STRINGHER, Bonaldo
– Nacque il 18 dicembre 1854 a Udine, ancora austro-ungarica, dove il nonno, Giovanni Battista, si era trasferito attorno al 1840 da Conegliano Veneto, svolgendovi attività in campo mercantile. Ebbe cinque figli, tre dei quali, Marco (il padre di Bonaldo), Luigi e Pietro, frequentarono una scuola pubblica. In famiglia i sentimenti antiaustriaci trovarono un terreno fertile, tanto che Marco, nel 1848, partecipò alle iniziative per la difesa di Venezia. Avviata in città un’attività come libraio (più tardi si sarebbe trasformato in ‘agente commerciale’), si sposò il 1° aprile 1854 a Treviso con Giovanna Trevisan (più giovane di quattro anni), proveniente da una famiglia della locale borghesia. Poco più di otto mesi dopo venne al mondo Bonaldo.
Dopo le scuole elementari, dove ottenne risultati lusinghieri, Bonaldo proseguì la sua formazione all’istituto tecnico, aperto all’indomani dell’annessione all’Italia. Completati gli studi superiori, nel 1871 si iscrisse alla Regia scuola superiore di commercio di Venezia, già all’epoca nota come Ca’ Foscari. Chi terminava questi studi aveva la prospettiva di una mansione impiegatizia, a meno di non avere alle spalle risorse di origine familiare. Nel suo caso, invece, furono i contatti con alcuni docenti che gli aprirono strade altrimenti impraticabili. Fu notato da Luigi Bodio, economista e statistico di primaria grandezza nell’Italia postunitaria. Terminati gli studi nel 1874, nel gennaio del 1875 venne chiamato a Roma e nominato ufficiale straordinario di statistica presso gli uffici del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio di via della Stamperia; il suo stipendio annuo iniziale era di 1500 lire.
Bodio, che dal 1872 dirigeva l’Ufficio reale di statistica – «amico e maestro», un «animo generoso [...] che non conosceva l’invidia», lo definì Stringher in una commemorazione ufficiale (In memoria di Bodio, 1920, p. 340) – instillò nel suo nuovo collaboratore una predilezione per il lavoro di gruppo. Sotto la guida di Bodio, Stringher e gli altri lavorarono alla preparazione degli Annali di statistica e dei fascicoli dell’Archivio di statistica, strumenti indispensabili rivolti alle classi dirigenti e ai decisori politici dell’epoca per la comprensione delle principali dinamiche economico-sociali della società italiana. Questa palestra professionale e intellettuale – nella quale anche altre personalità, come Luigi Luzzatti o Fedele Lampertico, ebbero per Stringher il ruolo di ‘maestri’, come egli stesso riconobbe in occasioni ufficiali, come le commemorazioni in mortem – affinò notevolmente le competenze di Stringher. Ne sono una riprova i lavori che firmò sull’Archivio di statistica, dando prova di avere un’approfondita conoscenza della bibliografia nazionale e internazionale, facendo trasparire tra le righe il suo pensiero, ovvero senza mai far venir meno la precipua funzione informativa che dovevano avere le pubblicazioni ufficiali cui prestava la sua opera. Alla morte di Luzzatti, nel 1927, Stringher confessò di essere stato un suo «discepolo devoto» (Carte Stringher, 3.1015.01, doc. 22-47). Bodio gli affidò compiti diversi, fra cui quello di riunire e sistematizzare tutte le informazioni disponibili sulle emissioni monetarie dei principali Paesi. Fece parte della Commissione per l’abolizione del ‘corso forzoso’ (poi trasformata in Commissione permanente di vigilanza sugli istituti di emissione): prese pubblicamente posizione sulla questione, recensendo un libro di Girolamo Boccardo dedicato a tale argomento. Nel 1881 entrò ancora di più sui temi bancari, affermando in un articolo apparso sugli Annali di statistica che la banca di emissione avrebbe dovuto essere unica (ce n’erano ancora sei in quel momento) e avrebbe dovuto avere «una salda e vigorosa costituzione unitaria, autonomia e indipendenza dall’autorità politica», quasi una dichiarazione a futura memoria. Su designazione di Luzzatti fece parte, in qualità di segretario, della delegazione italiana che partecipò alla conferenza di Parigi del 1881 in cui venne prorogata l’Unione monetaria latina, creata tra Francia, Italia, Belgio e Svizzera nel 1865. In tale ambito si occupò di altri temi cari a Luzzatti, come la legislazione sociale (Stringher, tra l’altro, si pronunciò a favore del diritto di sciopero) e le banche popolari, un impegno che culminò nel 1887 con la pubblicazione di un saggio sulla Zeitschrift für Gesamte Staastwissenschaften.
