BOLLO (fr. timbre; sp. sello; ted. Stempel; ingl. stamp)
Bollo è detto il marchio apposto, in corrispettivo del versamento di una somma, dallo stato o in suo nome, su un documento per attestarne un determinato requisito di validità, pubblicità, valore o altro, o solamente per indicare che una determinata tassa è stata pagata. A facilitare la riscossione si provvede poi in molti casi con il bollare preventivamente i fogli di carta (carta bollata, cambiali, ecc.), destinati a ricevere alcune categorie di atti e a venderli quindi al pubblico. È questa anzi la forma di applicazione del bollo e di riscossione della tassa più generalmente usata, e da alcuni, non senza contrasti, se ne fa risalire l'origine sino a Giustiniano che, nella nov. 44 dell'anno 537, avrebbe stabilito una consimile formalità, ordinando ai tabellonarii di non stendere atti autentici se non sopra una carta munita del nome del comes sacrarum largitionum. Controversa è pure l'opinione di Boxhon e Lang, secondo la quale le tasse di bollo sarebbero state inventate nel 1624 da un olandese, allettato dal premio offerto dagli Stati generali a chi suggerisse una nuova imposta feconda per il fisco e poco vessatoria per i cittadini; il Cibrario sostiene infatti che i primi a servirsene, in tempi moderni, siano stati gli spagnoli, mentre altri ne attribuiscono la prima applicazione all'Inghilterra.
In ogni modo, tralasciando precedenti storici di non grande importanza, è certo che l'introduzione della carta bollata e delle tasse di bollo rimonta in quasi tutti gli stati ai secoli XVII e XVIII. E, più particolarmente, in Francia risale alle formole stabilite da Luigi XIV con l'editto 16 marzo 1673, sostituite poi da un marchio nell'aprile 1764 e infine dalla carta bollata con legge 18 febbraio 1891. In Inghilterra le tasse di bollo furono introdotte nel 1694, come mezzo straordinario per far fronte alle spese della guerra con la Francia, ma rimasero poi sempre in vigore, dapprima commisurate alle dimensioni della carta usata, quindi, a partire dal 1815, in proporzione dell'entità della transazione, e infine, dal 1850, in base al sistema della percentuale.
Degli stati italiani, primi fra tutti, la Lombardia, Napoli e la Toscana, ricorsero alle tasse di bollo, seguendo l'esempio spagnolo; ma i gravi tumulti popolari costrinsero ben presto a revocarle, e solo dal 1730 Carlo III di Borbone poté ristabilirle definitivamente nel suo regno; Genova le adottò nel 1655, il Piemonte nel 1694, lo Stato pontificio nel 1741; dopo la conquista napoleonica e ancor più dopo la Restaurazione, l'applicazione del bollo si modellò in Italia per lo più sulle leggi francesi e anche dopo l'unificazione del regno e le radicali modificazioni apportate dalla legge 14 luglio 1866, n. 3122 e dalle successive, rimase ancora visibile questo primo influsso.
Le tasse di bollo, sorte, come dice A. Smith, per la difficoltà di tassare direttamente i trasferimenti di capitali e di proprietà mobili, non solo colpiscono in modo ineguale i contribuenti, per la possibilità di evasione che varia moltissimo da caso a caso, ma non hanno inoltre una vera ragione economica, poiché assoggettano a tributo anche atti utili alla produzione o che non sono affatto indizio di una ricchezza nuova. Nonostante ciò, la varietà, l'estensione della materia imponibile e i miti tassi che evitano contestazioni amministrative e giudiziarie, la facilità e il minimo costo di riscossione, rendono di larga applicazione e di massima elasticità questo tributo, cui tutti gli stati moderni ricorrono; e si manifesta anzi sempre più evidente la tendenza delle finanze contemporanee a ridurre a pochi casi l'obbligo della registrazione, incompatibile naturalmente con la rapidità e la frequenza di alcune contrattazioni e con il loro limitato ammontare, e ad allargare invece l'impiego del bollo che non ostacola punto la libera espansione degli scambî e dei negozî giuridici.
Questa materia del bollo è però il ramo più intricato della teorica e della pratica tributaria, sia per la fusione della finanza col diritto, ché ogni trasferimento di ricchezza è insieme atto economico e giuridico, sia per la commistione dell'elemento tassa con l'elemento imposta, aggravata anche dal fatto dei mezzi di riscossione comuni.
Attualmente in Italia la materia del bollo è regolata dal testo unico approvato con r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3268, il quale però ha già subito numerose varianti e aggiunte, specie in seguito ai regi decreti-legge 5 marzo 1925, n. 258, 14 novembre 1926, n. 1944, 12 agosto 1927, n. 1463, 17 marzo 1930, n. 142, e molti altri.
Le tasse di bollo hanno per oggetto tutte le carte destinate per gli atti civili e commerciali, giudiziali e stragiudiziali e tutti gli scritti, stampe, disegni, registri indicati dalla legge; per lo più però tali atti e scritti sono soggetti al bollo fin dalla loro origine; a volte, solo in caso che se ne voglia far uso, producendoli davanti all'ufficio del registro per la registrazione o inserendoli in atti pubblici.
Sono concesse però dalla legge numerose esenzioni totali o parziali agli atti o scritti riguardanti l'interesse pubblico, lo stato, gli enti pubblici, e il debito pubblico, e a molti altri, per ragioni sia economiche sia benefico-sociali.
Esse sono fisse, graduali e proporzionali e si corrispondono in modo ordinario, impiegando la carta filogranata e bollata che si vende per conto dello stato; in modo straordinario, mediante: 1. applicazione di marche da bollo su qualsiasi carta o, in casi previsti, anche su carta filogranata e bollata; 2. apposizione di un bollo speciale impresso mediante punzone dagli uffici del registro, designati con decreto reale; 3. apposizione del visto per bollo da parte di tutti gli uffici del registro; 4. applicazione di uno speciale contrassegno per gli avvisi su materia diversa dalla carta; in modo virtuale, mediante pagamento della tassa senza materiale apposizione di bollo; e per abbonamento, in seguito ad accordo fra il contribuente e l'amministrazione finanziaria.
Severe pene pecuniarie sono comminate per i contravventori alle leggi sul bollo (art. 66 testo unico), ora fisse e ora proporzionali al valore della tassa evasa, in ragione di un multiplo che varia da 10 a 120, secondo la categoria degli atti.
Oltre poi alle tasse di bollo propriamente dette, sono in vigore varie altre tasse speciali: sugli scambî, sui contratti di borsa, sugli spettacoli, sulle scommesse, sui trasporti, sulle carte da giuoco, che sono bensì autonome e regolate da leggi proprie, ma che fondamentalmente partecipano della materia delle tasse di bollo. Complessivamente il gettito di questi varî cespiti ha raggiunto nell'esercizio finanziario 1928-29 circa un miliardo e mezzo di lire, di cui 700 milioni sono dati solo dalla tassa scambî, 460 dal bollo ordinario, 150 dal bollo sulle cambiali e il resto dagli altri tributi.
Bibl.: S. Gianzana, Codice finanziario del regno d'Italia, III, Torino 1836; L. Cibrario, Origini e progresso della monarchia di Savoia, Firenze 1869; F. Flora, Manuale di scienza delle finanze, 5ª ed., Livorno 1917.