DEL VECCHIO, Bonaiuto
Nacque a Pesaro il 9 apr. 1818, ma non c'è nessuna certezza su questa data che, a parere di alcuni, andrebbe spostata indietro di cinque anni.
Anche sulla famiglia si ignora praticamente tutto, e solo si può congetturare una appartenenza alla comunità e alla religione ebraica (ai primi del secolo viveva a Pesaro un rabbino, Isacco Sabbato Del Vecchio), dalla quale, comunque, il D. dovette presto distaccarsi per abbracciare il cattolicesimo. Si trattò presumibilmente di una scelta che aveva origini politiche e che affondava le sue radici nell'entusiasmo generale - di cui il D. risulta partecipe - per il giobertismo e per il primo Pio IX, ma anche l'aspetto religioso ebbe senz'altro un suo peso dal momento che una delle prime pubblicazioni del D., una raccolta di Terzine ... intorno ad alcuni sacri subbietti (Bologna 1847), oltre a recare l'imprimatur della curia bolognese, trattava con accenti mistici, cui per la verità non corrispondeva non solo un qualche afflato poetico ma nemmeno la capacità di costruire il verso (che appare modellato in modo del tutto esteriore e con grande fatica su stilemi danteschi), temi quali la tentazione, la colpa, il peccato, la penitenza e si concludeva con un inno a Dio redentore, unica speranza dell'umanità.
Pio IX con le sue riforme parve al D. incarnare l'ideale terreno di questa redenzione, e a Bologna, dove si era trasferito forse anche per gli studi ed era entrato in contatto con gli ambienti universitari, si rivolse agli studenti ("cui mi legano vincoli di stima e d'amicizia, non meno che quelli d'un affetto proprio ad identica età") per predicare nel primo anniversario dell'elezione del pontefice unità di intenti e volontà di sostegno a una politica nazionale che avesse in Pio IX l'ispiratore e la guida capace di sconfiggere gli spettri del municipalismo e dei federalismo, presentati come le ubbie di "alcuni compri storiografi." (Paroledi Bonaiuto Del Vecchio agli studenti della Pontificia Università di Bologna, Bologna 1847).
Queste prese di posizione, che lo portarono anche a rendere omaggio a Gabrio Casati con un altro carme in terzine dantesche sgangherate quanto le precedenti (La rivoluzione lombardo-veneta del 1848, s.l.n.d.), non bastano però a precisare la collocazione ideologica del D. di cui si può supporre, senza avere tuttavia validi elementi di riscontro, che fosse vicino alle forze unitarie: ma nulla di concreto risulta dalle fonti più attendibili e informate, che cominciano a offrire qualche labile testimonianza su di lui solo quando il '48 italiano ha già prodotto i suoi frutti e il clima rivoluzionario si è ormai diffuso su tutta la penisola. Così, nella agitata Bologna dei mesi che seguono il fallimento della guerra regia, quando la città si divide tra i sostenitori di un municipalismo moderato e quasi timoroso di alienarsi la benevolenza del papa e i seguaci di una linea più radicale, attenta ai processi di aggregazione, come la Costituente montanelliana, innescati in altre zone d'Italia, il D. si segnala come un esponente di primo piano di quel Circolo popolare nato nel novembre del 1848 che preme e, relativamente alla situazione dello Stato pontificio, si batte contro ogni conciliazione con il Papato e propugna la formazione di un governo provvisorio che prepari il trapasso verso un nuovo regime. A Forli, dove il 13 dic. 1848 si incontrano i rappresentanti dei circoli di Emilia-Romagna e Marche, il D. sostiene queste idee che nei mesi successivi prendono in lui toni sempre più accesi in senso antimonarchico e filounitario, fino in pratica ad identificarsi con il programma mazziniano.
