CAETANI, Bonifacio
Figlio primogenito di Benedetto (III), conte palatino e pronipote di Bonifacio VIII, nacque probabilmente intorno al 1290. Sua madre era quasi certamente Francesca Orsini, prima moglie di Benedetto. Sotto il papa Clemente V il C. si distinse come difensore delle proprietà familiari in Campagna, che erano in quel periodo continuamente sottoposte agli attacchi dei Colonna. A lui dovette spettare in particolare la difesa di Anagni, che era stata il centro della signoria dei Caetani in Campagna, durante il pontificato di Bonifacio VIII. Il C. fu podestà di Anagni nel 1315: si fece rappresentare da un vicario, un certo Giovanni Lombardi di Roma. L'anno successivo fu podestà per sei mesi a Todi (anch'esso in precedenza uno dei centri di influenza dei Caetani); anche qui fu rappresentato da un vicario romano, un nobile di nome Matteo "Riccardi". Intorno al 1320 sposò Maria de' Conti, della stessa famiglia della sua matrigna Luigia de' Conti, della famiglia de' Papa.
Il matrimonio dovette avere lo scopo di pacificare i Caetani con i Conti (de Papa), loro nemici in Campagna. Ma se il matrimonio aveva questo scopo, certamente non lo raggiunse: nell'estate del 1320 i Conti presero parte alla congiura volta a cacciare i Caetani da Anagni. La congiura non ebbe successo: a nome del Comune, il C., nel settembre, condannò, nel palazzo comunale, undici cittadini di Anagni per avervi partecipato: sette erano fuggiti e furono condannati "in absentia".
Alla morte del padre, nel 1327, il C. ereditò, con il titolo di conte palatino, i diritti sul contado aldobrandesco e sulla torre delle Milizie in Roma. Il 24 febbr. 1323 ad Anagni, "in domo ipsius comitis Bonifatii", raggiunse con lo zio Francesco di Pietro (II) Caetani un accordo sulla divisione delle proprietà: otteneva Ninfa, Norma e Sgurgola. Nello stesso periodo conduceva una politica di alleanze familiari: dette in moglie una sorella a un appartenente alla famiglia dei signori di Ceccano e una figlia a uno della famiglia dei signori di Supino. Egli aveva tre figli - dei quali almeno uno (Nicola), e forse anche un altro, divenne chierico - e due figlie legittime e una illegittima, di nome Tomasicchia.
Al pari degli altri Caetani venne attirato nella sfera di influenza degli Angioini. Nel maggio del 1326 Roberto d'Angiò lo convocò, con altri della sua famiglia e altri signori di Roma e della Campagna, a Napoli perché si mettesse sotto il comando di Gualtieri di Brienne, duca di Atene, e movesse verso la Toscana per combattervi Ludovico il Bavaro: non sappiamo se questo raduno ebbe luogo. Inoltre era tra i Caetani presi in considerazione nel progetto di pacificazione tra questa famiglia e i Colonna predisposto nel marzo del 1327 da Roberto d'Angiò.
Il 20 maggio 1328, in procinto di unirsi alle forze angioine per muovere contro Ludovico il Bavaro, fece testamento nella rocca di Sgurgola.
Il testamento fornisce le notizie più dettagliate circa le proprietà feudali del C., circa la sua partecipazione alle lotte baronali della Campagna e circa i suoi scopi. In esso si fa riferimento alla conquista (probabilmente recente) di Sezze, che il C. aveva tolto a Giovanni da Ceccano e al bottino fatto a Ferentino. Il C. lasciava alla moglie la casa di Anagni "in domibus suis" (espressione che sembra suggerire un complesso di edifici) e l'usufrutto di tutte le sue proprietà. Designava Roberto d'Angiò e il figlio di questo, il duca di Calabria, come protettori dei suoi giovani figli. La Chiesa era destinataria di numerosi lasciti: tutti i suoi diritti a Montelongo dovevano passare al vescovato di Anagni, mille fiorini erano destinati "pro male ablatis" e 200 fiorini dovevano andare al monastero di S. Angelo presso Ninfa; il vescovo e un canonico di Anagni erano nominati tra gli esecutori testamentari.
Alla fine del 1328 Giovanni XXII chiese al C. di prestare l'omaggio feudale da lui dovuto alla Chiesa per il suo feudo di Ninfa e gli ordinò di assolvere al suo obbligo presso il rettore pontificio della Campagna e Marittima, dato che il papa non poteva ricevere di persona il giuramento. Il C. doveva essere ancora in vita il 20 maggio 1329, ma era certamente morto il 25 maggio 1329, data di un documento nel quale si parla di Maria come sua vedova ed esecutrice testamentaria.
Fonti e Bibl.: Jean XXII, Lettres communes, a cura di G. Mollat-G. de Lesquen, Paris 1904-1947, nn. 24517, 43338, 46518; Regesta chartarum, a cura di G. Caetani, II, San Casciano Val di Pesa 1927, pp. 27-29, 31 s., 36-38, 40 s., 47, 52 s., 59-63, 77 s.; G. Caetani, Varia. Regesto delle carte più antiche…, Cittàdel Vaticano 1936, p. 26; Id., DomusCaietana, I, 1, San Casciano Val di Pesa 1927, pp. 43-45; Id., Caietanorum geneal., Perugia 1920, tav. B-XL; G. Falco, I Comunidella Campagna e della Marittima nel Medio Evo, in Arch. d. R. Soc. romana di storia patria, XLIX (1926), pp. 157 s.