FERRERO, Bonifacio
Nacque a Biella, nel 1476, da Sebastiano, signore di Gaglianico e Candelo, e da Tomena Avogadro dei signori di Cerrione.
Avviato giovanissimo alla carriera ecclesiastica, fu probabilmente il più insigne tra, i numerosi membri della sua famiglia che, nel corso dei secc. XV e XVI, abbracciarono lo stato clericale. La posizione rivestita dal padre, in seno alla corte sabauda prima ed a quella francese poi, ne favorì la rapida ascesa. L'intervento paterno presso il pontefice Innocenzo VIII gli valse, a soli quattordici anni, il conferimento, con bolla del 6 giugno 1490, di un canonicato nella chiesa cattedrale di Vercelli. Il 14 nov. 1494 papa Alessandro VI lo nominò abate commendatario dell'abbazia benedettina di S. Stefano d'Ivrea ed il 3 novembre successivo lo designò prevosto della chiesa di S. Eusebio di Vercelli.
Le pressioni esercitate in suo favore presso la S. Sede dalla corte sabauda gli ottennero, sempre da Alessandro VI, il riconoscimento, con gratia expectativa del 28 luglio 1497, del diritto alla nomina al vescovado di Ivrea. La concessione divenne operante nel 1499, tuttavia il vescovado gli venne conferito a semplice titolo di amministrazione, non avendo egli ancora raggiunto l'età prevista dalle norme canoniche per la nomina alla dignità episcopale.
Nel 1505, venuto meno tale impedimento, il F. assunse pleno iure la carica di vescovo d'Ivrea, ricevendo dal fratello maggiore, il cardinale Giovanni Stefano, la consacrazione episcopale. Nell'esercizio di tale carica il F. provvide a far restaurare pressoché integralmente i castelli di Albiano, Chiaverano, Pavone e Romano, tutti appartenenti alla mensa vescovile eporediese. Sempre nel 1499 gli fu conferito il priorato benedettino di S. Pietro di Lemenc, nella diocesi di Grenoble.
Nel 1501 il F. era stato designato quale amministratore della diocesi di Nizza; nel 1504 rinunciò tuttavia a tale dignità. Il 5 nov. 1509 dimise pure il vescovado di Ivrea in favore di Giovanni Stefano, dal quale ricevette in cambio il vescovado di Vercelli. Alla morte del fratello, avvenuta il 5 ott. 1510, riottenne la sede episcopal e eporediese e pertanto, il 17 sett. 1511, rassegnò quella vercellese a vantaggio del fratello minore Agostino, con riserva, tuttavia, del diritto di regresso.
Nel 1513, dopo l'ascesa al soglio pontificio di Leone X, il F. si recò a Roma per partecipare al V concilio ecumenico lateranense, indetto da Giulio II il 3 maggio dell'anno precedente. La sua presenza in seno all'assemblea conciliare risulta attestata a partire dalla VII sessione, celebrata il 17 giugno 1513. Il mancato intervento del F. alle precedenti sessioni pare trovare giustificazione nella aperta ostilità del pontefice Giulio II nei confronti di Luigi XII di Francia, al quale i Ferrero si erano venuti strettamente legando proprio in quegli anni. Il riavvicinamento di Leone X al partito francese fruttò al F. il cappello cardinalizio, conferitogli nel concistoro del 1º luglio 1517, con il titolo dei Ss. Nereo ed Achilleo; dal vescovado che egli deteneva al momento della nomina fu spesso designato come cardinale d'Ivrea.
Il 3 ag. 1517 il F. cedette al fratello Agostino l'abbazia di S. Stefano d'Ivrea. riservandosi peraltro il diritto di regresso, ed ottenne per sé quella dei Ss. Graziano e Felino di Arona. Il 17 maggio 1518 rinunciò per la seconda volta al vescovado di Ivrea ed ottenne dal pontefice che gli subentrasse il giovane nipote Filiberto. Nel 1519 dimise inoltre il priorato di S. Pietro di Lemenc; con bolla papale del 14 ottobre di tale anno veniva tuttavia disposta la costituzione in suo favore di una pensione annua di 160 ducati d'oro di camera da percepirsi sui frutti del priorato stesso.
Nell'ottobre 1521 il F. benedisse in Nizza le nozze del duca Carlo II di Savoia con Beatrice di Portogallo. Nel dicembre dello stesso anno, scomparso il pontefice Leone X, il F. intraprese il viaggio alla volta di Roma per partecipare al conclave, dal quale sarebbe poi risultato eletto Adriano VI. Giunto a Pavia, fu trattenuto, insieme col suo seguito, dalle truppe di Prospero Colonna, per ordine del duca di Milano, Francesco II Sforza, che, aderendo al partito imperiale, sperava in tal modo di evitare la presenza in seno al conclave di un dichiarato sostenitore delle posizioni francesi. Le proteste dei membri del Collegio cardinalizio, intervenuti in suo favore, ed il loro rifiuto di procedere all'elezione papale in assenza del F. contribuirono ad una rapida risoluzione dell'incidente e consentirono al medesimo di giungere a Roma prima del 27 dicembre, data d'inizio del conclave stesso.
