Vedi BOLSENA dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
BOLSENA (v. vol. ii, p. 131-132)
Gli scavi della Scuola Francese di Roma, diretti da R. Bloch, sono proseguiti fino al 1961 e proseguono tuttora sotto la direzione di membri della Scuola.
Il Bloch aveva scavato, fino al 1952, nell'ambito della città di B. e delle colline vicine, a N dell'abitato attuale, dove egli ha ritenuto fosse situata la città etrusca di Velzna - tesi non condivisa da tutti gli studiosi -; successivamente aveva cominciato lo scavo di un abitato arcaico nel luogo detto la Civita, a circa 5 km a S di Bolsena. In seguito, su una collina prospicente tale località, detta della Capriola, venne portata alla luce una necropoli con tombe a fossa o più spesso a pozzo. Il rito funerario era l'inumazione, più raramente l'incinerazione. Il materiale consisteva in vasi di ceramica ed oggetti di ferro e di bronzo, caratteristici della seconda fase della civiltà villanoviana, e più particolarmente paragonabili a quelli della necropoli di Bisenzio. Tra le numerose armi di metallo che ornavano le tombe maschili, è da notare un piccolo scudo di bronzo a due incavi opposti, trovato nella Tomba del Guerriero, la cui forma eccezionale dovrebbe, malgrado le differenze, essere messa in rapporto con quella dei famosi ancilia di Roma. È possibile si tratti di uno scudo votivo o di uno scudo per danze guerriere. Questa necropoli risale al primo venticinquennio del VII sec. a. C.
Inoltre, sulla sommità dello stesso colle della Capriola, furono rinvenuti una decina di fondi di capanne, tagliati direttamente nella roccia, in modo abbastanza rozzo.
Queste capanne, di forma ovoidale, erano delimitate da un solco esterno, ma all'interno non è visibile traccia di messa in posa di pali: quelli che ne dovevano sostenere la copertura di legno e di paglia, erano infissi nel loro solco perimetrale. Il materiale ritrovato sul posto (vasi di ceramica di fattura grossolana, con una decorazione punteggiata, a cordone plastico sull'orlo del vaso e parallelamente a questo, o a cordoni plastici incrociati con ditate) ha permesso di far risalire tale abitato alla fine dell'Età del Bronzo, ossia alla fase detta subappenninica.
Nella stessa città di B., sotto la Rocca, è apparso nel 1961, in seguito a piogge fortissime, un nuovo tratto di muro di cinta. È un muro in opera quadrata di tufo giallo, che comporta file alternate di blocchi disposti di testa e di blocchi disposti di taglio. Sui blocchi si notano moltissimi segui e lettere, cosiddette "marche di cava". In alto si vede un tratto di strada selciata. Purtroppo la posizione del terreno e le condizioni della scoperta non hanno permesso di datarlo stratigraficamente.
Un tesoro di 707 monete di bronzo della fine della Repubblica romana e dell'inizio dell'Impero è stato portato alla luce nel 1961, nella località detta del Pozzarello.
Nel 1962, la Scuola Francese cominciò nuovi scavi nella parte bassa del sito antico di Volsini, leggermente al di sopra della Rocca medievale di B., in località Poggio Moscini. La direzione di questo scavo, assicurata all'inizio da R. Bloch, fu affidata dal 1964 in poi a membri della Scuola Francese.
Dalle scoperte fatte alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo, si sapeva che sul Poggio Moscini si trovavano resti della città romana di Volsinii. Non fu dunque affatto una sorpresa il constatare che il materiale di ceramica più antico trovato sul sito risaliva alla seconda metà del III sec. a. C., cioè all'epoca successiva alla creazione della Volsinii romana (264 a. C.). Niente, né abitato né materiale, è stato scoperto finora che si possa datare precedentemente.
È stata dapprima rinvenuta una domus le cui prime istallazioni risalgono alla fine del II sec. a. C., e per la quale furono riutilizzate alcune strutture della seconda metà del III sec. a. C. e dell'inizio del II sec. a. C. Le strutture del III sec. sono muri di pietre a secco, che formavano ambienti disposti su due terrazze orientate a NO SE; quelle dell'inizio del II sec. sono di opera quadrata di tufo giallo apparecchiata "a scacchiera". La domus, a differenza di questi ambienti di epoca precedente, aveva la facciata orientata non verso SO (cioè verso il lago), ma verso NO, forse in seguito alla costruzione della Via Cassia, che attraversava la città da SO a NE. In epoca tardo-repubblicana ed augustea, la domus venne sottoposta a diversi rifacimenti che l'hanno trasformata in una piacevole residenza con ricchi pavimenti in opus sectile di marmo e un grande ninfeo che comunicava con un fastoso triclinium.
Dietro al ninfeo della domus, è stata messa in luce una zona pubblica, occupata da un piccolo portico, di cui restano basi di pilastri, da un altare e dall'ingresso del dròmos di una cisterna sotterranea. In questa zona furono ritrovati numerosi frammenti di ceramica aretina che, suddivisi in strati attribuibili dall sec. a. C. al I sec. d. C., hanno permesso di precisare molti aspetti della tipologia e della cronologia di questo tipo di ceramica.
