Vedi BOSCOREALE dell'anno: 1959 - 1994
BOSCOREALE
L'attuale località di B. sita a N della antica Pompei e digradante sulle prime pendici del Vesuvio, è tra le zone dell'agro pompeiano quella che ha rivelato finora, attraverso gli scavi archeologici, il maggior numero di ville suburbane d'età romana. Poiché oggi la stessa zona non solo è caratterizzata da agglomerati, ma è ancora cosparsa di ville e di fattorie ed è tra le più fertili della Campania, bisogna dedurre che sotto l'aspetto della produzione agricola e del commercio questo ambiente non deve essere cambiato di molto rispetto all'età classica. Di queste ville antiche due sono le più note ed in un certo senso particolarmente legate al moderno toponimo. La prima, scoperta in fondo Vona, è famosa per le sue pitture parietali; l'altra, in contrada Sette Termini, ha dato un celebre tesoro di argenterie.
La villa scoperta in fondo Vona apparteneva, stando alle indagini del Della Corte, alla gente Fannia ed è nota col nome di P. Fannius Synistor (trovato iscritto sopra un vaso metallico), o semplicemente come "Villa di Boscoreale". Negli ultimi tempi della sua esistenza la villa era forse passata ad un L. Herennius (piuttosto che Herius) Florus. (Di lui fu trovato nella casa il sigillo, ora al Metropolitan Museum di New York: Williams Lehmann, fig. 2). Le pitture parietali che decoravano gli ambienti del quartiere signorile e che attualmente sono divise tra vari musei (Napoli, New York, Bruxelles, Mariemont, Pangi, Amsterdam) con qualche dispersione, costituiscono il più interessante e ricco ciclo figurativo espresso nel secondo stile pompeiano, cui può stare accanto solo la decorazione della Villa dei Misteri in Pompei, ma di questa più ricco e più vario. Il peristilio, il tablino, i due piccoli triclini e qualche altro ambiente minore sono decorati con il noto partito delle finte architetture, ma nel triclinio estivo, soprattutto, il gioco delle prospettive creava grandiose illusioni spaziali con colonnati che si spingono in profondità e porte d'ingresso nobilmente inquadrate. Ancora più vario è questo gioco nelle pitture del cubicolo ove le prospettive si fanno più ardite: dietro i primi piani si dispongono i piani successivi con case di varia altezza ravvivate da portichetti e da loggiati, e poi ancora edicole sacre, boschetti, fontane. Ma tutto ciò sempre nel rigore sintattico del secondo stile. V'è infine il fregio figurato del grande triclinio. Entro una solenne partitura architettonica a grandi colonne son distribuiti i personaggi variamente atteggiati e raggruppati ma, come sembra, uniti idealmente in un unico soggetto. Vi sono immagini di divinità (Afrodite, Dioniso, forse le Cariti); ma delle altre figure, ugualmente nobili e composte nell'aspetto e nel gesto, non si trova ancora una interpretazione che sia generalmente accettata. Le pitture della villa vengono datate a circa la metà del primo secolo a. C.; ma non manca qualche proposta di abbassarne sensibilmente la datazione.
