Vedi Bosnia-Erzegovina dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Paese dell’area balcanica, la Bosnia-Erzegovina è nata formalmente nel 1992, a seguito della proclamazione di indipendenza dalla Iugoslavia. Tale atto, sancito tramite referendum popolare il 1° marzo del 1992, rappresentò la scintilla che fece estendere al territorio bosniaco la guerra in atto nella Repubblica Federale Socialista di Iugoslavia dal giugno 1991, che si concluse solo con gli Accordi di Dayton del novembre del 1995.
La Bosnia-Erzegovina rappresenta una realtà molto particolare all’interno del continente europeo dal momento che, ancora oggi, è un paese in parte governato da un’autorità straniera. Al fianco delle istituzioni locali federali, infatti, vi è la figura dell’Alto commissario, istituita a seguito degli Accordi di pace di Dayton. L’Alto commissario, i cui poteri si estendono anche in alcuni ambiti dell’esecutivo, è nominato dal Consiglio per l’attuazione della pace, organo preposto all’attuazione degli Accordi di Dayton. Il ruolo, che dovrebbe essere eliminato alla fine del 2013, è attualmente ricoperto dal diplomatico austriaco Valentin Inzko, in carica dal 2009.
Il processo di state-building bosniaco rappresenta, senza dubbio, uno dei più rilevanti e delicati banchi di prova per l’intera architettura della cooperazione internazionale alla sicurezza e, in particolare, per la credibilità dell’azione regionale dell’Unione Europea (Eu). Bruxelles si è infatti assunta la responsabilità maggiore nel traghettare le autorità bosniache verso la definitiva assunzione di tutte le prerogative legislative, giudiziarie ed esecutive proprie di uno stato sovrano. Allo stesso tempo, l’Eu è ormai diventata il principale punto di riferimento politico-economico della Bosnia-Erzegovina, sostituendo gradualmente il ruolo che, nei primi anni dell’indipendenza, era stato ricoperto principalmente dagli Stati Uniti e da organizzazioni quali la Nato o le Nazioni Unite. Nel giugno del 2008, Unione Europea e Bosnia hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa), che stabilisce il percorso che il paese è chiamato a intraprendere sulla strada dell’ammissione all’Eu. Inoltre, nel novembre 2010 sono stati significativamente liberalizzati i visti tra il paese e l’Unione.
Le sfide maggiori che la Bosnia-Erzegovina dovrà affrontare per conseguire la piena sovranità sono costituite, da un lato, dall’avanzamento del processo di riforma costituzionale (attualmente vale come costituzione l’‘Allegato A’ degli Accordi di Dayton) e, dall’altro, dal contenimento delle ambizioni secessioniste della Repubblica Serba di Bosnia (Rsb). Il continuo riferimento agli ideali nazionalisti da parte della classe politica di etnia serba torna infatti di attualità ad ogni scadenza elettorale, così come accaduto nelle ultime elezioni presidenziali e parlamentari tenutesi nell’ottobre 2010. Alle elezioni ha fatto poi seguito una situazione di stallo durata 14 mesi: solo nel dicembre 2011 le diverse componenti etniche sono riuscite a trovare un accordo e nel gennaio 2012 il croato Vjekoslav Bevanda è stato finalmente votato dal parlamento come primo ministro. Tuttavia, già nel maggio 2012 nuove tensioni sono sorte tra i partiti di maggioranza, soprattutto tra i partiti a base elettorale bosniaca, che hanno portato a una nuova paralisi delle attività del governo centrale, allontanando le possibilità che nuove riforme creino i presupposti per una domanda di ammissione all’Eu.
Attualmente, con l’obiettivo di limitare le tensioni interetniche, il sistema istituzionale prevede una presidenza congiunta tra tre membri, rappresentativi delle tre comunità di cui si compone il paese (bosniaca, serba e croata); essi assumono la presidenza, a rotazione, ogni otto mesi e vengono eletti direttamente per un mandato di quattro anni.
