ZECCHINI, Bonaventura Lorenzo
ZECCHINI, Bonaventura Lorenzo. – Nacque a Bologna nel 1769, figlio di Petronio Ignazio e di Marianna di Wattingen. Il padre, docente di anatomia teorica all’Accademia delle scienze di Bologna e dal 1772 docente di medicina allo Studio di Ferrara, morì improvvisamente nel 1793, lasciando la famiglia, che viveva del suo stipendio, senza mezzi. Bonaventura, che si era laureato in ambedue le leggi nel 1787 e aveva proseguito gli studi puntando a una carriera universitaria, si vide costretto, come lui stesso scriveva, «ad interrompere gli studi, ed a mendicare un pronto mezzo di sussistenza» (Milano, Museo del Risorgimento, Archivio Costabili Containi, cart. 1, lettera a Giambattista Costabili Containi, 3 luglio 1803). Entrò dunque nella cancelleria del Senato bolognese come secondo aiutante. Con il passaggio alla Repubblica Cisalpina, nel 1797, Zecchini ottenne la carica di prosegretario dell’Amministrazione centrale del Reno, dipartimento con capitale Bologna. Era questo l’organo politico collegiale cui era demandato il governo del dipartimento, per cui si trattava di una carica che poneva Zecchini al centro dei conflitti di una stagione politica del tutto nuova. Ricordava che «tutte le più affollate, e malagevoli cure gravitarono sopra di me, e la mia salute cessò di essere robusta» (ibid.). Questa carica si accompagnava ovviamente a una parallela adesione politica alle idee democratiche, ancorché senza mai assumere posizioni radicali.
Nel gennaio del 1799 tornò ad avere ruolo anche nell’insegnamento, eletto dalla stessa Amministrazione centrale a professore di umane lettere nell’Archiginnasio bolognese, passando successivamente, nel novembre 1800, alla cattedra di analisi delle idee. In mezzo, durante l’occupazione austriaca a Bologna da luglio 1799 a giugno 1800, controllato dalle autorità imperiali, si vide «disputato l’alimento», riuscendo solo immediatamente prima del ritorno dei francesi a essere «incaricato di varie isolate, e momentanee incombenze» (ibid.).
Durante la seconda Cisalpina fu segretario generale dell’Amministrazione dipartimentale provvisoria. A suo dire, denunciò ripetutamente le «molte insidie tese al nazionale interesse», scrivendone al Comitato di governo «con vigore, e con risentimento», con il risultato che il Comitato «se ne sdegnò» (ibid.). Resta tuttavia che in quella confusa fase politica, segnata da prevaricazioni e bassi interessi coperti da adesione politica, si trovò coinvolto nella destituzione della stessa Amministrazione, il 3 novembre 1800, per essersi questa rifiutata di mettere in esecuzione tre leggi promulgate dal governo. Il ministro di polizia Antonio Smancini scriveva al commissario organizzatore Luigi Oliva che «quelli però, che tra i membri suddetti [dell’Amministrazione dipartimentale] si sono resi più sospetti al governo, e temibili per la versatilità del loro carattere sempre equivoco ed inquieto, sono i cittadini Gamberini e Zecchini» (Archivio di Stato di Milano, Vicepresidenza Melzi, cart. 46, 3 piovoso a. IX). Con la destituzione dell’Amministrazione dipartimentale Zecchini, che tramite questa aveva ottenuto, da parte dell’Università di Bologna, la designazione a deputato per i Comizi nazionali convocati a Lione, vide la nomina annullata. Inibito a occupare cariche pubbliche nazionali, sarebbe stato a breve riabilitato, ma dovette in quella fase accontentarsi della carica di segretario della Municipalità di Bologna.
Zecchini era vicino ad Antonio Aldini, uomo forte tra i democratici bolognesi, che con l’attivazione nel 1802 della Repubblica italiana si sarebbe posto come avversario politico del vicepresidente Francesco Melzi d’Eril e come paladino del fronte bolognese nella disputa con Milano per l’affermazione della leadership cittadina nel nuovo Stato. Fu appunto Aldini a scrivere a Zecchini che «nessuno è persuaso più di me de’ torti, che vi sono stati fatti, e nessuno forse ha maggior brama di ripararli» (Forlì, Biblioteca civica, Autografi Piancastelli XIX secolo, b. 2, lettera del 14 febbraio 1802), per questo proponendosi di sollecitare il nuovo governo italiano, alle prese con la prima organizzazione degli apparati amministrativi, perché lo tenesse in considerazione per un impiego.