Nel corso di quello stesso decennio pubblicò un saggio su La questione monetaria in Italia in rapporto all’abolizione del corso forzoso e un volume intitolato Note di statistica e legislazione comparata intorno alla circolazione monetaria nei principali stati, che fu anche l’ultimo intervento su questi temi prima di lasciare gli uffici del ministero. L’unica eccezione importante fu la sua partecipazione attiva alla promozione di una banca mutua tra gli impiegati dei ministeri, intervenendo di persona nel corso della prima assemblea degli azionisti nel 1887 con un discorso in cui sostenne la tesi che la cooperazione rappresentava la base su cui costruire forme di previdenza più avanzate. Diede anche il suo appoggio alla nascita della Banca popolare di Udine, sorta nel gennaio del 1885, sottoscrivendo dieci azioni a nome proprio e altre venti a nome di Carlo Giacomelli, figlio del podestà di Udine nominato da Quintino Sella nel 1866.
Nel 1884 Stringher era stato promosso capo-sezione. Arrivò così il suo trasferimento al ministero delle Finanze, dato che al ministero di Agricoltura Industria e Commercio non era disponibile un posto in organico con tale qualifica. Il suo diretto superiore divenne Vittorio Ellena, allora direttore generale delle Gabelle, uno dei massimi esperti italiani di questioni doganali e tariffarie.
«Fu una gran fortuna» per lui (Bonelli, 1985, p. 50) tenersi lontano dalle questioni monetarie fino ai primi anni Novanta. Rimase pertanto anche estraneo alle polemiche che coinvolsero tutti quelli che si occuparono pubblicamente di questi argomenti.
Nella sua posizione era un attento osservatore a conoscenza di tutti i dettagli, senza essere mai in primo piano nella battaglia economico-finanziaria e monetaria che seguì la fine del corso forzoso e che durò per un decennio circa, coincidendo, nella sua parte finale, con la crisi bancaria e il riordinamento dell’intero settore, che in ultimo portò alla nascita della Banca d’Italia. Stringher venne designato capo del nuovo Ufficio della legislazione e di statistica delle dogane, un incarico che gli consentiva di sfruttare al meglio le conoscenze professionali accumulate con Bodio, aggiungendovene delle nuove sotto la regia di Ellena. In tale veste predispose per il ministro Agostino Magliani la relazione con cui questi propose una serie di sgravi fiscali senza modificare gli equilibri del bilancio statale. Nel 1886 funse da segretario della Commissione d’inchiesta doganale, i cui lavori furono alla base della nuova tariffa protezionistica votata dal Parlamento nel 1887. «Giorni di accanito lavoro [...]. La giornata per un mese intero cominciava alle sei del mattino e spesso non terminava alle otto di sera» – avrebbe commentato in un articolo su L’economista d’Italia (XXV (1892), 30, p. 1) in memoria di Ellena, scomparso poche settimane prima. Più tardi, tra il 1889 e il 1891, lavorò al progetto di riordinamento dei tributi locali.
Nel 1891 sposò Lucia Canali, nobildonna di origini lombarde, figlia del capo di gabinetto del ministero delle Finanze. Dal matrimonio nacquero otto figli: Paolo, Vittorio, Giovanni (che sarebbe stato amministratore delegato del Credito italiano nella seconda metà degli anni Trenta), Gilia, Bonaldino, Francesco, Anna e Diego (che sarebbe stato sindaco della Banca d’Italia). In quello stesso anno fu membro della commissione parlamentare incaricata di esaminare il regime doganale italiano in vista della revisione dei trattati commerciali.