La Bosnia-Erzegovina, quasi a ricalcare la complessità che una volta caratterizzava la Iugoslavia, presenta un quadro etnico e confessionale particolarmente variegato e che ha subito notevoli modificazioni a seguito della guerra civile. Il 44% della popolazione è bosniaca, prevalentemente di fede musulmana; il 31% è serba,prevalentemente di fede ortodossa; il 17% è croata, prevalentemente di fede cattolica; il restante 10% è composto da altre etnie, mentre sono presenti altre minoranze religiose, quale quella ebraica.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) calcola che, ancora a causa degli effetti della guerra, vi siano 113.000 sfollati e 7000 rifugiati, la maggior parte dei quali provenienti dalla Croazia. L’Unhcr sta collaborando con le autorità della Bosnia-Erzegovina nell’attuazione di politiche mirate – in particolare in tema di integrazione – al fine di assicurare la stabilità nazionale e regionale. Parallelamente, i rifugiati all’estero provenienti dalla Bosnia-Erzegovina sono più di 70.000.
Rispetto ai circa 4,3 milioni di persone risiedenti in Bosnia nel 1990, la popolazione si è oggi ridotta a 3,8 milioni. Tale riduzione è imputabile tanto alla guerra civile – che ha causato circa 100.000 vittime e prodotto un elevato flusso migratorio – quanto alla contrazione del tasso di fecondità (1,1 nel 2011). Inoltre, poiché molti emigrati sono giovani, si è registrato un parallelo processo di invecchiamento della popolazione.
La disoccupazione è molto elevata, anche a causa della bassa mobilità dovuta alle divisioni etniche: nel 2011 la disoccupazione è arrivata al 43,3%.
Anche l’economia della Bosnia-Erzegovina risente degli effetti della guerra, che ha comportato la deindustrializzazione del paese e ne ha compromesso le infrastrutture, frenando notevolmente lo sviluppo economico. Allo stesso tempo, le riforme, la ricostruzione e il sostegno internazionale hanno contribuito notevolmente alla crescita economica, come i sussidi erogati dall’Eu (107 milioni solo nel 2012). Anche il Fondo monetario internazionale è molto attivo nel paese e ha concesso sostegno finanziario a più riprese. In particolare, nel-l’ottobre 2012 il Fondo ha concesso uno Stand-by Agreement da 405 milioni di dollari, per alleviare i problemi indotti dalla congiuntura economica. La crisi economica degli stati europei si è infatti trasmessa all’economia della Bosnia-Erzegovina, che si è contratta sia nel 2009 (-3,1%) sia nel 2012 (-0,2%). Nondimeno, le previsioni indicano un ritorno alla crescita già nel 2013.
Il settore dei servizi genera il 65% del pil e occupa circa metà della popolazione. I settori d’occupazione principali sono il commercio al dettaglio, l’intermediazione finanziaria, il settore immobiliare e l’amministrazione pubblica (che riflette la complessa struttura politica). L’industria conta invece per il 26% del pil e, nonostante la deindustrializzazione, il settore minerario è cresciuto molto negli ultimi anni e contribuisce in larga misura alle esportazioni. La Bosnia-Erzegovina possiede infatti risorse naturali quali carbone, ferro, bauxite, manganese, piombo, zinco, rame. L’agricoltura rappresenta il 9% del pil e occupa il 20% della forza lavoro, in particolare nella Rsb, dove si colloca la maggior parte del terreno coltivabile. Le rimesse contribuiscono per circa il 10% del pil (2011).
I maggiori partner commerciali sono Croazia e Serbia – membri, assieme alla Bosnia, dell’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale (Cefta) – e l’Unione europea (in particolare Germania e Italia), che garantisce un accesso preferenziale a beni provenienti dai Balcani al fine di sostenerne la crescita economica. Le esportazioni riguardano soprattutto metalli di base e risorse minerarie, mentre il paese importa prodotti alimentari e chimici, macchinari, petrolio e prodotti derivati.
La Bosnia-Erzegovina è dipendente al 100% dalle importazioni di petrolio e gas. Tuttavia, la dipendenza dalle importazioni è bassa (circa il 25%), grazie alla produzione nazionale di carbone, biomasse ed energia idroelettrica. Inoltre, il paese è un esportatore netto di elettricità. Nel complesso, la politica energetica è gravemente compromessa dalla mancanza di una strategia nazionale dovuta alle divisioni politiche, da cui deriva la frammentazione del settore dell’elettricità e la debolezza del quadro giuridico e delle istituzioni.
