rinvenuto nella IV tomba di Micene che si può annoverare tra i più fini esemplari dell'oreficeria micenea: a cerchio d'oro interno, in cui è inserito un cerchio di argento, presenta al centro della fascia esterna una lamina d'oro rivestita di argento e ritagliata a forma di fiore (2a metà del XVI sec. a. C.).
Ma, esclusi questi due modelli isolati, che non possono fornire nessun elemento tipologico, si può senz'altro affermare che il modello più diffuso e particolarmente amato nell'antichità, probabilmente per il significato religioso intimamente connesso, è il b. a serpente, che risale forse, nella sua prima attuazione, ad età micenea e che costituisce il modello prevalente del mondo greco in età classica (VI-IV sec. a. C.). Ma mentre in questo periodo, per la scarsezza degli oggetti rinvenuti, la documentazione su suolo greco è data quasi esclusivamente dalle riproduzioni su statue, rilievi, vasi dipinti e dagli inventarî dei templi, che tra i numerosi gioielli votivi menzionano bracciali d'oro e d'argento, semplici (ψέλια) o ornati di pietre preziose (ψέλια χρύσεα λιϑόχολλα) ed armille da caviglia (περισχελίς), tutti i territorî fortemente ellenizzati ai margini del mondo greco ci hanno fornito una così ricca messe di esemplari da non lasciare alcun dubbio sull'uso corrente del tipo di b. a serpente. Documentato ampiamente nella penisola calcidica tra i gioielli macedoni della Civiltà del Ferro, nella Russia meridionale da alcuni rinvenimenti delle tombe di Kerč, in Etruria nella fase orientalizzante, in Egitto da alcuni esemplari provenienti da Tukl el-Karmus e da Sa el-Hagar e nella Magna Grecia, tra le oreficerie di Taranto e Napoli, esso si presenta in due modelli principali comuni, rielaborati poi di centro in centro dal gusto e dallo stile degli orafi locali. Il primo modello, di attuazione più antica, ha la forma di una spirale che aderiva intorno al braccio per semplice pressione. Il cerchio, a volte tubolare, massiccio o vuoto, con decorazione ad imitazione della pelle del serpente, a volte a nastro arricchito di decorazioni ed ornamenti di filigrana, termina, alle estremità, in teste di serpente su cui, in alcuni esemplari, sono incastonate alcune pietre. Il secondo modello, di derivazione assira, è a cerchio semplice, a tubo o a nastro, liscio o a tortiglione, con le estremità combacianti che terminano a teste di serpente, di ariete, di sfingi e di caproni rampanti finemente cesellate ed arricchite da fasce intermedie di filigrana, perline, palmette. Particolarmente diffuso nel IV sec., questo tipo costituisce il modello predominante dell'età ellenistica. Accanto ad esso gode molto favore il b. decorato, nella parte superiore del cerchio o della fascia, dal nodo erculeo, che, per le qualità magiche del motivo decorativo, è molto diffuso nel IV sec. a. C. anche nelle collane, orecchini, anelli, con il valore di amuleto.
Gruppo a parte costituiscono i b. etruschi che, pur rivelando la spiccata originalità ed il raffinato gusto degli orafi locali, risentono nella tecnica e nella decorazione l'influsso dell'arte ionico-punica che prevale in tutta l'oreficeria etrusca della fase orientalizzante. Nè vi è alcun dubbio sulla predilezione mostrata dagli Etruschi per questo gioiello, data la frequenza con cui è riprodotto sulle braccia di personaggi maschili e femminili delle pitture tarquiniesi, dei defunti distesi sui sarcofagi, delle divinità raffigurate sugli specchi.
Oltre ai tipi a cerchio ed a serpente molto frequenti anche in Etruria, degni di nota sono i magnifici b. d'oro di Vetulonia, formati da lunghi nastri filigranati di trine a giorno sovrapposte e alternati a fettucce lisce; in alcuni casi fili lisci e cordonati o trine con motivi ad ondulazione semplice alternantisi con altre ripiegate a meandro, sostituiscono le fettucce lisce. I varî fili sono saldati insieme con tale finezza da dare a questo gioiello, particolarmente diffuso nel VII sec., la leggerezza e la trasparenza della trina di un merletto. Altro modello di arte orientalizzante fenicio-punica è quello a lamine riunite, decorate a sbalzo con scarabei di tipo egittizzante, con animali fantastici ed elementi vegetali di arte ionico-etrusca (VII-VI sec. a. C.).
