bordone
. Termine musicale, usato da D. una sola volta, in Pg XXVIII 18 li augelletti... con piena letizia l'ore prime, / cantando, ricevieno intra le foglie, che tenevan bordone a le sue rime: gli uccelli cantano lieti tra le fronde della divina foresta spessa e viva, e intanto lo stormire delle foglie fa loro da bordone. Si tratta di un procedimento musicale di cui D. aveva certo diretta esperienza, poiché esso era largamente diffuso nella pratica del tempo.
Un teorico medievale, Petrus Picardus, epitomatore della dottrina franconiana, e perciò vissuto quasi certamente nella seconda metà del XIII secolo, descrive nel cap. XXIX del trattatello Musica mensurabilis (in E. de Coussemaker, Scriptorum de musica medii aevi nova series..., I, Parigi 1864, 152-154) la tecnica del b., che era una corda supplementare della viella, messa fuori tastatura, capace solo di emettere un suono fisso e non diteggiabile: " Secunda [corda], quae bordunus est aliarum, D [il re grave] solum facit; quae quidem, eo quod extra corpus viellae, id est a latere, affixa sit, applicationes digitorum evadit ". L'uso del b. fisso, tuttavia, era limitato all'esecuzione della musica liturgica, come quella che si muoveva entro ambiti melodici e tonali limitati: la corda di b. era stata accordata sul re proprio perché potesse dare la finalis del primo modo, di gran lunga il più usato in un'epoca in cui, con l'esaurirsi del canto sacro, la pratica degli otto modi veniva progressivamente abbandonata. Tanto è vero che, come spiega poco più avanti il medesimo teorico, quando si doveva eseguire musica profana, tutte le corde della viella erano regolarmente tese sulla tastatura, e tutte diteggiabili: " Alius [modus temperandi viellas] necessarius est propter laycos et omnes alios cantus, maxime irregulares qui frequenter per totam manum discurrere volunt; et tunc necessarium est ut omnes quinque cordae ipsius viellae corpori solido affigantur, nullaque a latere, ut applicationem digitorum queant recipere ". Analogo a questa pratica strumentale era l'impiego di una nota fissa nella parte più grave della polifonia vocale. Tale nota lunga tenuta è d'uso generale nello stile organistico di Notre Dame, a quattro, tre e due voci, in cui la parte più bassa (il tenor) ha il compito di intonare una nota che rimane ferma, mentre la voce o le voci superiori proseguono nei loro svolgimenti fioriti fatti di valori brevi. La similitudine dantesca risulta perciò di immediata e realistica evidenza: lo stormire delle fronde, sommesso, monotono e rapportabile a una frequenza relativamente bassa, costituisce il sottofondo ostinato, simile al tenor della polifonia vocale o al b. della viella, su cui le note acute degli augelletti intrecciano, con ampia libertà, i più variati movimenti melodici.