BORSIERI DE KANILFELD, Giambattista
Nacque a Civezzano (Trento) il 18 febbr. 1725 da Francesco, di antica nobiltà trentina, e da Maddalena Pellegrini. Ebbe infanzia travagliata: cieco di un occhio, fu gravemente malato e nel 1737 perse il padre. Attorno ai sedici anni decise di dedicarsi agli studi, affidandosi alla guida del comasco P. Fioretti, buon conoscitore delle letterature classiche. Dopo due anni padroneggiava il latino tanto da poter scrivere versi e prose. Contemporaneamente, mostrando grande applicazione, studiava istituzioni mediche col trentino Felice Perger. Completato questo ciclo d'istruzione, nel 1743 si recò a Padova, ove frequentò per un anno la facoltà medica. Vi trovò ancora vivo l'insegnamento di Vallisneri, e seguì maestri quali Morgagni, Stellini, Poleni, Pontedera. L'anno successivo fu a Bologna a far pratica col Beccari, che lo istruì anche in chimica e ne ebbe viva stima. Udì anche il Baldi, il Laghi e l'Azzoguidi. Ottenne di anticipare la laurea, che conseguì nel 1744, in filosofia e medicina. Proseguì gli studi: udì per due anni le lezioni di anatomia del Molinelli, e si recò poi a Firenze per udire il Benevoli, chirurgo molto noto in quegli anni. Nel 1745 prese in moglie Vittoria Marchi, figlia di un architetto militare.
La sua precocità emerse presto anche nella pratica medica: la città di Faenza fu colpita da una epidemia di febbri gastriche e biliose associate a verminazione, che spesso avevano esito letale. Le autorità si rivolsero al Beccari, perché inviasse loro un medico capace di affrontare l'epidemia, ed egli fece il nome del B., allora appena ventenne.
Recatosi a Faenza nel 1745 o 1746, il B. adottò una terapia radicale, attaccando il morbo con purgativi, emetici e antielmintici, tra cui preparati mercuriosi. La terapia ottenne risultati eccellenti, al contrario di quelle adottate dai medici del luogo, la maggior parte dei quali aderì subito alle indicazioni del Borsieri. Uno solo, tale Panciatichi, scese in polemica con lui, e il B. replicò con la Risposta... a quanto si contiene nella lettera del medico N. N. stampata in Faenza e diretta a Teagete Libade a Lipsia (Faenza 1747).
La notorietà del B., per il successo riportato nella cura dell'epidemia, s'accrebbe sempre più nel prosieguo della sua attività a Faenza. Egli concepiva con inusitata solerzia i propri compiti di medico, e raccoglieva ogni sorta di elementi per padroneggiare la situazione sanitaria della zona: studiò la topografia medica del territorio di Faenza, l'assetto geologico e idrico, il clima e gli usi locali; ma di queste sue ricerche nulla è rimasto.
Frattanto il Monreale, un medico di Modena, aveva pubblicato un opuscolo sulle proprietà antielmintiche del mercurio. Il B., che si era valso nella cura dell'epidemia di preparati mercuriosi, non concordava con le tesi del Monreale, e per smentirlo pubblicò una serie di esperienze nell'opuscolo De anthelmintica argenti vivi facultate (Faenza 1753), che ottenne l'assenso del Beccari. Analoghe ricerche il B. compì sui composti del mercurio, esponendone i risultati in uno scritto rimasto inedito. Gli interessi mineralogici del B. dovevano presto aver modo di rivelarsi in quella che è la sua prima opera di ampio disegno e marcata originalità, il trattato Delle acque di S. Cristoforo, pubblicato a Faenza nel 1761.