Nel frattempo per Stringher giunse un’importante gratificazione. I lavori pubblicati (compresi quelli anonimi per ragioni di servizio) gli valsero nel 1888 la libera docenza in scienza delle finanze. Avviò un’attività di docente universitario presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma e gli venne affidato il corso di legislazione comparata delle dogane, che tenne fino al 1893-94.
Nel 1893 Stringher passò alla direzione generale del Tesoro. Nella nuova posizione dovette affrontare vicende particolarmente complesse: dallo scandalo della Banca romana alla riforma degli istituti di emissione attraverso la fusione di Banca nazionale nel Regno, Banca nazionale toscana e Banca toscana per l’industria e commercio nella nuova Banca d’Italia, sorta nell’estate del 1893. Per Stringher la legge era «l’atto bancario» con una sorta di anglicismo pieno di understatement, ma anche di ammirazione per la Gran Bretagna. L’operazione giunse al termine di un «periodo laborioso» – scrisse più tardi – «e a volte, assai malagevole per l’amministrazione del Tesoro», ma ciononostante rappresentava «un momento importante nella storia della finanza e in quella dell’economia nazionale» (Il commercio con l’estero, 1894, p. 16). La maestria e l’efficacia, tecnica e politica, dimostrate gli valsero la nomina a direttore generale del Tesoro nel novembre del 1893. Il quinquennio successivo, durante il quale si avvicendarono sette governi e il Paese fu scosso da una grave crisi politico-istituzionale, segnò una fase molto delicata anche per Stringher, conclusasi con la nomina a consigliere di Stato il 28 giugno 1898 (da lui espressamente richiesta al ministro Luzzatti), sigillo alla sua più che ventennale carriera di uomo delle istituzioni, giunto ai vertici partendo da semplice impiegato.
In questa nuova posizione ebbe numerosi incarichi in commissioni di lavoro, alcune ad hoc, altre permanenti: la Commissione centrale per le imposte dirette, quella per studiare i provvedimenti tesi a limitare le spese di comuni e province, quella per l’Esposizione universale di Parigi, quella permanente per il regime economico doganale e i trattati di commercio, quella sulla vigilanza della circolazione, quella per l’esame degli effetti delle convenzioni ferroviarie sull’esercizio delle reti ferroviarie mediterranea, adriatica e sicula e altre ancora.
Nel giugno del 1900 si presentò alle elezioni nel collegio di Gemona-Tarcento. Venne eletto deputato ed entrò al governo come sottosegretario al Tesoro nel gabinetto Saracco, ideale trampolino di lancio per un verosimile successivo incarico ministeriale. Invece, tra novembre e dicembre di quell’anno maturarono all’improvviso le condizioni per un nuovo prestigioso incarico. La scomparsa di Giuseppe Marchiori, direttore generale della Banca d’Italia, gli aprì le porte di palazzo Koch. Il 3 dicembre 1900 assunse quella funzione. Sarebbe stato il più longevo in quell’incarico (sospeso brevemente nel 1919, quando sostituì Francesco Saverio Nitti al Tesoro nel governo Orlando), ricoperto fino al 3 luglio 1928, quando venne nominato governatore della Banca d’Italia, nuova carica istituita per la prima volta nella storia dell’istituto.
La famiglia Stringher andò a vivere negli appartamenti messi a disposizione dalla Banca nel palazzo di via Nazionale. Nel contempo, assicurata una casa più comoda per i genitori, ormai in età avanzata, Stringher poté coronare un progetto a lungo coltivato: l’acquisto di una casa di campagna (con annessa una tenuta agricola con vigneti e cantina) non lontano da Udine, a Martignacco, destinata alla funzione di buen retiro estivo per tutta la famiglia e per i suoi amici. La nuova posizione professionale gli garantiva entrate nettamente superiori rispetto al passato: nel 1900 il suo stipendio era di 40.000 lire lorde annue, oltre a un’indennità di servizio di 10.000 lire. Nel 1908 lo stipendio venne aumentato a 60.000 lire e nel 1917 fu innalzato a 90.000 lire, oltre all’indennità, rimasta sempre la stessa.