Melzi decise di nominarlo segretario generale della prefettura del Reno, con decreto dell’11 maggio, e lo fece soprattutto nell’intento di mitigare, con la scelta di un bolognese di sentimenti democratici, la tensione che si era creata nella città a fronte della condotta poco conciliante verso l’ambiente politico bolognese da parte del commissario straordinario Antonio Cossoni, colui cui era stata demandata l’organizzazione amministrativa del dipartimento del Reno. Ma il nuovo prefetto, Alessandro Carlotti, entrato in carica solo due giorni prima della nomina del segretario generale, chiese con veemenza la rimozione di Zecchini, «il quale oltre le macchie pubbliche contratte ha fomentato i disordini della cessata Amministrazione dipartimentale» (Archivio di Stato di Milano, Vicepresidenza Melzi, cart. 46, lettera di Carlotti del 18 maggio 1802). Così Zecchini, a pochi giorni dalla nomina, si trovò improvvisamente, e senza spiegazioni, destinato ad altro incarico, viceprefetto a Cento, sempre nel dipartimento del Reno (25 maggio).
Neanche questa sarebbe però stata una destinazione fortunata. Zecchini scriveva di «nullità del paese», di «tenuità dell’impegni», di «insalubrità dell’aria», ma nello stesso tempo la promessa che «Aldini non ha ricusato di perorare per me» gli consentiva «di sperare in un cambiamento» (lettera a G. Costabili Containi cit.). Per un momento sembrò che dovesse rientrare a Bologna come segretario generale di quella prefettura, ma il nuovo prefetto del Reno, Teodoro Somenzari, suo diretto superiore, lo convocò confidenzialmente per comunicargli che la viceprefettura di Cento era prossima a essere soppressa (cosa che sarebbe avvenuta il 27 agosto 1802), esortandolo ad accettare una cattedra nell’Università di Bologna. Zecchini si appellò di nuovo ad Aldini contro questa ipotesi, perché «una cattedra non offre, che l’emolumento di tre mila lire di Milano, colle quali non potrei per verun modo sostenere me stesso e la famiglia» (Forlì, Biblioteca civica, Autografi Piancastelli XIX secolo, b. 209, lettera del 26 giugno 1803). Si prospettò il passaggio alla viceprefettura di Rimini, accettato da Zecchini ma anch’esso destinato a non andare in porto, e immediatamente dopo, a fine luglio 1803, quello alla viceprefettura di Ravenna, sede ove avrebbe preso servizio il 19 agosto. Anche qui, e non per sua responsabilità, restò per poco: il 27 marzo 1804 cessarono infatti di esistere tutte le viceprefetture, con le sole eccezioni delle sedi di Sondrio e di Massa.
Zecchini, oltre a essere sostenuto nell’ambiente bolognese, era persona di alto profilo culturale e ormai sperimentato funzionario: logico, dunque, che non restasse disoccupato. Nella stessa giornata del 27 marzo un decreto lo nominò, ancora una volta, al posto di segretario generale nella prefettura del Reno, ove finalmente prese servizio il successivo 3 maggio.
Con il passaggio nel 1805 al Regno d’Italia, Aldini, divenuto con la carica di segretario di Stato a Parigi il più influente italiano del Regno, non tralasciò certo un amministratore di sicura capacità quale Zecchini. Nel 1808 il suo nome cominciò a circolare tra i possibili candidati alla nomina a prefetto. Francesco Mosca, prefetto del dipartimento del Reno, dunque il suo diretto superiore, relazionava nel 1808 di suoi «decisi meriti [che] non sono ignoti alla Superiorità» (Archivio di Stato di Milano, Studi, p.m., cart. 1174, rapporto del 20 novembre 1808). Così il 12 aprile 1809 fu nominato prefetto del dipartimento del Brenta (Padova), ove prese servizio il 14 maggio. Sede dalla quale sarebbe stato trasferito, il 13 aprile 1812, alla prefettura del Crostolo (Reggio Emilia), ove prese servizio il 19 maggio: passaggio, questo, che non si configurava certo come una progressione di carriera, essendo la prefettura del Crostolo di classe inferiore a quella del Brenta.
La capacità professionale di Zecchini non appare mai messa in discussione. Non così la correttezza. Un’informativa austriaca del 1824, di pochi mesi precedente la sua morte, lo definiva facilmente corruttibile, accusandolo, per gli anni a Padova, di avere ricevuto doni dagli appaltatori di opere pubbliche, tant’è che il trasferimento alla prefettura meno importante di Reggio sarebbe stata misura sostitutiva della destituzione, non comminata dal governo grazie, ancora una volta, alla protezione di Aldini (Vienna, Österraichisches Staatsarchiv, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Vertrauliche Akten, cart. 56, informativa su funzionari veneti, 12 luglio 1824). Chiaramente la cattiva nomea era anche spiacevole eredità delle non chiare vicende che avevano condotto alla sua inibizione alle cariche pubbliche durante la seconda Cisalpina. Eppure un personaggio che lo conosceva bene, avendo condiviso le vicende della Bologna democratica, quale Giuseppe Valeriani, lo definiva «integro amministratore repubblicano» e «irreprensibile funzionario regio nella qualità di prefetto» (Coraccini, 1823, p. CXXXIV).
