BONINO da Campione
Scultore lombardo, originario di Campione sul lago di Lugano, attivo in diverse città dell'Italia settentrionale (Milano, Brescia, Cremona e Verona) nella seconda metà del Trecento.Le tappe della produzione artistica di B. possono essere sommariamente ricostruite in base ai pochi documenti pervenuti. La più antica testimonianza è rappresentata dall'iscrizione con il suo nome posta sul sarcofago di Folchino degli Schizzi (m. nel 1357), conservato nel duomo di Cremona, per il quale B. aveva eseguito negli stessi anni anche il sepolcro di s. Omobono, oggi andato perduto (Merzario, 1893, p. 248). Successiva è l'attività a Milano per Bernabò Visconti, che gli commissionò il proprio monumento funerario, destinato alla chiesa di S. Giovanni in Conca (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). All'impresa, concordemente attribuita a B. e alla sua bottega, l'artista si dedicò a più riprese lungo un arco di tempo piuttosto ampio, che va da un periodo anteriore al 1363 - anno in cui si conclude il Chronicon di Pietro Azario, dove vengono descritte le statue di Bernabò, della Fortezza e della Giustizia - al 1385 ca., anno di morte del committente. Intorno al 1370 B. venne chiamato a Verona da Cansignorio della Scala (m. nel 1375) per eseguire il suo complesso sepolcrale in S. Maria Antica; la paternità dell'opera è documentata dall'iscrizione: "Hoc opus fecit et sculpsit Boninus de Campigliono Mediolanensis Dioces[is]". Chiusa la parentesi veronese nel 1376 ca., B. e la sua bottega fecero probabilmente ritorno nel capoluogo lombardo, dove li attendeva il lavoro di completamento del sarcofago di Bernabò Visconti, che tuttavia non venne mai condotto a termine. Su quest'ultimo periodo dell'attività del campionese le fonti restano scarse; egli è documentato due volte negli annali della Fabbrica del duomo di Milano (1388 e 1389), quando venne consultato dai fabbricieri per lavori da svolgersi nell'erigenda cattedrale. Secondo un documento degli stessi annali, citato da Merzario (1893, p. 252) e non più reperito, l'artista morì nel marzo del 1397.Sconosciuta è la formazione artistica di B., avvenuta però probabilmente in ambito milanese; si può di fatto escludere - contrariamente alle ipotesi formulate da Valentiner (1947), Toesca (1951) e dalla precedente critica - che egli abbia svolto l'apprendistato alle dipendenze del pisano Giovanni di Balduccio. Già nelle opere giovanili firmate o assegnategli dalla critica (Brescia, duomo vecchio, arca del vescovo Balduino Lambertini; Milano, S. Eustorgio, sarcofago di Protasio Caimi, del 1355 ca., e sepolcro di Stefano e Valentina Visconti, del 1359 ca.; Cremona, duomo, sarcofago di Folchino degli Schizzi), B. sembra infatti poco interessato alle novità della scultura toscana, di cui si era fatto portavoce in Lombardia Giovanni di Balduccio nella prima parte del secolo. La sua produzione resta invece artisticamente più legata alla attardata tradizione plastica lombarda e si indirizza quasi esclusivamente all'elaborazione di semplici monumenti funerari, con l'eccezione del più tardo ma incompiuto sepolcro di Bernabò Visconti a Milano e della monumentale arca di Cansignorio della Scala a Verona.Le esperienze giovanili di B. (1349 ca.-1360), scultore di valore certamente non altissimo, sono accomunate da un'estrema semplificazione della struttura architettonica dei monumenti funebri, ridotti spesso al solo sarcofago, e da una ripetitività degli episodi rappresentati.La prima opera concordemente assegnata all'artista è il monumento al vescovo Lambertini (m. nel 1349) nel duomo vecchio di Brescia. La presenza di uno scultore campionese nella città rientrava nella consuetudine locale di avvalersi di tali maestranze per l'esecuzione di grandi monumenti sepolcrali, come era in precedenza accaduto per l'arca di Berardo Maggi (1308), sempre nel duomo vecchio. Incassato in un arcosolio preesistente, il sarcofago sviluppa la sua decorazione quasi esclusivamente sulla fronte, con una raffigurazione paratattica di santi e del committente inginocchiato al cospetto della Vergine in trono con il Bambino. Meno riuscita è la parte superiore, dove B. sembra allontanarsi dai modelli campionesi per abbracciare la più aggiornata soluzione del baldacchino, al di sopra del quale troneggia una imago pietatis. La poco felice sovrapposizione dell'effigie del vescovo defunto sul lato principale del baldacchino prova la difficoltà dello scultore a recepire anche le più piccole novità dell'arte funeraria gotica.L'opera giovanile di B. mostra quindi il prevalere dell'elemento plastico decorativo sulla struttura architettonica e la conseguente mancata armonizzazione delle varie componenti, la difficoltà di animare gli episodi rappresentati, nei quali emergono figure rese massicciamente e prive di naturalezza.All'esperienza bresciana fece seguito il lungo soggiorno milanese presso i Visconti; qui i campionesi avevano continuato a operare anche nella prima metà del secolo, secondo la più schietta tradizione lombarda (sculture della loggia degli Osii, 1330 ca.), lontani da ogni contatto con la bottega di Giovanni di Balduccio. In quest'ambito B. lentamente venne assumendo un ruolo da protagonista. La sua produzione tra il 1350 e il 1360 è infatti destinata a personaggi della corte viscontea, quali Protasio Caimi e Folchino degli Schizzi. I loro sepolcri, insieme alle formelle (Pietà, Sacra conversazione) conservate