I primi impegni come direttore generale riguardarono il completamento di operazioni avviate da Marchiori, in particolare lo smobilizzo di assets immobiliari ereditati dal fallimento della Banca romana, contribuendo non poco a ridefinire il profilo di importanti quartieri centrali e periferici della capitale. L’altra importante questione da risolvere riguardava un aspetto cruciale non solo della maniera di operare ma del modo stesso di essere banca centrale: il rapporto tra gli azionisti storici e lo Stato. Stringher introdusse «un regime di collaborazione e di fiducia» con il governo, informando in tempo i ministri dei problemi riguardanti l’interpretazione di una norma controversa. Sul piano monetario la Banca accompagnò il ritorno dell’Italia nel Gold standard, attuando negli anni successivi una politica classica, come altre banche centrali dell’epoca, ovvero intervenendo sul saggio di sconto medio «in senso opposto alla variazione del rapporto fra riserve e circolazione della Banca» (Gigliobianco, 2006, p. 100), mentre sul versante interno la Banca assistette maggiormente il Tesoro nella gestione del debito pubblico. In particolare, nel 1906 fu fondamentale il supporto per la conversione della rendita italiana dal 4 al 3,5% netto.
I rapporti cordiali con il titolare del Tesoro talvolta favorirono il superamento di qualche problema, ma non furono determinanti nel lungo periodo nella progressiva centralità che assunse già negli anni che precedettero la prima guerra mondiale per un insieme di questioni economiche, non strettamente monetarie o finanziarie. Stringher intervenne in prima persona nella riorganizzazione delle compagnie di navigazione, ma le sue visioni non ottennero il sostegno politico del governo. Con la crisi del 1907-08 e soprattutto con la crisi della siderurgia e dell’industria cotoniera, Stringher diede un sostegno alla stabilizzazione del sistema economico-industriale italiano attraverso il varo di cartelli che contribuirono a rimettere in sesto i due settori, facendo convogliare le risorse finanziarie (sotto forma di risparmi) necessarie per le due operazioni. Nel 1912, nel pieno della sistemazione siderurgica e tessile, sorse l’Istituto nazionale delle assicurazioni (INA), un nuovo strumento per la gestione del risparmio, che lo Stato volle assumere come una propria prerogativa. L’ideatore del progetto era Nitti e il suo diretto rappresentante nell’INA, Alberto Beneduce (futuro presidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale, IRI), era favorevole a un controllo diretto dello Stato su un elemento fondamentale per la costruzione di una versione italiana dello Stato sociale di origine bismarckiana. La posizione statalista di Beneduce venne controbilanciata dalla presidenza dell’INA, assegnata a Stringher, espressamente voluto dal presidente del consiglio Giovanni Giolitti, per avere una maggiore ponderatezza nelle scelte strategiche del nuovo istituto.
Stringher fu attivo anche su questioni di politica economica estera, seguendo molto da vicino i progetti di penetrazione dei Balcani, specialmente quando comportavano importanti investimenti esteri da parte delle banche italiane con il sostegno del governo. Tale fu il caso del progetto di costruzione di una linea ferroviaria tra la Serbia, il Montenegro, la Macedonia e l’Impero ottomano, progetto per il quale ebbe spesso divergenze di valutazioni non secondarie con Giuseppe Volpi (futuro ministro delle Finanze negli anni Venti), rappresentante del gruppo imprenditoriale portatore dell’iniziativa (che univa interessi di capitalisti veneti con quelli della Banca commerciale) e che poteva contare su appoggi nella burocrazia ministeriale oltre che nei vertici governativi (Archivio storico della Banca d’Italia, Rapporti con l’interno, Pratt., b. 289).