Un peristilio (si veda la pianta: E) di sei colonne corinzie decorate a stucco bianco era circondato da tre lati da ambienti a diversa destinazione: a S l'accesso principale (C), un ambiente (D) a finti pilastri collegati alla sommità da festoni di rami di pino dai quali pendono strumenti musicali e una parete che delimitava e chiudeva gli ambienti rustici (n. 24) (dove fu trovato il vaso che recava, al genitivo, il nome di P. Fannio); a E gli ambienti balneari (n. 17-22) con piccole camere adattate a calidario e frigidario; a N la serie di ambienti di rappresentanza: il grande "triclinio" (H) o "aula di Afrodite" (m 8 × 7,so) con il fregio a figure (musei di Napoli e di New York) e vedute di cortili porticati al di là di una parete sulla sommità della quale apparivano posati quadretti a sportelli (pìnakes); ai lati dell'ampio accesso all'ambiente H due genî alati (musei del Louvre e Amsterdam, Fondazione Allard Pierson); l'ambiente L (esedra) con finte architetture e festoni di fiori e frutta, dai quali pendono maschere e altri emblemi dionisiaci (frammenti a New York e Mariemont); l'anticamera (O) e il cubicolo (M, m 6 × 4 circa) decorato con vedute di città, di una thòlos entro un cortile porticato e di una grotta, che erano state interpretate come fronti sceniche di commedia, tragedia e dramma satiresco, secondo un noto passo di Vitruvio (vii, 5, ss.). Nell'alcova dello stesso ambiente, vedute di sacelli alberati, paesaggi marittimi con figure, fontane con pergolato (il tutto ricostruito al museo di New York); la sala accanto al cubicolo (N), il supposto triclinio (G) e l'annesso (I) dell'aula H (frammenti a Bruxelles, Mus. d. Cinquantenario, al Castello di Mariemont e a Napoli) erano decorati, come altri ambienti (B, F), con finte architetture; sulle supposte pareti divisorie di fondo nef triclinio (G) si fingevano posate grandi maschere (framm. a Napoli e Mariemont). Sulla parete che fiancheggiava il peristilio verso O, erano dipinte colonne in riscontro a quelle angolari del peristilio, con festoni di spighe, frutta e fiori, che partivano dal fogliame di acanto; a metà altezza della parete era figurato un podio a incrostazioni di varî marmi, sul quale si fingevano posati grandi vasi metallici di forme diverse, palme e tenie agonistiche (framm. a New York e a Napoli). Il più discusso è il fregio figurato dell'ambiente H (musei di New York, Napoli, Parigi, Amsterdam): interpretato dapprima simbolicamente e mitologicamente ("trionfo dell'amore", Eracle e Iole, Dioniso e Arianna) dal Barnabei; poi come "ritratti di famiglia" (Sambon, Pfuhl, Strong, Bieber); dallo Studniczka fu interpretato come copia da pittura storica pergamena con immagini relative a sovrani ellenistici (Antigono Gonata, Fila sua madre, Demetrio Poliorcete suo padre, Euridice cognata di Demetrio, oppure Pirro e suoi mitici antenati) e il filosofo Menedemo di Eretria, interpretazione generalmente accettata (Schefold, Rumpf, ecc.). Recentemente (Williams Lehmann) si è tornati a proporre una interpretazione simbolica relativa al culto di Afrodite e a rifiutare l'ipotesi della copia. Le pitture sono dipinte con grande freschezza e facilità, a larghe pennellate; ma, specialmente nei panneggi, si nota, in grado ancor maggiore che nel fregio della Villa dei Misteri, uno sciatto calligrafismo che farebbe supporre una copia per le singole figure, adattate dal copista al sistema decorativo dell'ambiente.
La Villa di Sette Termini è invece di tipo spiccatamente rustico: possiede da un lato il quartiere signorile, relativamente modesto, e dall'altro numerosi locali per l'azienda agricola che si fondava soprattutto sulla olivicultura e sulla viticultura. Il carattere della villa ed il punto eccentrico della scoperta del tesoro (era nella lacus del torcularium) fanno ritenere che questo sia stato in origine corredo di qualche più ricca dimora: si è pensato alla vicina villa di Fannius Synistor (Barnabei) oppure alla Villa dei Misteri (Della Corte). Oltre a pochi monili e ad un migliaio di monete d'oro, il tesoro è costituito soprattutto dal vasellame, parte d'argento e parte di bronzo, finemente decorato a rilievo o con applicazioni a tutto tondo. Si distinguono due coppe con scene storiche (Augusto in trono, trionfo di Tiberio), una patera con un busto femminile, personificazione dell'Africa o dell'Egitto (oppure ritratto simbolico di Cleopatra?); altre coppe presentano scene di amorini ed altre ancora sono ornate con animali o con elementi floreali, infine due phiàlai recano come emblema due ritratti naturalistici. (Il Della Corte, che propone la identificazione di Cleopatra sulla citata patera, tende a vedere anche nella rappresentazione delle altre coppe allusioni ai casi di Ottaviano, M. Antonio e Cleopatra). Le argenterie, sebbene la loro autenticità sia stata persino messa in dubbio, costituiscono un raffinato esempio della toreutica (v.) di età augustea.