nella chiesa di S. Agostino di Cremona e al paliotto d'altare (Storie della Vergine), della parrocchiale di Carpiano Certosino, compongono un gruppo stilisticamente unitario, che si chiude con il rimaneggiato monumento funerario di Stefano e Valentina Visconti, dove l'intervento di B. è probabilmente circoscrivibile al sarcofago. È questa la prima opera di prestigio dello scultore, che probabilmente schiuse a B. le porte verso una committenza di livello più alto; solo in questi termini si spiega la partecipazione dello scultore al grandioso progetto del monumento funerario per Bernabò Visconti, posto dietro l'altare maggiore della chiesa di S. Giovanni in Conca (Giovanni de' Mussi, Chronicon Placentinum). L'attuale composizione rispecchia soltanto in minima parte il progetto originario, mai attuato per motivi dinastici, e mostra una serie di discontinuità stilistiche attribuibili da un lato alla lentezza dei lavori, più volte interrotti, dall'altro all'intervento sempre più ampio della bottega. Il gruppo equestre è realizzato da B. secondo i dettami più classici della statuaria campionese (per es. S. Alessandro a cavallo di Giovanni da Campione; Bergamo, S. Maria Maggiore, portale settentrionale, 1351-1353) e completato da un rivestimento policromo, ancora visibile nei finimenti del cavallo e soprattutto nel disegno araldico del corpetto di Bernabò (Wolters, 1976, p. 29). La parte bassa del monumento, costituito da un grande sarcofago sostenuto da dodici robuste colonne, sembra attenersi ai modelli degli amboni romanici piuttosto che ai più aggiornati esempi di architettura funeraria di matrice toscana, già presenti in Milano, e alle soluzioni gotiche viste a Verona.L'affermazione presso la corte di Milano condusse B. a organizzare una vasta bottega di cui si avvalse notevolmente a Verona. La committenza veronese, che rientrava nella politica diplomatica di Bernabò, tesa a rafforzare l'alleanza con il cognato Cansignorio, costituiva per B. un'occasione per misurarsi con esperienze diverse da quelle lombarde. La tomba di Cansignorio veniva innalzata nell'area prossima a S. Maria Antica, deputata a sepolcreto scaligero. Modelli di riferimento obbligati erano costituiti dai più antichi monumenti funerari a baldacchino di Cangrande e soprattutto di Mastino II, entrambe opere di maestranze locali; all'impresa venne associato un Gaspare recultor, menzionato in una delle iscrizioni, la cui funzione all'interno del cantiere non è stata ancora definitivamente chiarita (Bellone, 1940; de' Maffei, 1954; Magagnato, 1962). Il committente pretese un sepolcro monumentale, dove l'aspetto architettonico fosse preminente su quello scultoreo. Il rispetto di queste indicazioni costrinse il suo ideatore a concepire una complessa macchina gotica, impiantata sulla figura dell'esagono, arricchita di tabernacoli angolari cuspidati, con un risultato finale che ha dello "spettacoloso" (Toesca, 1951, p. 391). La mano di B. è sicuramente individuabile nella statua equestre di Cansignorio, prossima nell'impostazione a quella del monumento per Bernabò Visconti a Milano. La continuità con le esperienze precedenti, più vicine nei risultati alla tradizione protogotica lombarda, si traduce nel moto innaturalmente bloccato del cavaliere astante, posto a chiusura del sepolcro, mentre la figura del giacente tra angeli - attribuita anch'essa a B. (de' Maffei, 1954) - è debolmente modellata, come pure le statue dei santi guerrieri e i rilievi dell'urna con episodi evangelici, prodotti dalla bottega. Questo farebbe ipotizzare che l'intervento di B. e dei suoi allievi sia da ricondurre alla realizzazione del solo programma scultoreo, mentre l'ideazione architettonica sarebbe riferibile a un artista, di formazione locale, probabilmente individuabile in Gaspare recultor. Alla presenza prolungata della bottega di B. a Verona si lega l'immediata diffusione della sua maniera anche in altre città del Veneto, da Padova a Vicenza e alla stessa Venezia (Wolters, 1976).Il ritorno a Milano fu segnato dalla prosecuzione dei lavori del monumento funerario di Bernabò Visconti, la cui seconda fase è ascrivibile a dopo il 1376, ma anche con l'eclissi artistica di B., che significativamente coincise con la scomparsa del suo illustre mecenate.Un capitolo a parte è rappresentato dall'ampia produzione che la critica ha spesso assegnato a Bonino. Allo stato attuale degli studi non è possibile fare precise attribuzioni e il riconoscimento del diretto intervento dell'artista, che resta un compito arduo anche nelle sculture di sicura paternità (Bossaglia, 1970), diventerebbe pura esercitazione accademica nelle altre opere. Queste certamente non formano un gruppo qualitativamente omogeneo, né i soggetti rappresentati ricorrono nella produzione di B.; il fatto però che esse orbitino intorno allo scultore - è il caso della Crocifissione già in S. Antonio e oggi in S. Nazaro a Milano (Toesca, 1951; Baroni, 1955), dell'architrave del portale di S. Marco a Milano (de' Maffei, 1958), dei rilievi in S. Eustorgio (Incoronazione della Vergine) e in S. Marco (Madonna e santi, Incoronazione della Vergine, Deposizione) sempre nel capoluogo lombardo (Baroni, 1955) - dovrebbe indicare la fortuna della sua maniera presso la committenza milanese, proprio in coincidenza con il crepuscolo della scuola campionese (v. Campionesi) e l'apertura della grande fabbrica del duomo.
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