La Bosnia-Erzegovina si situa al 74° posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano, vicina agli altri paesi della regione balcanica.
Il tasso di alfabetizzazione raggiunge il 98%. La divisione etnica del paese si riflette tuttavia nella frammentazione delle strutture scolastiche. Bosniaci, Serbi e Croati, pur frequentando una medesima scuola, seguono infatti differenti programmi. In generale, il nazionalismo etnico rappresenta una barriera per l’integrazione nel paese. Gli individui sono discriminati sul lavoro, nella ricerca di alloggio e nell’accesso ai servizi sociali nelle regioni dove il loro gruppo etnico non è maggioritario. Anche la libertà di religione è di fatto garantita solo nelle aree dove il gruppo religioso è maggioritario.
Un altro grave problema è quello della corruzione: la Bosnia-Erzegovina è al 91° posto della classifica mondiale di Transparency International sulla corruzione percepita.
Per gran parte degli anni Novanta, la Bosnia-Erzegovina ha rappresentato l’idea stessa di instabilità e conflitto civile. La guerra che ha interessato il paese all’indomani della proclamazione di indipendenza ha causato più di 100.000 vittime, di cui molti civili, riportando al centro del dibattito europeo e internazionale la questione della guerra civile. Nel 2003, dopo anni di divisione interna, il paese ha finalmente unificato le forze armate bosniache, serbe e croate, ponendole sotto il comando della presidenza tripartita. Parallelamente è stato avviato un processo di ricostruzione interna e di superamento delle lacerazioni provocate dal conflitto, tra cui spicca il massacro di Srebrenica.
Attualmente la Bosnia-Erzegovina può considerarsi un paese in via di stabilizzazione, nonostante permangano alcune potenziali fonti di crisi al suo interno. In particolar modo, le tendenza secessionista della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina non sembra destinata a scomparire nel breve periodo. La questione della secessione della comunità serba, anzi, è tornata di attualità in seguito al riconoscimento da parte di molti attori della comunità internazionale dell’indipendenza del Kosovo, cui tradizionalmente i Serbi si oppongono, e che riapre l’annosa questione del diritto all’autodeterminazione delle popolazioni balcaniche.
Così come per i rapporti politici ed economici, anche per ciò che concerne le questioni di sicurezza l’Unione Europea è diventata il partner privilegiato della Bosnia-Erzegovina. Dal 2004, infatti, Bruxelles dispiega sul territorio bosniaco un contingente militare nell’ambito della missione Eufor Althea. Quest’ultima ha sostituito la Stabilization Force (Sfor) della Nato, attiva nel paese tra il gennaio 1996 e il dicembre 2005. Secondo gli ultimi dati disponibili, la missione Althea schiera in Bosnia circa 1300 militari.
Uno degli obiettivi principali della politica di difesa e sicurezza della Bosnia-Erzegovina è quello della possibile adesione alla Nato. Dopo aver aderito alla Partnership for Peace (Pfp) nel dicembre 2006, nell’aprile 2010 alla Bosnia è stato concesso il Membership Action Plan (Map) – naturale premessa all’ingresso nella Nato, che potrebbe avvenire tra il 2014 e il 2015.