La nascita della Repubblica romana rappresentò perciò per il D. la sanzione di quel principio della sovranità popolare da cui solo doveva scaturire il potere politico, e ciò a dispetto del fatto che pochi mesi prima aveva chiuso un opuscolo in cui aveva glorificato la battaglia della Montagnola dell'8 ag. 1848 definendo la Repubblica "il più micidiale morbo ch'ora minaccia i Troni, e forse nel momento sarebbe dannosissimo ad Italia" (Sugli ultimi fatti di Bologna, Bologna 1848, p. 46). A Roma come addetto al ministero della Guerra, il D. non ricoprì nessun ruolo appariscente né rivestì particolari funzioni; ma quando sulle province settentrionali cominciò a profilarsi il pericolo dell'invasione austriaca, il triunivirato lo inviò in missione ad Ancona perché collaborasse alla preparazione della difesa e raccogliesse truppe da far convergere su Bologna, il punto più esposto dello Stato. Da Zambeccari, che comandava la fortezza d'Ancona, il D. fu però rinviato a Roma con richieste di rinforzi che tuttavia, sotto la pressione degli attacchi francesi e per la confusione che regnava nel comando militare repubblicano, non si riuscì ad organizzare se non in maniera limitata e tardiva, con il risultato finale di trovare le vie di accesso al Nord bloccate dalle avanguardie austriache.
Mentre Bologna e Ancona si arrendevano alle truppe imperiali, il D. assisteva a Roma alla caduta della Repubblica e lasciava la città pochi giorni dopo l'ingresso dei Francesi. Imbarcatosi su un vapore francese a Civitavecchia il 7 luglio 1849, dopo essere sbarcato a Genova e aver attraversato il Piemonte, si rifugiò in Svizzera: una breve peregrinazione attraverso i Cantoni cattolici rinfocolò in lui il rancore verso il Papato, le sue istituzioni e i suoi abusi, un rancore che si placò solo con l'arrivo a Ginevra e il contatto con costumi e modi di pensare che, discendendo direttamente da Calvino e Rousseau, gli sembrarono la materializzazione della vera democrazia, l'espressione di una libera scelta dell'individuo almeno quanto Roma e il Papato ne erano invece la negazione. Questi sentimenti e la gratitudine per un ambiente che lo aveva accolto fraternamente il D. volle esprimere in un opuscolo, Un voyage de Rome à Genève ou mémoire d'un exilé (Genève 1850), dove sottolineava come il contatto con una gente libera avesse stimolato in lui la riflessione sugli avvenimenti appena vissuti e la comprensione del loro significato storico.
Aveva già avviato un'analisi del genere appena giunto in Svizzera, pubblicando a Losanna nel 1849 una Lettre à Monsieur Edgar Quinet, représentant du peuple français..., in cui quella responsabilità che il democratico francese aveva in un libello sulla Croisade contre la République romaine addossato a Luigi Napoleone, era interamente riversata su Pio IX e sulla sua politica di pura conservazione del potere temporale, a sostegno della quale, peraltro, la Francia non aveva esitato a sacrificare la propria immagine e il retaggio di una tradizione che ne faceva il punto di riferimento delle nazionalità emergenti.
Tali concetti furono poco dopo ripresi dal D. e posti alla base delle quattro cronache di cui gli fu affidata la compilazione da parte della Tipografia Elvetica di Capolago per una collana di testimonianze (i "Documenti della Guerra santa d'Italia"), articolata in fascicoli e ispirata a quell'ansia di ricostruzione del passato recente che Carlo Cattaneo, principale consulente dell'Elvetica e ideatore della collana, avrebbe più compiutamente soddisfatto con la pubblicazione dell'Archivio triennale, rispetto al quale i "Documenti" dovevano porsi come un primo se pur approssimativo tentativo di sistemazione. Rispettoso di un criterio stabilito dallo stesso Cattaneo che aveva voluto che ogni narrazione fosse integrata da un'appendice documentaria, il D. preparò tra il novembre del 1849 e il giugno del 1850 ben quattro titoli: L'assedio di Roma, Bologna nel maggio 1849, L'assedio e il blocco di Ancona (maggio e giugno 1849) e Intorno al glorioso fatto bolognese dell'8 agosto 1848.
