BONO
Nato nel 786 da ragguardevole famiglia partenopea, appartenente con ogni probabilità all'aristocrazia militare, designato successore di Stefano III assassinato nel giugno dell'832, fu riconosciuto solennemente console e duca di Napoli ai primi del mese successivo.
Giovanni Diacono, che dedica all'avvenimento una parte considerevole del cap. 53 del Liber pontificalis napoletano, afferma che Stefano III fu ucciso proditoriamente da un gruppo di estremisti favorevole a una intesa con i Longobardi mentre, dinnanzi ai portali dell'antica cattedrale di Napoli, la Stephania, stava trattando i termini di un armistizio - pax - con i plenipotenziari del principe Sicone di Benevento; aggiunge che, subito dopo l'uccisione del duca, "unus ex his interfectoribus" - B., appunto -, impadronitosi del potere, "dei suoi complici alcuni fece uccidere, altri condannò all'esilio perpetuo". Lo storico dei vescovi di Napoli non indica il ruolo sostenuto da B. nella congiura, né denunzia le sue responsabilità; così come non precisa né il mese né l'anno nei quali fu perpetrato il delitto, limitandosi a riferire che esso fu compiuto "aestivo tempore, quando segetes reponuntur". I termini cronologici della vicenda, tuttavia, si traggono dall'epitafio stesso di B.: giugno, circa metà, dell'832 (p. Bertolini, Studi per la cronologia, nota 3 di p. 71); mentre l'offensiva immediatamente scatenata contro i Longobardi dal nuovo duca di Napoli, e il fatto che la prima preoccupazione di quest'ultimo, una volta consolidatosi al potere, sia stata quella di togliere di mezzo gli esponenti più in vista e intraprendenti della fazione che aveva rovesciato Stefano III smentiscono senza possibilità di dubbio tanto la tesi di una sua collusione con i Longobardi quanto l'accusa, sapientemente suggerita dal preposito di S. Gennaro, che B. fosse implicato nella turpe morte del suo predecessore.
Quando B. ne assunse il governo, il ducato di Napoli stava attraversando un momento particolarmente difficile. Dilaniata dalle lotte tra le fazioni interne, prostrata dalle sconfitte militari patite ad opera dei Longobardi, duramente provata dal recente assedio conclusosi con la richiesta di una tregua che era, in realtà, una resa e con l'uccisione di Stefano III, mutilata nel territorio - l'intero ducato si riduceva in pratica alla sola città e al suo immediato entroterra -, Napoli sentiva diventare sempre più stretto e pesante, specie dopo il fallimento dei ripetuti tentativi di emancipazione compiuti da Stefano III nel corso del suo governo, il vassallaggio politico ed economico che la vincolava al prmcipato di Benevento. Il nuovo console e duca, tuttavia, dimostrò immediatamente di essere all'altezza della situazione, dando prova di possedere, insieme con un certo intuito politico, anche indiscutibili capacità militari.
Approfittando certo della crisi di potere apertasi a Benevento con la morte di Sicone (agosto dell'832) ed aggravatasi in seguito ai contrasti interni che si accompagnarono alla conferma sul trono di Sicardo, figlio e collega del principe defunto, come unico sovrano dei Longobardi (settembre dell'832), B. tentò di restituire un po' di ossigeno alla sua città, rompendo il cerchio di ferro che la serrava dappresso in una morsa mortale, e cercandole alleanze per l'imminente battaglia decisiva. Egli doveva aver previsto, in un primo ciclo operativo, tutta una serie di incursioni devastatrici a largo raggio contro gli insediamenti e i coltivi longobardi immediatamente a nord-nord-est e a sud-est di Napoli; a questa prima fase fatta di brevi scontri, imboscate e saccheggi, doveva tener dietro, in un secondo tempo e con l'appoggio di altre potenze alleate, l'attacco generale e coordinato di tutte le forze partenopee contro i territori di dominio longobardo, e la stabile occupazione militare delle zone conquistate.
Fra l'autunno dell'832 e la fine dell'833 si susseguirono, condotti con decisione e diretti con chiarezza di idee, i colpi di mano e le scorrerie dei Napoletani: prese e smantellate, in Terra di Lavoro, le fortezze longobarde di Atella e di Acerra, messa al sacco la valle del Samo e la piana di Pompei, gli armati partenopei si spinsero sotto la guida di B. in pericolose puntate lungo la via Appia a minacciare il cuore stesso del principato di Benevento, sino al castello di Furculae (presso Forchia, all'imbocco della stretta del Caudio), che fu pure espugnato e dato alle fiamme. Rientrato vittorioso e con ricco bottino al termine del primo periodo di attività militare, ed accolto come il salvatore della patria dalla cittadinanza, B. non poté tuttavia proseguire e portare a termine l'opera da lui intrapresa. Il 9 di gennaio dell'834 in Napoli, dopo appena un anno e sei mesi di governo, veniva infatti improvvisamente a morte. Era ancora relativamente, giovane: aveva appena 48 anni. Lasciava il potere al figlio Leone, che sarebbe stato spodestato di lì a poco dal proprio suocero, Andrea, e il ducato, sul quale gravava la minaccia della rappresaglia longobarda, in balia delle varie fazioni interne.