La Bosnia-Erzegovina è stata al centro della guerra che ha interessato i territori della ex Iugoslavia all’inizio degli anni Novanta. A seguito del referendum del 1° marzo 1992, che sanciva l’indipendenza della Bosnia dalla Federazione, il 5 aprile i Bosniaci si dichiararono indipendenti, nonostante il boicottaggio e la posizione contraria dei Serbi. L’evento trascinò anche la Bosnia (dopo la Slovenia e la Croazia) nella guerra di dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia. Il violento conflitto civile, che interessò la Bosnia fino al 1995, vide il coinvolgimento dei tre principali gruppi nazionali (serbi, croati e musulmani), coinvolgendo sistematicamente la popolazione civile e riportando in Europa una guerra violenta alla quale la comunità internazionale, ancora in piena euforia post-Guerra fredda, non fu in grado di porre termine in tempi brevi. Il protrarsi della guerra e le informazioni sulle efferatezze commesse dalle parti in campo, nonché la ricomparsa di campi di concentramento nel cuore dell’Europa, misero a serio rischio la credibilità della comunità internazionale. Eventi tragici, ormai divenuti simbolo della guerra in Bosnia, furono l’assedio di Sarajevo (la città rimase quasi completamente isolata e sistematicamente bombardata dall’artiglieria serba) e l’attacco contro le città dichiarate ‘protette’ dalle Nazioni Unite, dove si erano rifugiati i musulmani che sfuggivano alla cosiddetta ‘pulizia etnica’ perpetrata in tutto il paese.
Nel corso del conflitto furono fatti vari tentativi di mediazione da parte dell’Eu, delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e, in ultimo, del cosiddetto ‘gruppo di contatto’ composto da Francia, Regno Unito, Russia, Germania e Stati Uniti (e in seguito anche dall’Italia). Nel 1994 fu raggiunto un primo accordo per la risoluzione del conflitto tra Croati e Bosniaci, a seguito del quale si formò una federazione croato-musulmana. Nel 1995, dopo la strage di Srebrenica, in cui i Serbi uccisero più di 8000 civili bosniaci musulmani, la Nato intervenne bombardando le forze serbe e, nel novembre dello stesso anno, gli allora presidenti bosniaco, croato e serbo, rispettivamente Alija Izetbegovic´, Franjo Tudjman e Slobodan Miloševic´, firmarono gli Accordi di Dayton, che misero fine alle ostilità e posero le basi per l’attuale assetto istituzionale del paese. Durante la guerra furono commessi crimini contro l’umanità e i Serbi sono stati accusati di aver progettato la pulizia etnica dei Bosniaci, nelle aree controllate dalle loro forze armate. Le vittime del conflitto sono state stimate in quasi 100.000, di cui circa 40.000 civili.
L’ordine politico costituzionale della Bosnia-Erzegovina, frutto degli Accordi di Dayton del 1995, si configura come una peculiare sintesi fra un modello di stato unitario e una forte decentralizzazione amministrativa. Lo stato unitario è l’esito della volontà del gruppo etnico più numeroso – i Bosniaci – e della comunità internazionale di porre fine alla guerra civile (1992-95) con l’indipendenza del paese e la costituzione di uno stato autonomo. Attualmente, il sistema istituzionale prevede una presidenza congiunta tra tre membri, rappresentativi delle tre comunità di cui si compone il paese (bosniaca, serba e croata); essi assumono la presidenza, a rotazione, ogni otto mesi e vengono eletti direttamente per un mandato di quattro anni.
Il forte decentramento del potere risponde invece alla necessità di facilitare la convivenza fra gli stessi gruppi etnici. Lo stato si compone di due entità, sulla falsariga delle divisioni territoriali ed etniche prodotte dalla guerra civile: la Federazione di Bosnia-Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina. Le due entità rappresentano un primo elemento di decentramento, che si articola tuttavia in modo eterogeneo al loro interno. Se nella Federazione si registra la tendenza a investire politicamente e amministrativamente sul livello statale della Bosnia-Erzegovina, la Repubblica Serba è incline a privilegiare una forte autonomia rispetto al governo centrale. Nel primo caso i Bosniaci aspirano al rafforzamento dello stato unitario e al superamento della divisione in due entità autonome, nel secondo i Serbi aspirano all’indipendenza e all’eventuale riunificazione con la Serbia.
Sotto il profilo amministrativo, la Repubblica Serba presenta un grado di decentramento inferiore rispetto alla Federazione di Bosnia-Erzegovina. Oltre al governo centrale dell’entità – articolato in presidenza, assemblea bicamerale e consiglio dei ministri – esiste solo il livello amministrativo locale delle municipalità. La Federazione di Bosnia-Erzegovina si articola invece su tre livelli amministrativi: la Federazione, i cantoni e le municipalità. L’introduzione di un livello amministrativo intermedio, quello cantonale, ha risposto alle sfide poste dalla convivenza fra i principali gruppi etnici della Federazione, in particolare fra Bosniaci e Croati.