Lo scoppio della guerra restituì in un certo senso Stringher al suo impegno maggiore, il controllo della massa monetaria in un momento in cui la corsa agli sportelli rischiava di creare enormi difficoltà alle banche: il suo contributo fu decisivo nella stesura dei decreti governativi, mediando tra interessi economici e politici molto contrastanti. Altrettanto importante fu il suo ruolo al momento della costituzione del Consorzio sovvenzioni su valori industriali per fronteggiare in maniera originale le prime preoccupate richieste di credito da parte delle imprese all’indomani dello scoppio del conflitto. La rilevanza di tale istituto non fu però pari alle attese, anche perché la guerra comportò un’esplosione inflazionistica che dissolse di fatto i problemi iniziali del mondo delle imprese, specie di quelle impegnate nello sforzo bellico.
Come nel caso dell’INA, invece, Stringher dovette cedere alla forza persuasiva del ministro del Tesoro Nitti (entrato nel governo Orlando dopo la sconfitta di Caporetto) quando si trattò di creare l’Istituto nazionale cambi, nel 1917, che dava il monopolio dei cambi allo Stato. Svolse anche importanti missioni a Londra, dove ebbe incontri con il cancelliere dello scacchiere Bonar Law e il suo consigliere John Maynard Keynes.
Rimase sorprendentemente silenzioso, nel 1918, nel corso della prima fase della ‘scalata alle banche’, il tentativo messo in atto dai fratelli Pio e Mario Perrone e dall’Ansaldo di conquistare la guida della Banca commerciale, mentre un parallelo tentativo veniva effettuato dal duo Agnelli-Gualino nei riguardi del Credito italiano.
Il silenzio si spiega forse per l’impegno che invece vi stava mettendo Nitti, palesemente schierato a favore dei Perrone, per evitare forse una nuova sconfitta da parte dell’attivissimo e, in quel momento, potentissimo ministro del Tesoro.
Terminata la guerra, sostituito Nitti come ministro del Tesoro, tra il gennaio e il giugno del 1919, eliminò il monopolio statale della gestione dei cambi, ma dovette anche avviare la delicata fase per l’Italia a seguito della sospensione della collaborazione finanziaria da parte degli Stati Uniti. Tornato in banca (dopo avere rifiutato la carica di senatore, ché gli avrebbe precluso il ritorno a via Nazionale), Stringher fu molto cauto nel manovrare la leva del tasso di interesse in una situazione nella quale le tensioni strutturali dell’economia si sommavano a operazioni speculative. La lira si svalutò di oltre il 60% nel giro di poco più di un anno e solo nel giugno del 1920 decise di aumentare il costo del denaro.
La crisi della Banca italiana di sconto, il crollo dell’Ansaldo e le difficoltà crescenti del Banco di Roma lo catapultarono al centro della scena. Stringher si adoperò per cercare di mantenere un certo equilibrio tra le banche, favorendo una soluzione, con l’intervento della sezione speciale autonoma del Consorzio sovvenzioni su valori industriali, che non modificasse gli assetti bancari. Per quasi quattro anni, usando quello stesso istituto, si trasformò nel padrone dell’Ansaldo, in attesa di individuare un gruppo imprenditoriale capace di risanare e rilanciare l’azienda ligure, traguardo cui si giunse nel 1925 con la sua cessione a un gruppo milanese guidato da Giacinto Motta e da Carlo Feltrinelli.
Nel 1924, in un’ultima disperata operazione di Riccardo Gualino per acquisire una posizione di rilievo negli assetti di comando del Credito italiano, Stringher non rimase passivo come nel 1918-20, appoggiando decisamente la banca e il suo gruppo dirigente.
