BOSONE da Gubbio (Buçonus, Busonus de Eugubio, Bussonus de Hogobio, Busone da Ghobbio)
Scarse e frammentarie, allo stato attuale delle nostre conoscenze, le notizie relative a questo uomo politico eugubino amante delle lettere e delle arti, appassionato di Dante, autore fra l'altro di un Capitolo a compendio della Divina Commedia e, con ogni probabilità, di un farraginoso romanzo in volgare, l'Aventuroso Ciciliano.
La storia letteraria ci parla di un Bosone dei Raffaelli, nato a Gubbio sul finire del sec. XIII da nobile e antica famiglia; esponente in vista della fazione ghibellina locale, bandito più volte dalla sua città per motivi politici (nel 1300, nel 1315, nel 1323), podestà di Arezzo (nel 1315, e poi di nuovo dal 13 sett. 1316 al marzo 1317), di Viterbo (1317), di Lucca (1319), di Todi (1324); capitano del popolo a Pisa (1327), e quindi vicario imperiale in quella stessa città per conto di Ludovico IV il Bavaro (dall'ottobre 1327); prigioniero di Castruccio Castracani (29 apr. 1328), liberato dopo la morte del condottiero, sopravvenuta il 30 sett. 1328; senatore di Roma insieme con Iacopo di Cante Gabrielli dal 15 ott. 1337 al 2 ott. 1338; vissuto almeno fino al 1349, anno in cui è citato come vivente in un atto notarile, ma morto prima del 1377, perché in un documento di quest'anno è ricordato come già morto. Secondo una tradizione pure ripresa dalla storia letteraria, il B., cacciato da Gubbio nel 1300, avrebbe riparato in Arezzo, "ove, trovandosi nel 1304 con Dante, pur esule dalla sua patria", si sarebbe a lui legato "di quella stretta amicizia, per cui divenne celebre" (Mazzuchelli); rientrato nella sua città, avrebbe composto nel 1311 l'Aventuroso Ciciliano. Tornato di nuovo in patria, dopo l'esilio comminatogli nel 1315, il B. si sarebbe fermato a Gubbio sino al 1325, quando prevalse nuovamente la parte guelfa. Appunto durante questo periodo egli avrebbe ospitato l'esule Dante, il quale nella casa del nobile eugubino e nel castello di Colmollaro (possesso del B. nel contado di Gubbio) avrebbe scritto "buona parte della sua Commedia", ed indirizzato al B. un sonetto in cui "lodò il suo ospite Bosone, e un suo figliuolo, che verosimilmente ebbe Bosone da Paola degli Ubaldi sua moglie" (Mazzuchelli). Secondo la storia letteraria, inoltre, il B. "certamente fu uomo assai chiaro a' suoi tempi, ed a lui fu dedicato un libro intitolato Fiorita d'Italia"; ebbe fra gli altri amici Cino da Pistoia, tanto che si è voluto vedere in lui lo "spirito gentil" della famosa canzone del Petrarca.