Nulla riferiscono le fonti a proposito dei rapporti intercorsi tra Napoli e gli imperi bizantino e franco durante il governo di B., così come omettono di dire se già da allora impegni di un certo rilievo legassero la città partenopea agli Arabi musulmani, l'alleanza con i quali, essendo in diretta funzione antilongobarda, era destinata a diventare negli anni immediatamente successivi la costante della politica napoletana del sec. IX. Eppure, appunto in trattative che B. poté avviare con i Musulmani, e nell'instaurarsi di cordiali rapporti tra i nuovi padroni della Sicilia e i Partenopei, si deve molto probabilmente vedere la ragione principale del violento conflitto di potere che, fin dai primi momenti del suo governo, aveva opposto al nuovo duca il vescovo stesso di Napoli, Tiberio: Giovanni Diacono fa coincidere, infatti, con l'avvento di B. l'inizio dell'interferenza di Tiberio nel campo politico.
Secondo quanto scrive il preposito di S. Gennaro, nell'832 il presule, dopo aver retto "nella tranquillità" la sua diocesi per 13 anni, aveva cominciato a osteggiare apertamente il duca da poco salito al governo, contrastandone "per quanto stava in suo potere" sia l'autorità sia l'indirizzo politico, tanto che B. si era visto costretto a farlo arrestare e rinchiudere in un carcere, senza che nessuno, del clero diocesano o del popolo, osasse intervenire in favore del vescovo. A quanto sembra, era stata intenzione del duca, una volta tolto di mezzo Tiberio, di fare anche eleggere dal clero di Napoli un nuovo vescovo; ed aveva altresì indicato la persona che avrebbe desiderato vedere sulla cattedra episcopale. Non vi furono resistenze di sorta all'attuazione di un simile progetto, che incontrò invece, secondo quanto è possibile desumere dalle fonti, il favore dell'intero clero diocesano; la scelta cadde sul candidato del duca, un chierico di larga cultura, Giovanni detto lo Scriba, diacono della cattedrale, che fu eletto vescovo all'unanimità. Giovanni Diacono, preoccupato da un lato di difendere la persona e l'opera di Tiberio, e non potendo d'altro canto sminuire troppo la figura di un duca come B., tuttavia circonfuso nella memoria popolare dalla fama delle sue vittorie, non riferisce le ragioni che indussero Tiberio a contrapporsi al duca, né i motivi che convinsero quest'ultimo a far arrestare il presule e che giustificarono il provvedimento agli occhi della popolazione, limitandosi ad affermare, in modo del resto molto generico, che il nuovo duca "contra sanctam Ecclesiam... multa coepit mala peragere". Dal contesto degli avvenimenti di quel secondo ventennio del sec. IX e da caute allusioni contenute nelle fonti coeve risulta tuttavia chiaramente che alla base del conflitto tra il potere secolare e l'autorità religiosa vi furono non preoccupazioni di ordine dogmatico-dottrinale o semplicemente disciplinare, ma una vera e propria interferenza del vescovo negli affari di Stato, motivata dal dubbio che l'indirizzo politico di cui si era fatto promotore B. potesse essere in qualche modo nocivo alla religione e alla Chiesa (p. Bertolini, La serie episcopale ...).
La pietra tombale, su cui era stata incisa l'iscrizione funebre in onore di B., è giunta intatta sino a noi, ed è ancora oggi visibile, murata nelle pareti della basilica napoletana di Santa Restituta. Nell'epitaffio, acrostico - le lettere iniziali di ogni rigo formano la frase Bonus consul et dux -, l'autore accenna alla vittoriosa ripresa offensiva voluta e condotta da B., di cui esalta le virtù militari ed umane, e descrive con parole accorate il cordoglio dei Napoletani accorsi, "communia damna gementes", a rendere l'estremo omaggio a colui che era stato "pax nostra sed decor ipse simul".
Fonti e Bibl.: Iohannis Gesta episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist.,Script. rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, capp. 53, 55-57, pp. 430 s.; Catalogus episcoporum Neapolitanorum (Catal. Bianchini), a cura di G. Waitz, ibid., p. 438, rr. 36-39; Chronicon ducum et principum Beneventi,Salerni et Capuae,et ducum Neapolis ex cod. Bibl. Naz. Centr. "Vittorio Eman. II", fondo "Vitt. Eman.", num. 529, a cura di P. Fedele, in Arch. stor. per le province napoletane, XXVIII (1908), p. 571, r. 4; Epitaphium Boni, in Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae finibus nunc extant iussu Pii XII pontificis maximi edita, a cura di A. Silvagni, in Civitate Vaticana 1943, tav. X, n. 3; A. Di Meo, Annali critico-diplom. del Regno di Napoli nella Mezzana Età, III, Napoli 1797, pp. 317-321, 368-370 (l'autore, basandosi sulla Cronaca dello Pseudo-Ubaldo, uno dei tanti falsi del Pratilli, assegna erroneamente a B. 12 anni di governo, dal luglio dell'822 al 9 gennaio dell'834); B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia I, Neapoli 1881, p. 78; II, 2, ibid. 1892, p. 220 e tav. XIII - ma la trascrizione dell'epitaffio di B. qui data non riproduce esattamente il testo epigrafico; L. M. Hartmann, Gesch. Italiens im Mittelalter, III, 1, Gotha 1908, pp. 203-207; M. Schipa, Il Mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923, pp. 48-50; D. Mallardo, Giovanni diacono napoletano..., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 343-351; P. Bertolini, Studi per la cronol. dei principi langob. di Benevento, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il M. E., LXXX (1968), pp. 50 ss., 70-74; Id., La serie episcopale napol. nei secoli VIII e IX. Ricerche sulle fonti…, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXIV (1970).