Il trattatello, in otto capitoli, esaminava partitamente le testimonianze storiche sulle omonime sorgenti, situate nel contado faentino, il loro contesto geoecologico, le loro proprietà, valendosi anche dell'analisi chimica, cosa per i tempi straordinaria, per indicarne quindi i possibili usi clinici. Ne fece inoltre una completa analisi qualitativa ed anche, in parte, quantitativa, trovando che contenevano cloruro di sodio oltre a sali terrosi e alcalini, con vapori sulfurei volatili. Avanzò anche acute considerazioni sulle necessità di indagini diagnostiche esatte per distinguere l'alterazione funzionale degli organi della digestione dalle loro lesioni, per le quali le acque non potevano servire, schierandosi contro coloro che le ritenevano una panacea universale. L'operetta, per l'acutezza e modernità delle analisi, è da considerarsi una tappa significativa nello sviluppo dell'idrologia medica, e pone il B. su una linea che, a partire da Malpighi, attraverso Porzio, Redi, Lancisi, Beccari, giunge fino a Morgagni e Spallanzani.
Col crescere della fama del B., altre città romagnole, come Ferrara, Forlì e Cesena, gli offrirono la carica di protomedico, ma egli volle restare a Faenza. La città, d'altronde, sapeva ben ripagare l'attaccamento che il B. le dimostrava. Nel giugno 1764 fu nominato "consigliere dell'inclito magistrato degli Illustrissimi Signori cento Nobili pacifici della città di Faenza", l'assemblea che reggeva la cittadina, e gli venne conferita la cittadinanza.
Il riconoscimento da parte della magistratura locale lo investì di nuove responsabilità. Fu messo a parte degli affari più importanti, e gli fu affidato il riordinamento dell'Archivio comunale, ricco di documenti giacenti alla rinfusa. Avendo reperito alcune cronache della storia della città in periodo medievale, ne curò la stampa, corredandole con introduzione e note. La sua presentazione del Chronicon Tolosani Canonici faventini è rimasta fondamentale anche per i successivi studiosi dell'importante testo.
Agli interessi scientifici e storici il B. ne aggiungeva altri per la numismatica e la letteratura. Membro della locale Accademia dei Filoponi, col nome di Aristeo Nipoziano, partecipava alle adunanze mensili, leggendovi suoi versi e prose, oltre a scritti di argomento biologico, tra i quali uno sulle cause del colore dei Negri. Nei suoi interessi numismatici fu agevolato anche da amici, con alcuni dei quali, come i dottori Benedetti e Dall'Arme e il filosofo Antonio Bucci, amava conversare nelle parentesi di riposo. Il Testi ritenne che da queste conversazioni venisse al Bucci l'idea per i suoi tre libri De instituenda regendaque mente (Romae 1752). Quando poi, ancor giovane, il Dall'Arme morì, il B. curò la pubblicazione dei suoi Saggi di medicina pratica (Faenza 1768), corredandoli con note ed aggiunte che documentano un'ulteriore ripresa d'interesse per i fenomeni epidemici, in connessione con le febbri maligne avutesi a Faenza in quegli anni.
Divenuto oramai un'autorità scientifica di rinomanza più che regionale, al B. venne offerta dal pontefice Clemente XIV la cattedra di medicina nell'università di Ferrara, ma egli preferì rinunciarvi. Non poté però ugualmente sottrarsi all'offerta, giuntagli nel 1769 da parte dell'imperatrice Maria Teresa, della cattedra di medicina pratica nell'università di Pavia. La chiamata del B. si inseriva nel quadro della completa riforma di quella università, fin'allora languente, voluta dall'imperatrice. Il B. ricevette l'incarico di leggere, con la più ampia libertà di impostazione, terapia speciale, clinica, farmacia e chimica. Iniziò i suoi corsi tenendo il 31 maggio del 1770 la prolusione De retardata medicinae practicae perfectione (pubblicata poi in appendice alle sue Institutiones medicinae practicae), che piacque molto al Van Swieten, allievo e commentatore illustre di Boerhaave, allora protomedico di Maria Teresa, che ne caldeggiò la stampa.