Bibl.: Per le ville rustiche dell'agro pompeiano si veda principalmente: R. C. Carrington, Studies in the Campanian villae rusticae, in Journ. Rom. Studies, XXI, 1931, p. 110 ss.; J. Day, Agriculture in Life of Pompeii, in Yale Class. Studies, III, 1932, p. 165 ss.; M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, traduz. ital., Firenze 1933, passim; F. Castaldi, La trasformazione della villa rustica romana in rapporto alle condizioni dell'agricoltura, in Annali dell'Istituto Superiore S. Chiara di Napoli, II, 1950; A. W. Van Buren, in Pauly Wissowa, XXI, 1952, col. 2029 s., s. v. Pompei; M. Della Corte, Case ed abitanti di Pompei, Pompei 1954, p. 357 ss. La prima edizione della Villa di Herius Florus è di F. Barnabei, La villa pompeiana di P. Fannio Sinistore scoperta presso Boscoreale, Roma 1901; inoltre, A. Sambon, Les fresques de Boscoreale, Parigi-Napoli s. d. (Cfr. Les Arts, II, 1903, p. 3 ss.); F. Studniczka, in Jahrbuch, XXXVIII-XXXIX, 1923-24, p. 57 ss.; M. Bieber, in Review of Religion, 1937, p. 10 ss.; Ph. Williams Lehmann, Roman Wall Painting from Boscoreale in the Metropolitan Mus. of Art, Cambridge Mass., 1953 (ivi p. 214 ss. una nota di H. Bloch sulla questione dei proprietarî della villa e dei loro nomi e accurato catalogo dei pezzi conservati a New York); le pitture sono ricordate in tutte le opere che si occupano dell'argomento; si veda: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923, II, p. 878 ss.; E. Strong, Art in Ancient Rome, New York 1928, II, p. 13 ss.; L. Curtius, Die Wandmalerei Pompejis, Lipsia 1929, p. 114 e passim; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, p. 7; P. Marconi, La pittura dei Romani, Roma 1929, p. 67; H. G. Beyen, Die pompeianische Wanddekoration von Zweiten bis zum vierten Stil, Haag 1938, passim; K. Schefold, Sinn. d. römischen Wandmalerei, Heidelberg 1950, p. 178 ss. (e in Mélanges Ch. Picard, Parigi 1949, p. 942 ss.); A. Rumpf, Malerei u. Zeichnung (Handb., IV, i) Monaco 1953, pp. 152, 158 ss.; A. Maiuri, La peinture romaine, Ginevra 1953, p. 62 ss. Per la villa rustica ed il suo tesoro di argenteria si veda: A. Pasqui, La villa pompeiana della Pisanella presso Boscoreale, in Mon. Ant. Lincei, VII, 1897; A. Héron de Villefosse, Le trésor de Boscoreale, in Mon. Piot, V, 1899; A. Mau, Pompeji in Leben und Kunst, Lipsia 1908, p. 382 ss.; M. Della Corte, Cleopatra, M. Antonio e Ottaviano nelle allegorie storico-umoristiche delle argenterie del tesoro di Boscoreale, Pompei 1951; L. Polacco, Il trionfo di Tiberio nella tazza Rotschild di Boscoreale, in Mem. Accad. Patavina di scienze lett. e arti, LXVIII, 1954-55. Inoltre tra le opere di carattere generale si ricorda: E. Strong, L'arte in Roma antica, Bergamo 1929, p. 248 s.; P. Ducati, L'arte in Roma, Bologna 1938, p. 144 s.; W. Technau, Die Kunst d. Römer, Berlino 1940, pp. 87 ss., 91, 129 ss.; P. E. Arias, Storia della scultura romana, Messina 1941, p. 77 s.