In essi, e soprattutto nel primo sull'Assedio di Roma, la storia ultima dello Stato pontificio e di quegli avvenimenti di cui il D. era stato in buona parte testimone diretto, pur se non di rilievo, veniva ripercorsa con uno spirito di requisitoria non esente da qualche comprensibile tendenziosità che, subordinatamente al Papato, additato comunque come il massimo colpevole, portava sul banco degli accusati fattori quali il moderatismo e il carloalbertismo per il modo in cui avevano mortificato lo slancio di rinnovamento e l'ardore combattivo che il D. attribuiva, con una raffigurazione un po' di maniera, alle popolazioni italiane. Restavano in ombra, in questo quadro molto più critico che autocritico, le divisioni interne delle forze democratiche italiane e i limiti dei loro programmi, e ciò in coerenza con l'enunciazione programmatica, fatta a suo tempo dal D., di non volersi "méler des questions de socialisme ni de conimunisme, qui sont au-dessus de mes forces, et pas encore bien cqnnues dans le pays où j'avais fixé ma demeure" (Un voyage à Genève, p. 28).All'indomani di questo intenso sforzo di ricostruzione si perdono le tracce del D., il quale sembra essersi convertito al protestantesimo ed essersi più tardi aggregato, sul piano politico, allo schieramento filosabaudo (almeno a tale schieramento lo assegna il napoletano G. Ricciardi in una sua lettera a M. Amari del luglio 189). Al momento della sua morte, di cui si ignora dove e quando avesse luogo, ma che Mariano d'Ayala (Bibliografia militare italiana antica e moderna, Torino 1854, p. 395) fa comunque risalire al gennaio del 1854 (secondo altri sarebbe morto in Francia per una dose di veleno), il D. stava lavorando a una Storia del Papato, vero e proprio atto di denuncia della compiuta decomposizione di una istituzione moralmente del tutto compromessa ma tenuta in vita dalle baionette straniere, che sarebbe apparsa postuma a Livorno nel 1863.
Fonti e Bibl.: Una scheda con poche, scheletriche informazioni su vita e opere del D. è conservata a Pesaro nell'archivio della Biblioteca Oliveriana, busta 1549; presso la stessa biblioteca sono invece risultate irreperibili le quaranta lettere a Giuseppe Mamiani, fratello di Terenzio, che gli sono state attribuite per gli anni 1842-1846 da A. Sorbelli, Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, LII, Firenze 1933, p. 41. Altre notizie sul D., oltre alle poche che si leggono tra le righe delle sue opere, che sono quelle di un uomo poco portato alle confidenze autobiografiche, sono date da A. D'Ancona in una nota ai Carteggi di M. Amari, II, Torino 1896, pp. 12 s., e da un "Questionario" formulato da G. Maioli in Rassegna storica del Risorgimento, XXIII (1936), p. 1715 (la risposta data da G. Natali, ibid., XXIV[1937] p. 134, ben poco aggiunge a quanto detto dal D'Ancona). Per la partecipazione del D. al '48 bolognese si vedano: G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma..., III, Firenze 1870, p. 32; G. Natali, Cronache bolognesi del '48, II, Bologna 1935, pp. 199 s.; Id., Icircoli politici bolognesi nel 1848-49, in Rass. stor. del Risorg., XXV (1938), pp. 209-223. Una attenta analisi dell'opuscolo sull'Assedio di Roma, che nel 1849 ebbe, sempre a Ginevra, anche una edizione in francese e una in tedesco, è compiuta da E. Morelli, Documenti della Guerra santa d'Italia, Roma 1973 (corso universitario), pp. 69-86. LaLettre à Monsieur Edgar Quinet ... è stata ripubblicata da G. Santonastaso, Eágar Quinet e la religione della libertà, Bari 1968, pp. 131-141.