Ma che il B. fosse stato bandito nel 1300, e che nel 1304 si fosse incontrato con Dante ad Arezzo, è mera ipotesi del Raffaelli, al quale è da attribuire anche la notizia - destituita per altro d'ogni attendibilità - che appartenesse alla illustre famiglia eugubina dei Raffaelli. Pure non confortata da alcun documento autentico è la tradizione - certo frutto di ambizioni municipali o di vanità familiari - secondo la quale Dante esule avrebbe soggiornato in Umbria, e sarebbe stato ospite del B. in Gubbio. B. non fu mai podestà e governatore di Pisa; né vicario di quella città per conto di Ludovico IV. Questa notizia, riportata da Giovanni Villani (Cronica, X, 82, dove si parla però di un "messer Bavosone d'Agobbio"), è infatti contraddetta dalle coeve fonti d'archivio. Baverio dei Salinguerri fu prima podestà e governatore ("gubernator") di Pisa, e poi vicario imperiale per conto di Ludovico IV dal novembre 1327 all'aprile 1328 e cioè nel periodo nel quale, secondo il Villani, B. sarebbe stato "capitano del Popolo" a Pisa; venne quindi sostituito con Giovanni de Castillione "generalis vicarius pis. civ. et comitatus pro imperatoria potestate" dal maggio: "Serenissimo et excellentissimo principe domino Ludovico, Dei gratia Romanorum rege... et Baverio de Salinguerris de Eugubio existente Pisanorum po(te)st(at)e et gubernatore pisane civitatis et comitatus pro ipso domino rege" (Pisa, Arch. di Stato, Comune divisione A, reg. 215, cc. 60v-61r; cfr. Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, in Fonti per la storia d'Italia..., 99, a cura di O. Banti, Roma 1963, pp. 81 s.). Il Villani, dunque, o equivocò tra il nome di Baverio dei Salinguerri e quello di B. o riferisce una notizia falsa.
Inoltre la persona che fu podestà di Arezzo nel 1315 non è la stessa persona che fu podestà ad Arezzo nel 1316-17 e senatore a Roma con Iacopo di Cante Gabrielli nel 1338 (la data del 15 ott. 1337 è infatti quella della lettera di nomina: i due nuovi magistrati creati da Benedetto XII entrarono in Roma solo il 21 genn. 1338: A. Salimei, Senatori e Statuti di Roma nel Medioevo. I Senatori..., in Bibl. stor. di Fonti. e documenti, II, Roma 1935, p. 104). Bastano ad accertarcene le stesse espressioni usate dalle fonti coeve. Gli Annales Arretinorum Minores annotano, sotto l'anno 1315: "Pax facta inter Arretinos et Sanenses: Bosone de Ugubio potestate"; mentre gli Annales Arretinorum Maiores segnano sotto l'anno 1316: "Bosonellus domini Bosonis de Egubio stetit a die XIII Septembris usque ad diem XXIII Martii", e di un "Bosonus Novellus miles de Eugubio" parlano i documenti pontifici relativi alla breve magistratura romana del collega di Iacopo di Cante Gabrielli. La medesima discrepanza è nelle fonti letterarie. L'anonimo amanuense che, nella prima metà del sec. XV, trascrisse il codice Laurenziano Plut. 89 inf. 60, contenente l'unica redazione a noi nota dell'Aventuroso Ciciliano, annotò al termine della sua opera, sul rovescio del fol. 38, il seguente colophon, che si trovava certamente nel manoscritto da lui esemplato: "Finito è il libro nominato Auenturoso ciciliano Chomposto per messer bosone da Ghobbio Negli anni di nostro signiore Gieso xsto mcccxj Amen". Mentre Armannino, il dotto notaio di Fabriano che scriveva intorno al 1328, dedicava la sua erudita antologia di racconti storici e leggendari in prosa e in versi "Egregie nobilitatis et potentie militi domino suo Bosone Novello Eugubine civitatis honorabili civi" (Vat. lat. 4188, fol. 1r, A, rr. 3-4). Nella sua dedica, inoltre, Armannino, pur facendo l'elogio di Bosone Novello alludendo alla nobiltà dei suoi natali e all'elevatezza del suo animo, parla in modo del tutto generico della sua preparazione culturale - "Inter cunctos equidem scientia at nobilitate conspicuos velut sidus illustre personam vestram tam digne quam avide huius mee compilationis moderatricem eligi" (cod. Vat. lat. 4188, fol. 1v, rr. 7-9) -, tacendo del tutto, non solo una sua eventuale paternità del Capitolo a compendio della Divina Commedia e dell'Aventuroso Ciciliano - opere che non avrebbe certo mancato di attribuirgli, se avesse saputo che egli le aveva effettivamente composte -, ma anche un suo particolare interesse per le opere di Dante.