Inoltre, benché sia a livello statale, sia a livello di entità Bosniaci, Croati e Serbi si vedono riconosciuti lo status di ‘popolo costituente’ e garanzie di rappresentatività etnica nelle istituzioni governative, nella Federazione e nella Repubblica Serba tali garanzie sono state interpretate e attuate in modo diverso. Tuttavia all’indomani degli Accordi di Dayton, nella Federazione gli equilibri politici vanno a favore dei Bosniaci e, seppur in misura minore, dei Croati; nella Repubblica Serba è emerso invece un ruolo molto più accentuato dei Serbi.
Mostar è il principale centro urbano della regione dell’Erzegovina. Secondo le ultime statistiche è abitata per circa il 35% da Bosniaci, per il 34% da Croati e per il 18% da Serbi ed è governata da Croati e Bosniaci. La città, e in particolar modo il Ponte Vecchio (in bosniaco: Stari Most), è diventata il simbolo della guerra civile nella ex Iugoslavia. Costruito nel 1566 sul fiume Neretva, il ponte collegava le due parti della città, fino alla sua distruzione sotto il fuoco dell’artiglieria croata il 9 novembre del 1993, dopo un assedio durato nove mesi. Il ponte fu distrutto per dividere la città in due: nella parte occidentale la comunità croata e in quella orientale, sotto il controllo dell’esercito bosniaco, i musulmani bosniaci. Data l’importanza strategica, ma soprattutto culturale del ponte (simbolo della città, da cui prende il nome), l’Unesco ha lanciato, assieme alla Banca mondiale, una campagna per la sua ricostruzione, cui hanno aderito cinque paesi: Croazia, Francia, Italia, Paesi Bassi e Turchia, per un totale di 15,4 milioni di dollari. Il ponte, ricostruito, è stato inaugurato il 23 luglio del 2004.
Accanto al progetto del Ponte Vecchio, l’Unesco ha sostenuto altri quattro progetti, finalizzati alla ricostruzione della Moschea di Tabacica (finanziata dall’Arabia Saudita), del ponte di Kriva Cuprija (con finanziamenti del Lussemburgo) e dell’hammam di Mostar (finanziato dalla Francia); l’Italia ha invece finanziato un progetto per la valorizzazione del centro storico della città. Dal 2005, tutta questa area è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’Unesco.
Durante la guerra del 1992-95, Srebrenica, cittadina situata nella Bosnia orientale, era un’enclave sotto il controllo dell’esercito bosniaco attorniata da città serbe, che ospitava migliaia di musulmani bosniaci. Nel 1993 divenne una zona demilitarizzata sotto la tutela della missione Unprofor delle Nazioni Unite. Tuttavia, nel luglio del 1995 le forze militari serbe invasero la città, uccidendo circa 7-8000 uomini ed espellendo sistematicamente donne, bambini e anziani.
Il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia (Icty), istituito ad Aia nel 1993 dalle Nazioni Unite al fine di giudicare coloro che si fossero macchiati di crimini di guerra e contro l’umanità dopo il 1° gennaio 1991, ha incriminato 21 persone per i delitti commessi a Srebrenica. Tra questi, Radislav Krstic´ è stato il primo a essere giudicato colpevole, nel 2001. I processi contro Radovan Karadžic´, Zdravko Tolimir, Jovica Stanišic´, Franko Simatovic´ sono pendenti. Ratko Mladic´, a capo dell’esercito dei Serbo-Bosniaci nel 1995, è stato arrestato nel maggio 2011 in Serbia ed estradato all’Aia.
Del caso è inoltre stata investita la Corte internazionale di giustizia (Icj), adita dalla Bosnia per la presunta violazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio da parte della Serbia. La Corte ha affermato che il massacro di Srebrenica è configurabile come genocidio, riconoscendo l’intenzione di annientare i Bosniaci musulmani da parte dell’esercito dell’allora Repubblica Serba, ma ha ritenuto la Serbia non responsabile del medesimo.