L’avvento al potere di Benito Mussolini (che inizialmente Stringher sottovalutò, parlando in una lettera all’amico Nicola Miraglia, direttore generale del Banco di Napoli, di una «pseudo-rivoluzione», lettera del 30 aprile 1924, in La Banca d’Italia ..., 1993, p. 460) aprì una nuova fase dei rapporti con lo Stato da parte della Banca. Soprattutto dopo l’avvicendamento tra Alberto De Stefani e Volpi al ministero delle Finanze e la svolta politica di ‘quota 90’ i margini di autonomia della Banca centrale sui temi della politica monetaria si ridussero notevolmente. La sistemazione dei debiti di guerra, guidata con piglio sicuro da Volpi, coadiuvato da Alberto Pirelli e con la Banca in funzione di supporto informativo e operativo, e la successiva manovra di avvicinamento al nuovo tasso di cambio furono due avvenimenti che Stringher poté solo accompagnare. Anzi, l’ascesa di Beneduce, astro nascente nell’interventismo statale in campo finanziario e presidente di due nuovi istituti di credito di diritto pubblico, l’ICIPU (Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità) e il CREDIOP (Consorzio di credito per le opere pubbliche), che avrebbero gestito enormi risorse finanziarie per il settore elettrico e per i lavori pubblici, rappresentava una scelta che andava nella direzione, sempre perseguita da Stringher, di evitare alle banche problemi di liquidità e un peso eccessivo di crediti verso certi settori. Tuttavia essa riproponeva la questione sorta al momento della nascita dell’INA, il controllo pubblico sui risparmi e una decisa accelerazione dell’uso delle obbligazioni come strumenti per finanziare le imprese, una scelta che vedeva alquanto tiepido Stringher. Nel contempo, la vicenda lanciava nel firmamento finanziario del Paese una personalità in grado di svolgere ruoli sempre più delicati e rilevanti. Nel 1925, poco dopo l’arrivo di Volpi al ministero delle Finanze, Josef Toeplitz fece avere al ministro la proposta di eleggere Stringher (che il banchiere milanese con i suoi più stretti collaboratori chiamava il ‘piccolo padre’) nel consiglio d’amministrazione della Commerciale, nominando al suo posto Beneduce.
La proposta era una sorta di onorevole uscita di scena per Stringher, attaccato in quel periodo da alcuni settori del regime, ma anche un modo per ingraziarsi il nuovo ministro, presentandolo come un suo potenziale avversario che era consigliabile togliere di mezzo. Volpi decise di soprassedere.
Stringher restò saldo al suo posto, collaborando lealmente con il nuovo ministro delle Finanze e con Mussolini (verso il quale si dichiarò «molto devoto» e «molto affezionato», Carte Stringher, 401.203, Stringher a Mussolini, 15 agosto 1927) da una parte alla definizione del provvedimento che diede alla Banca d’Italia il monopolio delle emissioni monetarie superando le resistenze di chi fino a quel momento aveva condiviso la funzione (il Banco di Sicilia e il Banco di Napoli), dall’altra alla stesura della legge che attribuiva alla Banca funzioni di vigilanza sull’insieme del sistema bancario. Peraltro Stringher non ne era un grande sostenitore, temendo che i risparmiatori avrebbero allentato la loro vigilanza sugli amministratori delle banche, sapendo che qualcun altro se ne sarebbe occupato. Su altre questioni, come quella relativa agli effetti della variazione degli assetti proprietari a seguito dell’approvazione, nel 1928, del nuovo statuto della Banca, Stringher fu meno flessibile, arrivando a minacciare le proprie dimissioni nel corso di uno scontro molto duro con Volpi. Proprio quel documento avrebbe portato Stringher all’ultimo gradino della sua lunga ascesa come senior civil servant. Stringher venne nominato governatore della Banca d’Italia, lasciando il suo incarico a Vincenzo Azzolini, mentre il fidato Niccolò Introna divenne vicedirettore generale.
Fu socio corrispondente (dal 1897) e socio nazionale (dal 1901) dell’Accademia dei Lincei. Da prima del 1914 era amministratore della Società italiana per il progresso delle scienze e dalla fondazione, nel 1925, era membro dell’organo direttivo del Consiglio nazionale delle ricerche. Nel 1928 ricevette l’onorificenza di cavaliere di Gran croce dal Re d’Italia.