La tradizione letteraria ha dunque evidentemente equivocato, confondendo tra loro due illustri cittadini di Gubbio vissuti a poca distanza di tempo l'uno dall'altro, un Bosone ed un Bosone Novello, attribuendo a quest'ultimo quelle propensioni letterarie e quelle opere che debbono essere invece attribuite, con ogni probabilità, al primo. Ma chi fu questo Bosone?
Un'ipotesi appare plausibile, se si pone mente al decreto di bando contro i ghibellini di Gubbio promulgato il 1º ott. 1315 dalle autorità comunali della città umbra sulla base di una "lista di proscrizione" redatta da Cante Gabrielli (il medesimo che condannò Dante all'esilio) e da Piero di Corrado della Branca "de mandato nobilis et potentis militis domini Thomassi de Tanaldis de Rudione honorabilis capitanei populi civitatis prefate". Nel documento (Gubbio, Arch. Comunale, doc. num. 9), a carta 2v, si legge (rr. 15-17): "Domini, Bosonus, Cocchus, Guido, filii domini Buçoni", tra i nominativi dei ghibellini del quartiere di S. Andrea ai quali era comminato l'esilio. Padre di Bosone Novello - il nobile eugubino cui il dotto notaio di Fabriano dedicherà, tredici anni più tardi, la sua Fiorita - era dunque, come lo stesso appellativo di Novello lascia intuire, lui pure un Bosone, il quale non fu coinvolto nella pena di bando che colpì i suoi figli nel 1315. In quell'anno egli era infatti podestà in Arezzo (Annales Arretinorum Minores, p. 43), e il suo nome non compare nella lista degli sbanditi. Questo B. fu effettivamente contemporaneo di Dante. Sappiamo infatti che nel 1266 era podestà in Arezzo (Arezzo, Arch. Capit., perg. 679, in data 9 luglio 1266: "Bosone de Eugubio potestate et Tarlato de Petramala capitanio populi Aretini"; cfr. Annales Arretinorum Maiores, ad ann.);che nel 1277 ricopriva la carica di capitano del popolo a Forlì durante la podesteria di Vincenzo degli Onesti da Ravenna (Petri Cantinelli Chronicon;cfr. A. Cobelli, Croniche forlivesi);che nel 1316-17, all'epoca della podesteria aretina del figlio, era tuttora vivente (Annales Arretinorum Maiores, p. 15).
Sono, tutte queste, notizie che ben si accordano sia con la data 1310 segnata nel colophon del ms. Laur. Plut. 89 inf. 60, sia con le probabili date di composizione e di pubblicazione delle tre cantiche della Commedia dantesca: tra il 1307 e il 1309, per l'Inferno (glossa latina dei Documenti d'Amore di Francesco da Barberino); tra il 1309 e il 1313, per il Purgatorio;dopo il 1313 per il Paradiso. Brevissimo è infatti il cenno (appena 12 versi) che l'autore del Capitolo "Però che sia più frutto e più diletto" dedica - come a opera conosciuta solo a grandi linee o per excerpta - all'ultima cantica del poema di Dante.
Dell'attività poetica di B. ci rimangono poche ma vivaci testimonianze del suo entusiasmo per il poema dantesco. Componimento di una certa mole (193 versi)e di un notevole impegno dottrinale è il già ricordato capitolo in terza rima "Però che sia più frutto e più diletto" a compendio della Divina Commedia.