Le lezioni del B. ebbero crescente successo. A Pavia, per udirlo, convenivano studenti dall'Italia e dall'estero. Il B. li spronava allo studio ed alla osservazione diretta e spregiudigata dei fatti, riunendoli, oltre alle lezioni, in seminari settimanali per discutere dissertazioni composte dagli studenti medesimi su temi generali, o sui più notevoli casi clinici che si presentavano nell'ospedale annesso alla facoltà medica.Nei nove anni circa che fu a Pavia, il B. fu tre volte rettore dell'università, a partire dal 1772; intrattenne relazioni epistolari con scienziati di tutta Europa e fu membro di diverse accademie.
Negli anni pavesi il gesuita Alessandro Giorgi, letterato e teologo, gli chiese di collaborare all'Enciclopedia italiana, di cui andava elaborando il progetto, e alla quale dovevano collaborare, tra gli altri, Spallanzani, Tiraboschi, Bettinelli. L'iniziativa non fu realizzata per la morte, nel 1779, del Giorgi, che aveva potuto solo scrivere il Prospetto dell'opera (1776)ed il Prodromo (1779).
La stima che la famiglia imperiale gli aveva dimostrato sin dalla chiamata a Pavia e quella del ministro Firmian si connettevano anche alle sue doti di uomo schietto e disinteressato ed alla sua appassionata opera di docente; la sua carriera culminò con la nomina ad archiatra dell'arciduca Ferdinando, allora governatore della Lombardia. La nuova carica gli lasciava più tempo libero, che utilizzò rifondendo ed ampliando tutti i suoi appunti, raccolti in massima parte durante l'insegnamento pavese, nelle Institutiones medicinae practicae (Milano 1781-1788).
In esse il B. tenta di estrarre, dai vari "sistemi" medici allora esistenti, la parte sperimentale, paragonando tra loro le esperienze riportate dagli autori, esaminando l'attendibilità delle cause proposte per i vari fenomeni, ed infine passando ogni testimonianza al vaglio della propria esperienza clinica e della sperimentazione.
Una parte rilevante dell'opera è dedicata ad una sistematica delle febbri. Non si valuta pienamente il lavoro compiuto dal B., se non si tiene conto del fatto che alle teorie delle febbri di origine greca se ne erano aggiunte nei secoli XVI e XVII molteplici altre, proposte dagli iatrochimici, dagli iatromeccanici e da altre scuole mediche. Ciascuna teoria adottava una nomenclatura e, spesso, una classificazione diversa delle febbri, come conseguenza della varietà di cause da cui si riteneva che le febbri derivassero. Il B. mette invece in opera un criterio rigorosamente comparativo, approntando una nomenclatura il più possibile aderente alle distinzioni presentate dall'esperienza, riunendo, vagliando e confrontando gli elementi empirici spogliati da ogni deduzione concettuale. La dottrina delle febbri, così elaborata, costituisce le prime quattro parti dell'opera, dedicate ciascuna, dopo un commentario sulla infiammazione ed un capitolo sulla natura della febbre in generale, alle "febbri intermittenti", alle "continue continenti", alle "continue remittenti" ed alle "continue composte o proporzionate". Segue la trattazione della patologia generale, esposta in cinquantacinque capitoli.
Le Istituzioni ebbero immensa risonanza. Nella diffidenza per i sistemi troppo generali, e quindi generici, per il settarismo delle scuole, nella ricerca di cause fisiologiche chiare e attendibili delle insorgenze morbose, nella convinzione, che sottende tutta l'opera, che il vero compito del medico è l'assistenza al letto del malato, al di là delle pur essenziali ricerche di patologia generale, l'opera si accordava molto bene con i motivi pratico-umanitari della dominante atmosfera illuministica. A ciò si deve aggiungere che, nel suo genere, l'opera era forse senza confronto in quegli anni, per il numero e la certezza dei fatti presentati, per il rigore delle deduzioni, per il concorrere, nella trama argomentativa, di filosofia sperimentale, patologia, fisiologia, anatomia, semeiotica, igiene.