Colpito da nefrite nel febbraio del 1930, a giugno si spostò nella sua casa di campagna di Martignacco. Tornato a Roma, morì il 24 giugno 1930 a seguito di complicazioni cardiache legate alla malattia.
Opere citate. Vittorio Ellena, in L’economista d’Italia, XXV (1892), 30; Il commercio con l’estero e il corso dei cambi, in Nuova Antologia, CXXXVIII (1894), pp. 15-43; In memoria di Bodio. Parole pronunciate alla R. Accademia dei Lincei, nella tornata della classe di scienze morali, storiche e filologiche del 21 novembre 1920, in Rendiconto della Accademia nazionale delle scienze morali, s. 5, XXIX (1920), pp. 339-350; Abhandlung ueber die italienische Arbeitsgeseztgebung, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft, 1987, n. 43, pp. 233-291.
Fonti e Bibl.: Presso l’Archivio storico della Banca d’Italia sono conservate le Carte Stringher, largamente utilizzate da Franco Bonelli nel suo lavoro B. S. 1854-1930, Udine 1985, cui si rimanda per gli approfondimenti biografici; nelle Carte Stringher si trova anche un dattiloscritto di Bonaldino Stringer, Appunti per una biografia di B. S., ottobre 1981; a Venezia, presso l’Archivio storico dell’Università Ca’ Foscari, vi è il volume di votazioni per il conferimento dell’attestato; per lo stipendio percepito come direttore generale della Banca d’Italia, Archivio storico della Banca d‘Italia, Personale, n. 19, p. 180; per la proposta di Toeplitz, Archivio storico Intesa Sanpaolo, Banca Commerciale Italiana, Segreteria Toeplitz, 82, f. 5, lettera di Toeplitz a Volpi, 11 luglio 1925; per la questione ferroviaria nei Balcani, Archivio storico della Banca d’Italia, Rapporti con l’interno, Pratt., b. 289, f. 8; per la nomina a cavaliere di Gran croce, ibid., Segretariato, Pratt., b. 109, f. 6; tra le numerose commemorazioni, E. Morpurgo, Commemorazione di B. S.: Udine, 11 febbraio 1931, Udine 1931; G. Mortara, B. S., in Rivista bancaria, 1931, vol. 12, pp. 81-103; T. Trevisan, Nel trigesimo della morte di S. E. B. S. 1. governatore della Banca d’Italia: commemorazione, 24 gennaio 1931, Firenze 1931.
I libri e gli articoli che parlano di Stringher, specie nella sua posizione di direttore generale della Banca d’Italia, sono innumerevoli e non è possibile citarli tutti. Ci limitiamo pertanto a B. S. e i problemi del finanziamento industriale in Italia, in Atti del Convegno sulla politica monetaria italiana 1900-1913, Udine 1986, pp. 20-27; G. Toniolo, Introduzione, in La Banca d’Italia e l’economia di guerra 1914-1919, a cura di G. Toniolo, Roma-Bari 1989, ad ind.; F. Bonelli, Introduzione, in La Banca d’Italia dal 1894 al 1913. Momenti della formazione di una banca centrale, a cura di F. Bonelli, Roma-Bari 1991, ad ind.; La Banca d’Italia e il sistema bancario 1919-1936, a cura di G. Guarino - G. Toniolo, Roma-Bari 1993, ad ind.; F. Bonelli - E. Cerrito, Momenti della formazione di una banca centrale in Italia 1893-1913, in La Banca d’Italia. Sintesi della ricerca storica 1893-1960, a cura di F. Cotula - M. De Cecco - G. Toniolo, Roma-Bari 2003, ad ind.; F. Cotula - L. Spaventa, La politica monetaria tra le due guerre 1919-1935, ibid.; G. Toniolo, La Banca d’Italia e l’economia di guerra 1914-1919, ibid.; Id., La Banca d’Italia e il sistema bancario 1919-1936, ibid.; A. Gigliobianco, Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma 2006, ad nomen; R. Scatamacchia, Azioni e azionisti. Il lungo Ottocento della Banca d’Italia, Roma-Bari 2008, ad nomen.