In esso vengono spiegate, in modo piuttosto frammentario, alcune fra le principali allegorie del poema dantesco, ed alcuni dei principali simboli concreti in esso contenuti: le tre fiere, Virgilio, Beatrice (vv. 1-57), per l'Inferno;Catone, Lucia, l'angelo portinaio, gli altorilievi della Prima Cornice, Stazio, il paradiso terrestre, la mistica processione (vv. 58-177), per il Purgatorio. Negli ultimi dodici versi si accenna in modo molto sommario al Paradiso, e in particolare al cielo della Luna, al cielo di Saturno, al mistero della Trinità. Nonostante lo scarso valore artistico del poemetto, esso conobbe una grandissima popolarità, segno, questo, dell'interesse che ben presto la Commedia seppe suscitare tra i suoi contemporanei anche meno istruiti. Complementare, nei propositi e negli sviluppi, al capitolo composto - pure in terza rima - da Iacopo di Dante Alighieri per spiegare sinteticamente la struttura generale della Commedia ed esporne sinteticamente il contenuto, insieme con quest'ultimo il capitolo di B. compare in un buono numero di codici (circa una settantina) contenenti il poema dantesco; ed insieme col capitolo di Iacopo Alighieri il capitolo di B. fu pubblicato per la prima volta a stampa, in appendice al Comento di Benvenuto da Imola, nella rara edizione datane a Venezia, nel 1477, da Vindelino da Spira.
In rapporto diretto col poema dantesco e col pensiero del grande Fiorentino è pure il già ricordato Aventuroso Ciciliano, attribuito non senza discussioni a B.; il frequente ritornare di modi e di espressioni dantesche nella prosa dell'Eugubino, e la presenza nel suo romanzo di idee e di concetti propri del pensiero di Dante, provano una notevole conoscenza e un diuturno approfondimento delle due prime cantiche della Commedia.
Il romanzo, che narra le avventurose peripezie di cinque baroni siciliani fuggiti dall'isola dopo la rivolta del Vespro, si avvale di una farraginosa compagine di digressioni morali, oratorie e storiche tratte dagli antichi classici latini (Cicerone e Sallustio) o dalle letterature volgari (Brunetto Latini, il Fiore dei Filosofi, Compagni e Villani). Non mancano, tuttavia, né parti di una certa bellezza e di indubbio valore artistico, né squarci di eloquenza commovente: come la visione di Giovanni da Procida, nel proemio; le "dicerie" di Giovanni del Chiaro e la descrizione della battaglia e della sconfitta degli Arabi, nel primo libro; le allocuzioni rivolte alle truppe da Brundisbergo e da Antonio Ammiraglio, la descrizione finale della grande battaglia, contenute nel secondo libro; il racconto dell'ambasceria del re d'Ungheria al re di Rascia, la narrazione della battaglia sotto le mura di Astrai - nel corso della quale rimane prigioniero messer Ulivo -, la descrizione delle feste dei Saraceni alla corte del Soldano, le storie di Ansalon Giudeo, del conte Artese, e di Ugo di Moncaro, nel terzo libro. L'unica redazione a noi nota dell'Aventuroso Ciciliano, non rappresenta - così sembra aver accertato la moderna critica letteraria - la stesura originale del romanzo, quanto piuttosto un rimaneggiamento posteriore dovuto a ignoto autore. Mancano tuttavia sia uno studio recente sull'argomento sia una edizione critica del romanzo, che soli potrebbero contribuire a far luce sul problema rappresentato dalla tradizione manoscritta di quest'opera, e permettere di meglio individuare tanto l'ambiente culturale in cui essa è stata elaborata, quanto le finalità estetiche e ideali che mossero il suo autore a comporla.
A B. sono attribuite anche alcune rime di corrispondenza e di occasione. Sentita espressione di cordoglio per la recente scomparsa di Dante è il sonetto "Due lumi son di novo spenti al mondo", indirizzato al poeta Immanuel Romano per la morte della moglie: in esso il poeta unisce in un unico compianto la sventura privata di Immanuel a quella della Poesia, orbata "di quel che di saper toccava il fondo". Pure di corrispondenza sono altri due sonetti "Spirito santo di vera profezia" diretto al poeta Pietro da Perugia, e "Manoel che mettete in quell'Avello", risposta "in persona di messer Bosone" (e quindi non scritta dal B.) al sonetto in morte di Immanuel Romano, animato da sentimenti gravemente offensivi e irriverenti nei confronti della memoria di Dante, "Messer Boson, lo vostro Manoello", falsamente attribuito a Cino da Pistoia.