Dal nuovo pontefice il F. ottenne, il 15 maggio 1522, l'autorizzazione a ricevere in commenda, per cessione del fratello Agostino, l'abbazia di S. Stefano di Vercelli, poi trasmessa nel 1527 al nipote Pier Francesco, nonché il riconoscimento del diritto di regresso al vescovado di Vercelli, qualora fosse divenuto vacante. Alla morte di Adriano VI il F. prese parte al conclave che, il 19 nov. 1523, portò alll'elezione di Clemente VII.
Da quest'ultimo, grazie al diretto intervento della duchessa Beatrice di Portogallo, ottenne, ancora in commenda, dapprima l'abbazia di S. Michele della Chiusa (1524) e quindi quella di S. Benigno di Fruttuaria (1525), entrambe appartenenti all'Ordine benedettino ed immediatamente dipendenti dalla S. Sede; mantenne l'amministrazione della prima sino al 1535, cedendola poi al nipote Filiberto, mentre conservò quella della seconda sino al 1534, trasferendola quindi al fratello Agostino. In qualità di abate di S. Benigno si avvalse della prerogativa, connessa con la dignità abbaziale, di battere moneta e fece coniare nella zecca di Montanaro quattro diversi tipi di monete, di cui una recante sul recto l'immagine di s. Benigno martire e sul verso la propria effige.
Nominato vescovo di Albano il 12 dic. 1533, il 5 sett. 1534 il F. fu creato vescovo di Palestrina. Sempre nel 1534 prese parte al conclave indetto nell'ottobre, dopo la morte di Clemente VII, ed ebbe un ruolo non secondario nel favorire l'elezione di Paolo III, da cui fu designato, il 26 febbr. 1535, al vescovado di Sabina (il 28 nov. 1537 passerà a quello di Porto e S. Rufina).
Morto nel 1536 il fratello Agostino, il F. riassunse il vescovado di Vercelli, che tuttavia, il 12 dicembre dello stesso anno, cedette al nipote Pier Francesco, riservandosi peraltro l'amministrazione, il diritto di regresso in caso di premorienza e parte dei redditi, che mantenne sino al 1539. Riebbe pure l'abbazia di S. Stefano d'Ivrea, poi trasferita, il 28 ott. 1537, al nipote Filiberto. Da quest'ultimo, che il pontefice aveva nominato vicelegato per la Gallia Cispadana e governatore di Piacenza, riebbe il vescovado d'Ivrea.
Ancora nel 1536 rinunciò all'abbazia di S. Stefano di Vercelli, ottenendone la soppressione, a motivo della scarsa osservanza della regola da parte dei benedettini ai quali era affidata, ed il trasferimento dell'edificio monastico e dei relativi beni ad un collegio di quattordici canonici lateranensi da lui stesso fondato.
In occasione della convocazione a Vicenza, poi rimasta senza esito, del concilio ecumenico, voluto da Paolo III per arginare la diffusione della Riforma luterana, il F. fu designato, nel 1539, in sostituzione del defunto Lorenzo Campeggi, quale legato presso il concilio stesso unitamente ai cardinali G. Simonetta e G. Aleandro. Sospesa con bolla del 15 apr. 1539, la riunione dell'assemblea conciliare venne nuovamente indetta, benché ancora senza esito, con bolla del 22 maggio 1542, per il 1ºnovembre successivo; il F. era ancora una volta compreso nel novero dei quattro legati pontifici. Frattanto egli era stato creato, con provvedimento del 12 dic. 1539, legato a latere in Romagna. Il 10 genn. 1540 fece il suo ingresso in Bologna, preceduto, pochi giorni prima, dal nipote Pier Francesco, per il quale aveva voluto la carica di vicelegato.
Quale traccia tangibile della sua legazione rimase, in Bologna, il collegio Ferrero, detto della Viola dal quartiere omonimo in cui sorse, fondato e ampiamente dotato dal F. allo scopo di ospitare e mantenere agli studi universitari, sino al conseguimento del dottorato, dodici giovani piemontesi privi di mezzi.
Morì a Roma il 2 genn. 1543, dopo aver testato il 31 dicembre precedente, e fu sepolto nella chiesa della Ss. Trinità sul Pincio. La sua salma venne quindi trasferita, nel 1551, nella tomba di famiglia, posta sotto il presbiterio di S. Sebastiano di Biella, la chiesa che suo padre aveva voluto per celebrare la gloria dei Ferrero ed alla cui edificazione lo stesso F. aveva cooperato.
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