Inoltre nel 1967 si è dato l'avvio allo scavo di due altri settori, non ancora completamente messi in luce.
A SE della domus, sito ad un livello poco più alto, è stato scoperto un complesso di carattere monumentale, attribuibile all'inizio del II sec. a. C. Ci sono cinque pilastri, basi di colonne, in opera quadrata di tufo giallo e rossastro, su due dei quali gravano ancora fusti rozzi di colonne in pietra basaltica. In prossimità è stata messa in luce una sala sotterranea, scavata nel tufo e preceduta da un dròmos edificato con molta cura in opera quadrata di tufo, che serviva da cisterna. A pochi metri dai pilastri, verso SE, è stato rinvenuto un muro di opera quadrata di tufo, di fattura accuratissima; conservato per un'altezza di più di 2 m, ha uno spessore che va da 1,6o a 2,20 m. I pilastri, la cisterna e il muro, a quanto risulta dalla stratigrafia, sono contemporanei. E tutt'ora impossibile stabilire quale era la destinazione del complesso a cui appartenevano.
A SO di questa zona dei pilastri di tufo fu incominciato nel 1967 lo scavo di un'abitazione d'epoca imperiale, attribuibile, in base al suo stato attuale, al III sec. d. C., e abbandonata nel IV sec. d. C. A causa del terreno in pendio, la sua parte NE (cioè la parte posteriore) è conservata molto meglio della parte SO, che tuttavia non è ancora completamente sgomberata. Sembra che l'abitazione desse su una strada che passava lungo il suo lato SO. La parte NE dell'abitazione è composta da cinque stanze, tra cui due piccole, e da un corridoio, tutt'intorno ad un ambiente che doveva, almeno in parte, avere la funzione di cortile interno. In tre di queste stanze, sono stati ritrovati in situ intonaci dipinti in buono stato di conservazione, che corrispondono a due fasi della decorazione di queste stanze. La prima fase che risale, a quanto risulta finora, al III sec. d. C., consiste, nella parte bassa di due di queste stanze, in rettangoli di fondo bianco, al cui centro sono dipinti varî motivi, quali uccelli e coppe di frutta, separati da strisce verticali che imitano la forma di una colonna. La parte alta delle pareti è decorata da rettangoli e da volute. La seconda fase della decorazione, più tardiva, consiste essenzialmente in un'imitazione dipinta di marmo giallo e bruno-chiaro. La metà SO della parte scavata dell'abitazione comporta, fra l'altro, una scala che scende in una sala sotterranea con vòlta a campana e resti di intonaci dipinti sulla vòlta. È tutt'ora impossibile precisare la funzione originale di questa sala (attribuibile, a quanto sembra, al II sec. a. C.), che è stata riutilizzata nell'abitazione di età imperiale. Inoltre, lungo uno dei muri interni dell'abitazione, sotto il livello del suolo d'epoca imperiale, è stato scoperto un cumulo di frammenti di tegole e soprattutto di terrecotte architettoniche, teste, nasi, busti maschili, busto di Minerva con l'egida, modanature e frammenti di cornicioni, che conservano tracce di policromia. Sicuramente questi frammenti sono stati posti lì intenzionalmente - nel I sec. a. C., come risulta dalla stratigrafia - probabilmente a costituire una favissa.
Al di fuori del terreno di scavo, lungo l'attuale Via del Crocefisso, alcuni sondaggi eseguiti nel 1969 hanno permesso di mettere in luce i resti di una via romana di direzione SO-NE, e dell'incrocio con un'altra via, che le è perpendicolare.
Alcuni sondaggi effettuati nel 1968 dalla Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale hanno messo in luce, nei pressi del Foro, i resti di fondazioni di un colossale edificio pubblico.
D'altra parte, nella località Gran Carro, circa 6 km a S di B., è stato identificato dall'ing. A. Fioravanti un giacimento archeologico subacqueo, di cui il prof. G. Colonna della Soprintendenza ha fatto iniziare l'esplorazione sistematica.
A poca distanza dalla riva, sono stati rinvenuti numerosi pali profondamente infissi nel fondo: dal modo in cui erano collocati si può ipoteticamente riconoscere la pianta di piccole capanne rettangolari con i lati arrotondati. Il villaggio probabilmente costruito su palafitte, risale alla prima Età del Ferro, e appartiene alla cultura villanoviana, come dimostra l'abbondante vasellame ritrovato.
Questo villaggio, che adesso è sommerso a una profondità di 8 o 9 m sotto il livello del lago, si trovava, all'epoca in cui fu abitato, molto vicino alla riva: il Fioravanti ha infatti osservato, in parecchi punti della riva del lago (a S di Gradoli e a S di B.), tracce di ruote di carri, sia su un banco di roccia che su un lastricato di pietre poligonali, attualmente sommerse, ed ha perciò potuto stabilire che il livello del lago è cresciuto in tempi storici di circa 8 o 10 m.
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