BONIFACIO
Vescovo di Reggio in Calabria succeduto, non sappiamo in quale anno, a un Lucio, pontificò tra la fine del sec. VI e gli inizi del sec. VII. Le scarse notizie a lui relative giunte fino a noi, quasi tutte d'ordine religioso e relative a problemi ecclesiastici di interesse particolare, dipendono esclusivamente dal Registro di papa Gregorio I e coprono un arco di tempo di circa dieci anni; sono tuttavia, benché frammentarie, informazioni per noi preziose, perché gettano uno sprazzo di luce su un periodo della storia della diocesi più importante dell'odierna Calabria che sarebbe stato altrimenti ignoto per il silenzio di tutte le altre fonti.
Nel settembre del 592 il papa scriveva a B. per lodarlo della intensa attività religiosa e caritativa, di cui egli si era fatto promotore nella sua diocesi; lo invitava tuttavia a lasciarsi guidare, nell'esercizio del suo sacro ministero, soprattutto da quello spirito di carità e di abnegazione che solo rende accettabili a Dio le azioni degli uomini. Nel giugno del 594, a mezzo di una nobildonna reggina, certa Stefania, il papa gli faceva pervenire una lettera, nella quale gli intimava di prendere i necessari provvedimenti perché venissero restituite senza indugio a Stefania quelle proprietà che le erano state, a suo tempo, indebitamente sottratte da funzionari del predecessore di B., e che erano state quindi incamerate dalla Chiesa dil Reggio. Tre mesi dopo (settembre) il papa scriveva a B. per esortarlo a restaurare la morale e la disciplina ecclesiastica nella sua diocesi.
Il tono generale della lettera è accorato, come se il pontefice temesse di non essere stato capace di trasmettere nel suo interlocutore e negli uomini della sua Chiesa la propria ansia di perfezione, la coscienza delle responsabilità e dei doveri che incombono su chi si èvotato alla vita ecclesiastica. In particolare, a proposito del reclutamento del clero minore - diaconi e suddiaconi - il papa ordinava a B. di attenersi alle stesse disposizioni disciplinari che egli aveva prescritto qualche tempo prima agli ordinari delle diocesi siciliane; e concludeva sollecitando una pronta e diligente esecuzione dei suoi ammonimenti.
B., dal canto suo, dovette assecondare degnamente i propositi e la volontà del pontefice, se questi, esattamente due anni più tardi, nel settembre del 595, si rivolgeva proprio a lui per affidargli un nuovo e più impegnativo incarico. Poiché alla scomparsa del vescovo di Carina non era stato possibile eleggergli un successore a causa dello stato di abbandono in cui si trovava quella sede episcopale per lo scadimento della popolazione e per la morte di tutti gli ecclesiastici, sacerdoti o chierici, residenti in quella diocesi, Gregorio I, preoccupato soprattutto delle nefaste conseguenze che avrebbe avuto sulla comunità dei fedeli rimasti un ulteriore prolungarsi di una situazione già così pesante, aveva preso la grave decisione di unire la diocesi di Carina a quella di Reggio.