All’arrivo dei primi contingenti austriaci nel dipartimento del Crostolo, Zecchini obbedì agli ordini del governo, che imponeva ai prefetti di ritirarsi, per cui giunse il 10 marzo 1814 a Milano. Con la caduta del Regno italico chiese al governo provvisorio, nel maggio 1814, di raggiungere la famiglia a Bologna, e qui ottenne dal governo provvisorio austriaco alcuni incarichi: nel marzo 1815 firmava quale primo consigliere facente funzioni di segretario della Commissione governativa d’Austria. Sempre nel 1815 cooperò con Gioacchino Murat, che dopo il proclama di Rimini aveva occupato la città, creando immediatamente i principali apparati di governo dipartimentali. Ma il ritorno delle Legazioni sotto controllo pontificio, nel giugno-luglio 1815, aveva rappresentato per Zecchini, ex napoleonico ed ex murattiano, la fine di ogni speranza di carriera negli uffici in patria. Già Aldini si era battuto, a Vienna, affinché le Legazioni fossero accorpate all’erigendo Lombardo-Veneto austriaco. Zecchini di necessità seguì la pista austriaca.
La svolta, per lui, si era resa possibile a seguito del legame costruito con il generale austriaco barone Paul von Lederer durante il governo provvisorio del 1814. Grazie alla sua raccomandazione ottenne infatti la carica di regio cancelliere del censo nel distretto di Schio e di relatore alla congregazione provinciale di Vicenza. Durante la carica compilò e pubblicò la Statistica per il distretto di Schio per l’anno 1816. Ebbe quindi la promozione a vice delegato in Udine, carica nella quale si trovò a essere secondo del delegato Carlo Giusto di Torresani, del quale conquistò, con le sue indubbie capacità, la piena stima. Ammalatosi, morì a Udine il 24 ottobre 1824.
Il passaggio di Zecchini in pianta stabile nell’amministrazione del Lombardo-Veneto non aveva potuto, ovviamente, avere luogo senza che venisse messo sotto esame il suo passato politico. Si ebbe pertanto, da parte sua, una completa ritrattazione dei trascorsi democratici e napoleonici. Essendo massone, come del resto quasi tutti gli amministratori napoleonici, per marcare la sua completa svolta giunse al punto di stipulare l’abiura con atto notarile. Nello stesso tempo prese a mostrarsi fervente cattolico (informativa su funzionari veneti, 12 luglio 1824, cit.). L’elogio funebre che Marco Foscolo, aggiunto di delegazione, scrisse per Zecchini, con dedica a Torresani, era costruito in modo da enfatizzare, anche per quanto concerneva gli anni rivoluzionari, una sua posizione ideologica contraria alla «incredibile o sciocchezza, o tristizia di quella età» (Foscolo, 1824, p. 11).
Sposò Gertrude Brentazzoli, dalla quale ebbe un unico figlio, Ulisse. Alla morte del padre fu Torresani, direttore generale della polizia dal 1822, a volere il giovane con sé a Milano, ove divenne commissario di polizia. È lui il commissario Ulisse Zecchini dei gialli storici di Paolo Saino.
Opere. Scrisse la Statistica del distretto di Schio per l’anno 1816, Schio 1817. Furono pubblicati alcuni suoi discorsi d’occasione: Prima lezione recitata nelle pubbliche scuole dipartimentali del Reno li 1 piovoso a. 7 repubblicano dal cittadino dottor Bonaventura Lorenzo Zecchini pubb. Professore di eloquenza, Bologna [1799]; Allocuzione nell’inaugurazione del quadro rappresentante Napoleone il Grande nel tempio della Vittoria nella sala del Comune di Padova, sl, sd; Celebrandosi dal Comune di Padova le vittorie germaniche di Napoleone il Grande, Sonetto, Padova 1809.
Fonti e Bibl.: Notizie in Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 673; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Biografie di F. Tognetti (biografia di 15 cc., che non ho avuto modo di consultare). Lettere di Zecchini in Forlì, Biblioteca civica, Autografi Piancastelli XIX secolo, b. 209.
Profili biografici in T. Casini, Di alcuni cooperatori italiani di Napoleone I, in Id., Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, pp. 455-456. F. Coraccini [ma G. Valeriani], Storia dell’amministrazione del Regno d’Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, p. CXXXIV; M. Foscolo, Elogio di B. Z. letto in S. Maria Maddalena di Udine, Udine 1824; [T. Mamiani della Rovere], Scelta d’iscrizioni moderne in lingua italiana, Pesaro 1829, p. 18; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi, e moderni della famosa Università, e del celebre Istituto delle scienze di Bologna..., Bologna 1848, p. 330. Notizie sull’attività: L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna 1983, pp. 117-119, 387-388; V. Dal Cin, Il mondo nuovo. L’élite veneta fra rivoluzione e restaurazione (1797-1815), Venezia 2019, pp. 288-290 (sull’attività quale prefetto a Padova).