BORGARELLI di Cambiano, Alessandro
Figlio di Melchiorre e di Girolama di Ceva di San Michele, di famiglia aristocratica piemontese originaria di Chieri, nacque in data imprecisata. Fu il primo titolare, dal 1642, del titolo comitale di Cambiano; sposò il 21 febbraio del 1606 Anna Camilla Langosco della Motta.
Affermatisi a metà '500 durante la dominazione francese, con Melchiorre bailo di Avigliana e investito di porzioni di feudo a Poirino e a Santena, dopo l'avvento di Emanuele Filiberto e la successiva restituzione al duca dei territori della collina astigiano-torinese ancora tenuti dai Francesi, i Borgarelli, pur confermati nei loro possessi, mantennero saldi rapporti con la corte di Parigi: Michele (morto a Lione nel 1574) fu consigliere e gentiluomo di camera di Carlo IX; altri legami la famiglia venne stabilendo successivamente con alcuni importanti casati del vicino marchesato di Saluzzo.
Allo scoppio della guerra dinastica fra "madamisti" e "principisti", il B. si schierò senza esitazioni dalla parte di Maria Cristina: già segnalatosi sotto Carlo Emanuele I alla difesa di Verrua e in altri fatti d'arme, ebbe il comando del contingente piemontese asserragliatosi con i Francesi nella cittadella di Torino assediata dal luglio del 1639 dalle forze ispano-principiste penetrate nella capitale. Dopo la resa principista, il B. - conformemente alla politica della reggenza di esorbitante favoritismo verso le oligarchie aristocratiche - era ripagato dei servigi resi con l'infeudazione (15 marzo 1642) di una parte della comunità di Cambiano.
Inutilmente la municipalità locale, di fronte alla prospettiva di un regime assai meno blando di quello di cui aveva goduto dal 1619 sotto il primo feudatario conte Carlo Scotti (limitatosi, con titolo marchionale, ad esercitare il diritto di nomina del castellano e del giudice d'appellazione), s'affrettava a ricorrere al governo ducale facendo osservare che il B. possedeva "livre grosse 26 e più di registro, di cui d'hor indietro la povera Comunità ha sempre tentato di essiger le taglie e carighi... e tanto manco se ne può sperare per l'avenire per le taglie occorrende quando sarà detto investito ... il tutto in grande pregiudicio de' particolari possidenti registro e di tutto il pubblico, e similmente del medesimo patrimonio di V.A.R., perché continuando li miserabili a pagare i carighi e taglie, che si fanno sì eccessive perché non si supplisce dal detto capitano Borgarelli all'ammontare del suo registro, saranno tutti forzati d'abbandonare il luogo...". Alla supplica veniva risposto che la comunità reclamasse il pagamento dei suoi crediti.
Con la concessione del luogo, il B. otteneva d'altra parte anche il titolo comitale e l'appannaggio (2 sett. 1642) di maggiordomo di corte e di governatore del forte di S. Ospizio. In questa situazione i nuovi signori, già renitenti a soddisfare i loro vecchi obblighi tributari, continuarono a scaricare le tasse da loro successivamente dovute sul "registro collettabile", opponendosi non solo a tutti i tentativi di risarcimento ed esazione della municipalità locale, ma anche a ogni iniziativa tendente alla registrazione dei passaggi di proprietà e all'aggiornamento dei vecchi carichi sui fondi di loro proprietà. Se il B. (nominato nel settembre 1657 governatore di Ceva) e il figlio Alfonso (maggiordomo del duca) potevano influire più direttamente a corte, non meno decisa e autoritaria, nella difesa dei privilegi e degli arbitri della famiglia, era l'azione delle donne del casato. Assai felice in questo senso il ritratto che i documenti del tempo danno di Paola dei conti di Envie, sposa di Alfonso, lasciata dai congiunti a governare il feudo.
