BONCOMPAGNI LUDOVISI, Gaetano, duca di Sora, principe di Piombino
Nacque ad Isola di Sora (Isola Liri) il 21 ag. 1706, da Antonio e da Maria Eleonora Boncompagni. Sposò nel 1726 Laura di Augusto Chigi (1707-1792), dalla quale ebbe nove figli: Maria Teresa Marianna, che fu dama di corte di Maria Carolina d'Austria, moglie di Ferdinando IV, Maddalena, Antonio, che gli successe nei titoli e nei feudi, Giacomo, Francesco, Ignazio, che fu cardinale, Eleonora e Ippolita, che sposò Abondio Rezzonico, nipote di Clemente XIII. Alla morte del padre, nel 1731, Clemente XII nominò il B. senatore di Bologna, carica tradizionale nella famiglia Boncompagni. Dichiarato sostenitore delle pretese spagnole su Napoli, così come lo era stato suo padre, quando Carlo di Borbone, nel 1734, conquistò il Regno, il B., che alla protezione della corte di Spagna, guadagnata con la lunga fedeltà della sua famiglia, aggiungeva il prestigio di un antico nome e una dotazione feudale tra le più cospicue, doveva naturalmente emergere come uno dei personaggi di maggior rilievo del nuovo regno. Perciò, quando Carlo di Borbone fece il suo ingresso ufficiale in Napoli, il B. fu designato, insieme col principe di Centola e in rappresentanza della nobiltà regnicola, a presentare al sovrano le chiavi della città. Nello stesso anno fu nominato maresciallo di campo e vicario generale della provincia d'Abruzzo, ma fu presto sostituito in quest'ultima carica dal principe di San Buono, poiché Carlo di Borbone, di cui il B. era gentiluomo di camera, preferì averlo presso di sé. L'anno successivo il B. fu prescelto come ambasciatore alla corte di Spagna, la prima alla quale il nuovo monarca mandasse un proprio rappresentante.
Il suo viaggio a Madrid, iniziato il 18 genn. 1735 e concluso il 2 settembre successivo, costò al Regno l'elevatissima cifra di 18.000 ducati, che testimonia il tono sfarzoso che si era voluto attribuire alla missione del B.: a questo poi fu assegnato uno stipendio di 1.500 ducati mensili. Date le cordialissime relazioni tra le due corti e la stretta subordinazione politica e diplomatica di quella di Napoli a quella di Madrid in quegli anni, la missione del B. presso Filippo V non ebbe alcun particolare significato, oltre a quello di un omaggio di Carlo di Borbone ai propri genitori; le istruzioni mandate dal Santisteban al B. l'8 giugno 1735 erano infatti molto chiare in proposito, riducendosi "a prevenirle y encomendarle unicamente que toda su aplicacion, su cuidado, su estudio non debe tener otro objeto que el de... saber y a un adivinarsi fuere posible la Real voluntad de Sus Majestades para no hacer otra cosa que lo que gustaren" (Schipa, I, p. 132). Il B. seppe comunque profittare del suo soggiorno a Madrid per stringere importanti relazioni con la corte spagnola e in particolare con Filippo V, relazioni che lo sostennero nei successivi contrasti con la corte napoletana.
Insignito del Toson d'Oro nel 1736, il B. concluse la sua missione il 20 ottobre dell'anno successivo, facendo ritorno a Napoli. Qui, in vista delle nozze di Carlo di Borbone con Maria Amalia di Sassonia, fu nominato nel 1748 maggiordomo maggiore della regina, con l'incarico di riceverla al suo arrivo in Italia e accompagnarla alla corte napoletana. Anche di questi primi contatti con la giovane regina il B. seppe giovarsi per aumentare la propria influenza alla corte, inducendo la tredicenne Maria Amalia a un atteggiamento di ostilità verso il conte di Santisteban, maggiordomo maggiore di Carlo di Borbone e vero responsabile della politica napoletana, contro il quale il B. si era fatto capo di un vero partito di corte. Nell'agosto successivo le sue manovre contro il Santisteban arrivarono alla conclusione: secondo una diceria della corte napoletana lo stesso B. avrebbe dettato alla regina la lettera con cui ella chiedeva ai sovrani di Spagna il richiamo del Santisteban; quest'ultimo, avvertito della cosa preferì presentare le dimissioni dalla carica e partire per la Spagna il 23 dello stesso mese. La congiura capeggiata dal B. contro il Santisteban, apparsa ai contemporanei come una reazione all'atteggiamento, altezzoso e arrogante dello Spagnolo, fu piuttosto un episodio della lotta della grande feudalità del Regno, di cui il B. era uno degli esponenti più cospicui, contro il potere centrale: in effetti l'atteggiamento del B. non fu diverso nei riguardi dei successori del Santisteban, il Montealegre, il Fogliani, il Tanucci, e nei riguardi dello stesso Carlo di Borbone, che finì per considerare il B. come un nemico personale. Alla partenza del Santisteban, il B., che nel luglio precedente era stato nominato cavaliere dell'Ordine di S. Gennaro, recentemente creato, ottenne la carica di maggiordomo maggiore. Il 22 maggio 1739 Filippo V istituì il titolo di grande di Spagna sul feudo di Sora, in favore del B. e dei suoi discendenti.