Il Cappelletti (pp. 59 s.), seguito dal Gams (p. 934) e dal Duchesne (Les évêchés d'Italie..., p.83), ha concluso arbitrariamente, sulla base di questa sola lettera, che la diocesi unita a quella di Reggio da Gregorio I nel settembre del 595 doveva necessariamente trovarsi entro i confini dell'attuale Calabria; e la identificò in quella di Carinae, città oggi scomparsa, sede episcopale in un secondo tempo unita alla diocesi di Trani. Secondo l'Ughelli (col. 321) si trattò invece dell'attuale Cariati; ma fu tratto in inganno con ogni probabilità da un'errata lezione contenuta nel codice da lui utilizzato. In realtà, come ha potuto dimostrare senza possibilità di equivoci il Minasi (pp. 92 ss.), il pontefice si riferiva ad una sede siciliana, Carina, l'antica Hyccara, odierna Carini, piccolo centro a 27 chilometri da Palermo. Non deve tuttavia destar meraviglia il fatto che Gregorio I abbia unito una diocesi siciliana, probabilmente di rito bizantino anche se dipendente gerarchicamente da Roma, a una diocesi della penisola; la sede di Reggio in Calabria, pur essendo annoverata tra diocesi dei Bruttii (Reg. Epp. IX, nn. 129 e 134), per la sua stessa favorevole posizione geografica veniva infatti considerata talvolta, a seconda delle necessità del momento, tra le diocesi siciliane (Reg. Epp. IV, n. 5 e VII, n. 19). Nel comunicare a B. il provvedimento da lui preso, il pontefice usò la medesima formula che compare nel Liber diurnus sotto la rubrica Praeceptum de adunandis ecclesiis, e di cui lo stesso papa aveva già fatto uso in Reg. Epp. II, n. 48, e III, n. 2. Perché in questa lettera Gregorio I abbia omesso le prime parole della formula, sostituendole con altre, che forse si adattavano meglio al caso particolare, non ci è dato sapere; mentre il fatto che egli non abbia accennato alla "hostilis impietas" come alla causa della tragica congiuntura in cui si trovava Carini, induce a supporre che all'origine di essa vi fossero delle calamità naturali - nubifragi, terremoti, carestia - o la peste. L'urgenza - che traspare da tutto il contesto - sentita dal pontefice di dare un nuovo presule alla città siciliana nasceva, nonché da fondati timori di natura religiosa, anche da preoccupazioni di ordine temporale facilmente intuibili, se si pensa che in quell'epoca nei territori di dominio bizantino il vescovo, assonunando in sé, insieme con la autorità religiosa sua propria, anche un'autorità civile, rappresentava per il suo popolo qualcosa di più che un semplice pastore di anime.
Nel maggio del 597 Gregorio I, scrivendo al diacono Cipriano, defensor del patrimonium S. Petri in Sicilia, per avvisarlo di aver concesso ai vescovi dell'isola, in vista delle difficoltà che essi avrebbero dovuto incontrare, di compiere la loro visita canonica a Roma ogni cinque anni anziché ogni tre, come invece avrebbero voluto le norme ecclesiastiche, lo pregava di invitare quei vescovi che ancora non lo avessero fatto a intraprendere senz'altro il viaggio ad limina, in modo da poter essere a Roma in tempo per celebrare con lui la solennità del natale sancti Petri (29 giugno). Il pontefice pregava altresi Cipriano di interporre i suoi buoni uffici presso il pretore di Sicilia, perché questi concedesse licenza di potersi recare a Roma, oltre ai presuli siciliani, anche ai vescovi di Lipari e di Reggio. Gregorio I non fa il nome di questi due ecclesiastici, limitandosi a indicarli appunto col nome della loro sede, "Liparitanum et Regitanum episcopos".
Non molto facili dovettero essere i rapporti fra B. ed il clero reggino, nonostante la buona volontà e la comprensione dimostrata dal presule; ciò risulta da alcuni accenni contenuti nelle lettere già ricordate di Gregorio I, e più ancora da due missive scritte dal papa nell'aprile del 599 (Reg. Epp. IX, nn. 129 e 134). Si tratta di una lettera diretta al rettore del patrimonio di S. Pietro nei Bruttii, il suddiacono Savino, e di una "circolare" indirizzata a cinque vescovi dei Bruttii: Paolino di Tauriana, Proculo di Nicotera, Palumbo di Cosenza, Venerio di Vibo Valentia, Marciano di Locri. In esse il pontefice, dopo aver accennato ad una questione sorta tra il clero reggino e B., incaricava il suddiacono Savino e i cinque vescovi di recarsi in commissione a Reggio per aprirvi, "mediis sacrosantis evangeliis", un'inchiesta in suo nome "sine cuiusquam personae respectu".
Non siamo meglio informati sulla vicenda, né sui suoi sviluppi ulteriori. Nelle due lettere Gregorio I, forse per non influenzare il giudizio dei suoi inviati, non dice nulla circa l'oggetto della disputa; da come si esprime, si trae tuttavia l'impressione che nella città calabra si fosse giunti ad una specie di rifiuto d'obbedienza da parte del clero: "Il clero della diocesi di Reggio, fattaci pervenire una supplica, di molte cose si è lamentato nei confronti di B. ..., chiedendo licenza di poter venire da noi per esporre qui esaurientemente le ragioni stesse della sua protesta". Ma il solo fatto che il papa non avesse ritenuto opportuno convocare a Roma il vescovo di Reggio per interrogarlo direttamente, mentre aveva tempestivamente provveduto ad inviare nella città calabra una commissione d'inchiesta per appurare i fatti e accertare le responsabilità, potrebbe comprovare che Gregorio I aveva dei dubbi circa la legittimità delle lamentele dei sacerdoti reggini.