Larga diffusione ebbe il b. anche tra le popolazioni nordiche celtiche ed in special modo fu usato dagli uomini, come attesta la denominazione viria, viriola con cui veniva designato (Plin., Nat. hist., xxxii, 3: viriolae celticae dicuntur, viriae celtibericae). Tra le armi ed il ricco corredo delle tombe dei capi barbari si raccolsero numerosi b. dalle più svariate forme. Oltre i tipi semplici a cerchio liscio o a tortiglione con estremità a protomi d'animali o a zampe leonine, già noti in altri ambienti, caratteristici dell'oreficeria del mondo nordico sono i b. a nastri di lamina aurea o bronzea, a larga fascia decorata a stampo o a punzone con un repertorio geometrico di raffinata tecnica, i quali ebbero larga diffusione particolarmente nella parte orientale del mondo knordico. Accanto ad essi sono degni di nota i bei b. a torques decorati a sbalzo con elementi floreali.
Nel mondo romano, nonostante una tradizione di rigida sobrietà e severe leggi che tentano di frenare gli eccessi del lusso, trionfa una vera passione per i gioielli e le gemme. Mentre per gli uomini ornarsi di b. era segno di mollezza e di ostentazione di ricchezza facilmente acquisita, come nel caso di Trimalchione posto in ridicolo da Petronio, tra le donne si diffuse la moda di portarne contemporaneamente alle braccia (spinter, per il sinistro, contrapposto a dextrocherium o dextrale), ai polsi (spatalium) ed alle gambe.
In quanto alla tipologia, nel b. romano si ripetono i modelli classici rielaborati ed arricchiti da un eccesso di decorazione ed accanto ad essi si creano nuovi tipi che contraddistinguono nettamente questo ambiente. Il modello nuovo prevalente, riccamente documentato dalle oreficerie pompeiane, è costituito da coppie di emisfere di lamina aurea, fissate l'una all'altra da una agganciatura in grosse maglie di filo aureo con chiusura fatta da maglie nastriformi tra cui passa un perno a cerniera. Questo tipo, il cui effetto decorativo è affidato unicamente alla massa delle superfici auree o argentee, e che si ripete in numerosi esemplari varianti solo nel numero delle emisfere, ha la sua più larga diffusione nel I sec. d. C. Altro modello noto alla oreficeria romana è quello a clava, che risulta composto da due lamine riunite, ricurve a forma di clava, segnate nella superficie da lievi incisioni e terminanti con due teste leonine. Il fasto sempre crescente dell'Impero crea forme sempre più ricche e vistose, anche se perdura il tipo serpentiforme a più spirali e quello ad un sol giro, con le due estremità a testa di serpente cesellate a rilievo. Particolarmente prediletto fu il b. ad alta fascia con monete inserite, che ebbe larga diffusione insieme al tipo a tortiglione con estremità terminanti a spirale di grosso filo o con due emisfere o con semplice gancio o anche con castone massiccio decorato da pietre incise. Nel tardo Impero, per influsso dell'arte nordica barbarica, prevale il gusto della policromia che crea modelli particolarmente sovraccarichi di gemme, di smalti e di decorazioni (v. nordico-germanica, arte).
Bibl.: E. Saglio, in Dict. Ant., I, pp. 435-438, s. v. Armilla; H. T. Bossert, Altkreta, Berlino 1937; G. Karo, Die Schachtgräber von Mykenai, Berlino 1930; id., Le oreficerie di Vetulonia, in Studi e Materiali di Archeologia e Numismatica pubblicati per cura di L. A. Milani, I, 1901, p. 235 ss.; II, 1902, p. 97; F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery in the British Museum, Londra 1911; L. Breglia, Le oreficerie del Museo di Taranto, in Japigia, X, 1939, pp. 5-54; id., Catalogo delle orefeicerie del Museo di Napoli, Roma 1941; P. Amandry, Collection Hélène Stathos, Les bijoux antiques, Strasburgo 1953; R. Siviero, Gli ori e le ambre del Mus. Naz. di Napoli, Firenze 1954; G. Becatti, Oreficerie antiche, dalle minoiche alle barbariche, Roma 1955; P. Coche de la Ferté, Bijoux antiques, Parigi 1955.
(R. Pulinas)