Nell'agosto 1742, durante la guerra per la successione d'Austria, presentatasi nel golfo di Napoli una squadra inglese, per costringere il governo napoletano, sotto la minaccia di bombardare la città, a una umiliante conferma scritta della sua neutralità, il B. partecipò alle drammatiche discussioni conseguenti all'"affronto" inglese. Contro il parere del Montealegre egli sostenne che l'onore del re richiedeva di respingere l'ingiunzione e propose che, chiuso il re in Castelnuovo, si rispondesse a oltranza al fuoco delle navi inglesi. Prevalse però, specialmente per il timore che il bombardamento provocasse una rivolta della plebe napoletana, il parere più moderato e Carlo di Borbone firmò il mortificante documento. Quando poi, nel marzo 1744, il re partì in campagna contro gli Austriaci, il B. ebbe incarico di accompagnare la regina a Gaeta, dove si trattenne sino al ritorno di Carlo dal vittorioso scontro di Velletri.
Due anni dopo un nuovo intrigo di corte capeggiato dal B. produceva la caduta del Montealegre: l'influenza del B. alla corte diveniva sempre maggiore, ma aumentava anche contro di lui l'ostilità dei ministri di Carlo di Borbone. La fiducia di quest'ultimo nei suoi riguardi era andata del resto progressivamente diminuendo per l'atteggiamento del B. durante le trattative del concordato con Roma: legato da interessi familiari con vari personaggi della Curia, ma soprattutto uomo di sentimenti religiosi intransigenti - "bigotto" lo definiva il Tanucci - egli si oppose quanto poté agli indirizzi giurisdizionalisti del governo napoletano, giungendo sino a ricorrere in Spagna contro le decisioni prese dai ministri di Carlo e approvate dallo stesso re. Di qui il risentimento del sovrano contro il B., che si accentuò sino alla rottura definitiva quando, asceso al trono di Spagna Ferdinando VI nel 1746, il B. si recò a Madrid per giurare nelle mani di lui, considerandosi vassallo spagnolo per il suo principato di Piombino. Ne sorse una lunga contesa tra i ministri napoletani, la corte di Spagna e il B. per stabilire se sul feudo di Piombino dovesse esercitarsi la sovranità spagnola o quella del Regno delle Sicilie; questa contesa fu infine risolta nel 1759 quando Carlo di Borbone, salito sul trono di Spagna, fece, in odio al B., una formale rinunzia all'alto dominio sull'isola d'Elba e su Piombino in favore del Regno di Napoli.
Dopo il suo ritorno dalla Spagna, nell'ottobre 1747, il B. sottolineò la sua rottura con la corte napoletana dimettendosi dalla carica di maggiordomo maggiore "per attendere personalmente ai gravi interessi della sua casa". Si ritirò quindi a Roma, dove negli anni successivi non si stancò di prendere apertamente posizione contro la politica ecclesiastica delle Sicilie e della Spagna, sicché il Tanucci poteva scrivere all'Azara il 4 sett. 1767: "Il duca di Sora che entra nei consigli contro la dignità del re è manifestamente reo di fellonia, la quale è in lui la seconda" (Archivo general de Simancas, Estado, l. 227, f. 140).
In effetti il B. divenne insieme col cardinale Torrigiani l'anima della resistenza della corte romana contro la politica antigesuitica delle due corti borboniche e, quando i gesuiti furono espulsi dalla Spagna, sostenne in una riunione in Roma nell'aprile del 1767 col padre Ricci, generale della Compagnia di Gesù, e con i cardinali Torrigiani, Castelli, Giacomelli e Antonelli, la necessità di opporsi allo sbarco degli espulsi nello Stato della Chiesa, come protesta contro l'espulsione.
I sentimenti religiosi del B. si espressero anche in una serie di iniziative devote: fece costruire in Roma la cappella di S. Giuseppe nella chiesa di S. Maria a Colonna Traiana, ordinò la ricostruzione della chiesa arcipretale di S. Lorenzo a Sora, del palazzo vescovile e del seminario di Roccasecca, del convento dei cappuccini ad Arpino; in quest'ultima città assegnò anche una dote al convento dei domenicani; nel suo feudo di Dragone, presso Arce, istituì un vicariato. Fece anche restaurare i palazzi della sua famiglia a Piombino e a Sora e chiamò nei suoi feudi dodici famiglie olandesi, perché vi incrementassero la produzione della lana e dei panni. Morì a Roma il 24 maggio del 1777.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza del B. con la corte di Spagna e altri documenti a lui relativi sono custoditi nell'Archivo general de Simancas: cfr. i regesti in R. Magdaleno Redondo, Secreteria de Estado. Reino de las Dos Sicilias. Siglo XVIII, Valladolid 1956, ad Indicem; gli estratti di alcune lettere di B. Tanucci al B. in G. De Caro, Le carte Tanucci nell'Archivo general de Simancas, in Ann. della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'Univ. di Roma, II (1963), passim; G. B. Vico, Versi d'occasione e scritti di scuola, a cura di F. Nicolini, Bari 1941, pp. 79, 80, 144; V. Forcella, Iscrizioni delle Chiese e d'altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai giorni nostri, IX, Roma 1877, p. 238; M. Danvila y Collado, Historia general de España. Reinado de CarlosIII, Madrid 1891, I, passim; III, pp. 68, 99, 109, 240; L. Cappelletti, Storia della città eS tato di Piombino dalle origini sino all'anno 1814, Livorno 1897, pp. 382 s., 386 s.; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli 1923, I, passim; II, pp. 3, 18, 163, 183; L. Viviani della Robbia, B. Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze 1942, ad Indices; F. Nicolini, Uomini di spada, di chiesa, di toga, di studio ai tempi di Giambattista Vico, Milano 1942, pp. 58, 77-78; P. Litta, Le famiglie cel. italiane, s.v. Boncompagni di Bologna, tav. III.