BORBORINO (Borbonino, Bulboninus, Bolborinus), Lanfranco, detto della Turca
Appartenente ad un'eminente famiglia, il B. nacque intorno al 1215 da Lanfranco, console di Genova nel 1216, e da Miragdonia. La madre, che aveva sposato in prime nozze Tommaso Podisio, aveva portato al secondo marito una dote di 1.000 lire, segno di una discreta ricchezza.
Le prime notizie dell'attività del B. risalgono al 1235. Come tutti i giovani nobili aveva imparato l'arte della mercatura commerciando con denaro preso in prestito. Nel saccheggio del fondaco dei Genovesi a Ceuta del 1235 perse una commenda; promise allora di rimborsare il suo creditore, Ansaldo Galleta, se la spedizione punitiva del Lercari - la prima maona - avesse avuto successo. Nel 1236 il B. si recò poi a Tunisi, portando con sé diverse somme in commenda.
Sposò Giacomina (o Giacoma), vedova del conte di Ventimiglia, Manuele, e da essa ebbe due figli, Giacomo e Sardo. Tranne qualche porzione di terra a Castelletto, a Sampierdarena e a Cornigliano, i suoi beni erano situati prevalentemente nella Riviera di Ponente: terre a Ventimiglia, Roquebrune (Roccabruna) e la metà di Dolceacqua; comprata dal conte di Ventimiglia, prima del 1262, quest'ultima era stata poi rivenduta nel 1270 al capitano del popolo Oberto Doria. Nel 1263, Giacomo, figlio primogenito del B., fu podestà di Dolceacqua.
Il B. è noto soprattutto per l'esito sfortunato della spedizione da lui capeggiata nel 1266. Dopo la sconfitta subita ad opera dei Veneziani nella battaglia di Settepozzi in Morea (1263) ed il successo di Simone Grillo a Saseno nel 1264, Genova nella primavera del 1266 preparò una squadra di diciotto galee e una "nave grande" affidandone il comando al B., assistito da Baldovino Diotisalve, Rinaldo Ceba e Bonavia conte di Noli. La flotta lasciò Genova i primi di maggio (sbaglia l'annalista, datando aprile) e si recò a Bonifacio dove la raggiunsero altre nove galee mandate da Genova alla fine di maggio. Nel frattempo il B. era venuto a sapere che i Veneziani, dopo aver catturato nel porto di Tunisi una nave genovese e una savonese, serano mossi verso la Sicilia. Lasciando a Bonifacio la nave di Corrado Vento, il B., con ventisette galee, arrivò alla metà di giugno nei pressi di Trapani; qui si trovava già la squadra veneziana di Giacomo Dandolo con ventiquattro galee e due sagitte. Nella stessa Trapani, il B. assoldò mercenari locali. Ma trascurando il parere dei comandanti subalterni, che gli consigliavano di raggiungere l'alto mare, si mantenne invece nei pressi della costa, adottando una tattica basata sull'impiego di lizze e bertesche.
Sulla sua condotta di combattimento le opinioni divergono. Secondo l'annalista genovese, al primo assalto dei Veneziani gli equipaggi, presi dal panico, si buttarono a mare, mentre il B. avrebbe abbandonato il suo posto per vigliaccheria o per tradimento. Più verosimile sembra invece la versione dei cronisti veneziani, soprattutto quella di Martino da Canale. I Veneziani condussero tre assalti successivi, mentre da parte genovese fu apprestato un brulotto. Questo, però, deviato dal vento, non sortì l'effetto auspicato e il terzo assalto fu così decisivo: i Veneziani s'impadronirono di ventiquattro galee e ne incendiarono tre. Poterono così portare a Venezia seicento prigionieri senza peraltro aver saputo trarre dalla vittoria tutto il profitto possibile.
Il colpo assestato alla potenza marinara di Genova fu grave; ma non è chiaro se si trattò di imperizia o di tradimento. Sembra che, condannando il B. nel luglio del 1266, il governo genovese abbia dato credito al racconto dei marinai fuggiaschi, che accusarono i comandanti per giustificare la propria condotta. Il B. perse i suoi beni, fu bandito e condannato al pagamento di diecimila lire, multa che venne ridotta a cinquecento nel 1272, quando i due capitani del popolo, Oberto Doria e Oberto Spinola, gli concessero il permesso di rientrare in patria.
Il B. dettò il suo testamento il 26 apr. 1277 e morì prima del 15 giugno 1278; in tale data il giudice del podestà riconobbe alla vedova Giacoma il possesso di parte di una proprietà situata in Sampierdarena.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Not. Bonusvassalus de Cassino, I, c. 21rv; Ibid., Not. Bartholomeus Fornarius 2, c. 260v; Ibid., Not. Guibertus de Nervio, 3, cc. 154v, 178v, 181v, 182r, 184rv, 185r; Ibid., Not. Iohannes de Mandolexio, 2, cc. 50r, 85v, 102v, 106rv, 127r; Ibid., Not. Angelinus de Sigestro, I, cc. 250v, 353rv; Ibid., Not. Guilielmus de S. Georgio, I, c. 211; A. Dandolo, Chronicon, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, coll. 372 s.; M. Sanuto, Vite de' duchi di Venezia,ibid., XXII, ibid. 1733, col. 562;Martino da Canale, Cron. veneta, in Arch. stor. ital., VIII (1845), pp. 518-524; Cod. dipl. delle relaz. fra laLiguria,la Toscana e la Lunigiana ai tempi diDante, a cura di A. Ferretto, in Atti della Soc.ligure di storia patria, XXXI, 1 (1901), pp. 38 s., 51, 56, 144, 261;XXXI, 2(1903), p. 241; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, IV, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1926, pp. 89-91;C. Manfroni, Storia della marina italiana..., I, Livorno 1902, pp. 20-24;G. Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer 1257-1311, I, Halle 1895, pp. 182-187; G. Rossi, Storiadel marchesato di Dolceacqua e dei comuni di ValNervia, Bordighera 1903, pp. 203-205;V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, p. 80; T. O. De Negri, Storia di Genova, Milano 1968, p. 396.