La tradizione letteraria attribuisce senza alcun fondamento a B. anche un capitolo sulla guerra contro i Turchi (contenuto, insieme con i sonetti a Immanuel Romano e a Pietro da Perugia nel cod. Barber. lat. 4036, ff. 135, 22 e 95), scritto, a quanto sembra, intorno al 1345 per lamentare l'indifferenza delle nazioni cristiane di fronte all'avanzata turca, ed un sonetto in stile burchiellesco, "Io veggio un verme venir di Liguria", di argomento politico, che fu pubblicato per la prima volta sotto il nome dell'Eugubino dal Lami nel suo catalogo dei manoscritti riccardiani (p. 87).
Fonti eBibl.: Il capitolo "Però che sia più frutto e più diletto" è stato pubblicato da F. Roediger, Dichiarazione poetica dell'Inferno dantesco di frate Guido da Pisa, in Il Propugnatore, n.s., I (1888), pp. 376-384; il sonetto indirizzato a Immanuel è stato edito, insieme alla risposta del poeta romano, in Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano, s.d. [ma 1956], pp. 320 s.; il Fortunatus Siculus o sia L'Aventuroso Ciciliano. Romanzo storico scritto nel 1311..., a cura di G. Nott, Milano 1833.L. Allacci, Poeti antichi raccolti da codici mss. dalla Biblioteca Vaticana e Barberina, Napoli 1661, pp. 14 s., 112-121; Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, a cura di A. Theiner, Romae 1862, pp. 27 e 37;S. Bongi, Bandi lucchesi del secolo decimoquarto tratti dai registri del R. Arch. di Stato di Lucca, in Collez. di opere inedite o rare... pubbl. per cura della R. Commissione dei testi di lingua nelle Provincie dell'Emilia, I, Bologna 1863, p. 239;A. Cobelli, Croniche forlivesi, Bologna 1872; Annales Arretinorum Minores (ab anno Domini 1200), in Rerum Italic. Scriptores, 2 ed., XXIV, 1, a cura di A. Bini, p. 43; Annales Arretinorum Maiores,ibid., a cura di A. Bini, p. 15; Petri Cantinelli, Chronicon,ibid., XXVIII, 2, a cura di E. Torraca, p. 24; F. M. Raffaelli, Della famiglia,della persona,degli impegni e delle opere di messer B. da Gubbio, in Deliciae eruditorum..., XVII, Firenze 1783, passim;G. Lami; Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florientiae asservantur, Liburni 1756, p. 87;G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1842-1845; F. Trucchi, Poesie ital. del Dugento, II, Prato 1846, pp. 224 s.; S. Mazzatinti, B. da Gubbio e le sue opere, in Studi di filol. romanza, I (1884), pp. 277-334 (è il lavoro più serio sull'argomento; in esso l'autore esclude che Dante abbia conosciuto o sia stato comunque in relazione con B.); E. Cavallari, La fortuna di Dante nel Trecento, Firenze 1921, pp. 38, 55, 81, 235 s., 238;A. Alunno, B. Novello de' Raffaelli,poeta eugubino del sec. XIV, in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XXVII (1924), pp. 3-40; G. Raffaelli, B. da Gubbio e le sue opere, in Giornale dantesco, XXXI (1928), pp. 87-248; G. Carducci, Primi saggi, in Ed. naz. d. opere, VI, pp. 21, 33; Id., Dante, ibid., X, pp. 279, 295; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1945, pp. 113 s., 199, 615; G. Petrocchi, Cultura e poesia nel Trecento, in Storia della letter. ital., a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, II, Milano 1965, p. 634; F. Mazzoni, in Enc. Dantesca, I, p. 688, sub voce.