Il 7 luglio 1656 l'esattore della comunità, non essendogli state pagate le tasse, aveva sequestrato un gran quantitativo di covoni di frumento; la stessa notte tuttavia Paola, senza frapporre indugi, assoldata una schiera di gente forestiera, s'era ripresa il grano e l'aveva fatto trasportare ben custodito alla sua cascina dell'Aira. Ai sindaci di Cambiano subito accorsi per intimare l'osservanza delle procedure giudiziarie, la contessa rispondeva che "questi di Cambiano eran tutti villani che non le portano alcun rispetto... Poi, voltandosi verso detto consindaco Domenico Martini, li ha detto che era un impertinente, che con pari suoi non si deve procedere a quel modo, minacciandolo con una canna d'India che aveva nella mano". Aggiungeva ancora che "qualora fossero stati anche quaranta il grano non si sarebbe condotto via e che, se invece di esser donna fosse stato uomo, avrebbe fatto valere i suoi diritti a colpi di pistola".
Ad ogni buon conto, i Borgarelli provvedevano nel gennaio 1658 a impossessarsi di tutto il feudo, impegnando le loro quote per acquistare le ultime porzioni detenute dal conte Scotti. La vertenza doveva tuttavia aggravarsi nella misura in cui al progressivo indebitamento della comunità per far fronte da sola alle imposte di Stato e private faceva riscontro per altra parte il graduale impoverimento della piccola nobiltà locale, esposta alle crescenti difficoltà insorte nella seconda metà del '600 per la diminuzione dei prezzi agricoli e il conseguente ristagno delle rendite feudali. Non bastava più ai Borgarelli, per non esser coinvolti dalla sopravveniente crisi economica, rivalersi sul contado intensificando l'appropriazione di beni comunali e continuando a difendere accanitamente le proprie pretese di esenzione fiscale. Giorgio Gugliemo e Giuseppe Francesco, gli ultimi rampolli del conte Alfonso (morto nel luglio 1678), ai quali non s'erano ancora aperte altre possibilità di lucro in impieghi pubblici (Giorgio sarà chiamato solo nel 1718 a corte, come tenente dei dragoni e gentiluomo di bocca) cercavano in qualche modo di reagire gettandosi sulle terre del feudo a taglieggiare villici e mercanti. Ruberie e vessazioni che, se pur ricordano le bravate di manzoniana memoria (e in questo senso si limitò a giudicarle la storiografia piemontese ottocentesca), non consentirono tuttavia alla famiglia di riassestare le proprie finanze.
Dopo un lungo decennio di prepotenze e di scorrerie e nonostante avessero rivendicato l'esenzione dai tributi nel "consegnamento" del 1687, i Borgarelli dovevano capitolare: la politica ducale esigeva, sia pur attraverso l'assoggettamento delle comunità paesane al ceto nobiliare, la puntuale copertura delle imposizioni fiscali; premeva al sovrano, d'altro canto, venire incontro alle necessità dei Carron di San Tommaso (la famiglia savoiarda che da due generazioni deteneva la carica di primo segretario di stato) di stabilirsi più saldamente in Piemonte. Nel marzo 1695 i Borgarelli, essendo ormai debitori verso la comunità di Cambiano della somma di 5.311 lire e non potendo altrimenti farvi fronte furono costretti ad alienare terreni e cascine: dopo un primo rifiuto, la municipalità provvedeva essa stessa all'acquisto, e a versare ai vecchi signori 5.500 lire ad integrazione del valore dei beni. Il 22 ag. 1699 Vittorio Amedeo II sanciva infine il passaggio del feudo (già intervenuto fra le parti con atti del 30 maggio 1697 e del 18 dic. 1698) al marchese Carlo Giuseppe Vittorio di San Tommaso.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Patenti Piemonte, reg. 58, ff. 220r e 255; 65, f. 230; 67, f. 79; A. Manno, Dizionario feudale, Firenze 1895, p. 43; P. Gribaudi, Signorotti e bravi in Piemonte nel secolo XVII (I conti Borgarelli di Cambiano), in Boll. stor. bibl. subalpino, III (1898), 6, pp. 419 ss.; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, pp. 374 s.