Come si sia risolta la cosa, non siamo in grado di dire. Nell'autunno di quello stesso anno 599, il papa scriveva nuovamente al suddiacono Savino per questioni riguardanti Reggio (Reg. Epp. X, n. 2);ma, mentre gli dava l'incarico d'indagare - e di punire, nel caso fosse risultato colpevole - sulla moralità di un sacerdote, certo Sisinnio, accusato di sodomia e di idolatria, e di costringere i figli di un'altro sacerdote, Vitaliano, a restituire i danari, che erano stati depositati presso il loro padre, non faceva alcuna allusione alla inchiesta affidatagli nell'aprile precedente.
Sono, queste dell'aprile e dell'autunno 599, le ultime menzioni relative, non solo a B., ma anche alla diocesi stessa di Reggio contenute nel Registro di Gregorio I. Tuttavia, poiché sappiamo che nel corso degli anni seguenti questo pontefice intervenne in varie diocesi della Sicilia e dei Bruttii per risolvere problemi di varia natura o per provvedere alla nomina di nuovi vescovi in sostituzione di altri nel frattempo deceduti (Reg. Epp. XIII, n. 21), mentre nulla del genere ci viene detto per Reggio in quello stesso periodo, non è azzardato ritenere che B. fosse ancora vivo nel marzo del 604, alla morte di papa Gregorio I. L'Ughelli (coll. 323 s.) afferma che B. morì nel 601, e che gli successe in quell'anno un Paolino; ma anche qui egli fu tratto in inganno da un'errata lezione, o equivocò su quella contenuta nel codice da lui seguito, leggendo "Regensis civitatis episcopus" dove è scritto "Tegensis civitatis episcopus" (Reg. Epp. XII, nn. 8 e 9).
La diocesi di Carini non rimase unita per molto alla sede episcopale di Reggio: già nel 602 aveva un proprio pastore, Barbaro, che nel novembre di quell'anno Gregorio I creava "visitatore" della diocesi di Palermo, allora vacante (Reg. Epp. XIII, n. 16), e un Giovanni "episcopus Carinensis" sottoscrisse gli atti del sinodo romano del 649(D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio..., X, Florentiae 1764, coll. 867 e 1166). Attestata ancora nel sec. VIII, la sede di Carini fu travolta, come altre, dall'invasione araba, né mai più restituita in seguito alla dignità di chiesa cattedrale.
Fonti e Bibl.: Gregorii I papae Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald e L. M. Hartmann, in Mon. Germ. Hist.,Epistolae, I-II, Berolini 1891 e 1909, l. III, epp. 4, V. 162; 43, pp. 199 s.; IV, 5, p. 237; VI, 9, p. 388; VII, 19, pp. 462 s.; IX, 129, p. 129; 134, p. 132; Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta pontificum Romanorum..., I, Lipsiae 1885, nn. 1208, p. 154; 1248, p. 157; 1276, p. 159; 1389, p. 170; 1465, p. 176; 1655, p. 190; 1656, p. 191; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra, IX, Venetiis 1721, coll. 321, 323 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., XXI, Venezia 1870, pp. 59 s., 156; G. Minasi, Le Chiese di Calabria..., Napoli 1896, pp. 92 ss.; E. Caspar, Die Gründungsurkunden der Sicil. Bistümer und der Kirchenpolitik Graf Rogers I., Innsbruck 1902, pp. 48-51; L. Duchesne, Les évêchés de Calabre, in Mélanges Fabre, Paris 1902, p. 10; Id., Les évêchés d'Italie et l'invasion lombarde, in Mélanges d'archeologie et d'histoire, Rome 1903, p. 83; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII…, Faenza 1927, pp. 336, 339, 644; A. F. Parisi, Il vescovo reggino B. e la diocesi di Carina, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XXXI (1962), pp. 67-79; P. B. Gams, Series episcoporum..., pp. 916, 934, 955; Diction. d'Histoire et Géogr. Ecclés., IX, col. 970 n. 59; XI, coll. 1037 s.