Il B. era ben conscio delle difficoltà del suo lavoro, ed anche della sua novità. Ma il successo che subito arrise alle Istituzioni dissipò i suoi timori. Esse divennero quasi un banco di prova dei sistemi medici, ciascuno dei quali cercò di mostrare la propria fondatezza vantando la sostanziale concordanza delle proprie tesi con quelle del Borsieri. Gli sviluppi ottocenteschi della dottrina delle febbri hanno nel libro un punto di partenza.
Le Istituzioni furono tradotte nelle principali lingue europee; alla prima edizione in-4º, ne seguì subito una in-8º, cui si aggiunsero, nel corso dell'Ottocento, una nuova edizione latina, uscita a Padova nel 1823, una traduzione italiana, pubblicata a Firenze nel 1840, una versione inglese e due tedesche. In Inghilterra l'opera divenne uno dei testi principali della cultura medica, ed anche nel Nordamerica essa fu divulgata ed apprezzata.
Il B. era ancora impegnato nella stampa del libro, allorché morì il 21 dic. 1785 a Milano. Gli fu eretto un busto sotto i portici dell'università di Pavia. Lasciò una copiosa serie di scritti inediti, che ebbero varie vicissitudini, sino a che alcuni estimatori raccolsero quelli più vasti e compiuti per stamparli. L'edizione fu condotta dall'editore Ramazzini di Verona tra il 1820 ed il 1822, in due tomi, dei quali il secondo diviso in due volumi, sotto il titolo: I. B. Burserii de Kanilfeld Opera Posthuma,quae ex schedis eius collegit et edidit Io. Baptista Berti.
Il primo tomo contiene il trattatello "De pulsibus", in sei capitoli, indagine articolata attorno alle cause, natura e anomalie della pulsazione cardiaca. Il secondo tratta "De morbis venereis", studiandosi il B. di darne prima una definizione generale, per passare poi all'esame delle principali varietà e dei metodi più efficaci di cura.
Nel piano originale dell'editore era previsto anche un terzo tomo, "De morbis cutaneis non febrilibus", che non fu però pubblicato. Del "De pulsibus" uscì a Milano nel 1854 una traduzione italiana, preceduta da utili "Brevi notizie intorno la persona e le opere di G. B. Borsieri da Kanilfeld", dovute al medico trentino Leonardo dei Clock. Una inedita Autobiografia fu pubblicata a Trento nel 1885, a cura di E. Dalla Rosa. Tra gli inediti borsieriani, particolare attenzione merita la corrispondenza con numerosi scienziati. Nella corrispondenza di Giovanni Bianchi, medico e letterato riminese, vi sono lettere del B., unitamente ad altre di Scipione Maffei, Spallanzani, Morgagni, Valsalva, Muratori.
Bibl.: F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 138, 467; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1811; G. B. Mittarelli, De literatura Faventinorum,sive de viris doctis et scriptoribus urbis Faventiae, Venetiis 1775, p. 37; G. B. Corniani, I secoli della letteratura italiana, V, Torino 1856, p. 381; B. Carminati, Prolusione in lode di G. B. B., Milano 1810; C. Ugoni, Della letteratura italiana nella seconda metà del sec. XVIII, Brescia 1821, II, VI; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, III, Venezia 1836, p. 390; Memorie e documenti per la storia dell'università di Pavia e degli uomini più illustri che v'insegnarono, I, Pavia 1878, p. 212; G. C. Tovazzi, Medicaeum Tridentinum id est syllabus medicorum civitatis et dioecesis Tridentinae, Tridenti 1889, p. 95; Memorie dell'I. R. Accademia di scienze,lettere e arti degli Agiati in Rovereto pubblicate per commemorare il suo centocinquantesimo anno di vita,con aggiunte e correzioni, Rovereto 1901-1905, p. 478; L. Bonomi, Naturalisti,medici e tecnici trentini, Trento 1930, p. 17; C. Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, II, p. 76.