BORSO d'Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio
Nacque nel 1413, morì nel 1471. Singolare tipo di principe del Rinascimento, reagisce quasi alla comune tendenza umanistica, vivendo, con scarsa cultura, una vita dedita a esercizî fisici, a cacce, ai piaceri della campagna, in compagnia di spensierati gentiluomini e di un allegro buffone. Figlio naturale del marchese Niccolò III, che l'aveva avuto dalla bellissima favorita Stella dell'Assassino, nella giovinezza s'esercitò nelle armi, militando al servizio della repubblica di Venezia e poi del duca di Milano. Quando suo fratello Leonello, bastardo anche lui e nato dalla stessa madre succedette al padre, B. non si mosse più da Ferrara, facendo da oculato consigliere al principe e dandosi alla prediletta occupazione della caccia. Morto ancor giovane il fratello, lasciando un figlio legittimo in tenera età, B., già di 37 anni, esperto di cose guerresche e di affari politici, benvoluto per il suo carattere bonario, legato di amicizia con i maggiorenti della nobiltà, fu da questa e dal popolo stesso acclamato signore.
"Fu di bella persona e statura più che mediocre, con vaga capigliatura ed aspetto gentile" scrisse di lui il pontefice Pio II. Religioso e morale, di una continenza rara nella famiglia degli Estensi, ristabilì l'onestà dei costumi in quella corte piuttosto dissoluta. Non prese moglie, probabilmente per poter lasciare la successione al fratello Ercole, che teneramente amava. Si mostrò clemente con i nemici e con i colpevoli pentiti. Fu molto generoso con i familiari e con i poveri. C'è da sospettare, peraltro, che egli si sia fatto credere un po' migliore del vero, non essendo alieno da blandizie e neanche da menzogne, a quanto almeno afferma lo stesso Pio II. Governò 21 anni. Poté, in parte per caso in parte per abilità, preservare i suoi sudditi da guerre, facendoli godere d'una certa prosperità. Seppe rendere la sua corte il centro di gravitazione delle piccole signorie emiliane. Da marchese diventò duca di Modena e Reggio per investitura dell'imperatore Federico III, e di Ferrara per concessione del papa Paolo II. Mantenne strette relazioni con Venezia, subendone la protezione per timore di peggio. All'interno fece rispettare l'ordine e le leggi e fu molto lodato per la sua giustizia, quantunque certi processi contro ricchi signori e certe confische di patrimonî gettino qualche sospetto sulla sua imparzialità e sopra i suoi cortigiani, a cui egli distribuiva largamente quei beni.
Senza aumentare le tasse, accrebbe notevolmente le rendite dello stato, ma delle grosse somme si valse più che altro per spese di lusso: cavalli, uccelli da preda e cani da caccia, i più belli e i più bravi d'Italia; gemme preziose, vesti magnifiche, cerimonie splendide, grandi cacce, lunghe dimore nelle delizie campestri, viaggi costosi. Una parte, peraltro, dei redditi impiegò in belle costruzioni: la Certosa di Ferrara, con arcate di una leggiera eppur robusta eleganza, e il secondo piano del palazzo di Schifanoia, sulle cui pareti il Tura e il Cossa dipinsero in grandiosi affreschi la sua apoteosi; alzò deliziose ville in siti ricchi di selvaggina; incoraggiò arti minori, tra cui la miniatura; la Bibbia di Borso (v. bibbia) è uno tra i più bei codici miniati del Rinascimento.
Bibl.: G. Pardi, Borso d'Este duca di Ferrara, Modena e Reggio, in Studi storici del Crivellucci, XV-XVI (1906-07); L. A. Gandini, Viaggi, cavalli, bardature e stalle degli Estensi nel Quattrocento, Bologna 1892.