PRUS, Bolesław
Pseudonimo dello scrittore polacco Aleksander Głowacki, nato a Hrubieszów il 20 agosto 1847 (secondo altri: 1845), morto a Varsavia il 19 maggio 1912. Rimasto presto orfano di padre e di madre, visse presso parenti, soprattutto a Lublino, ove - con qualche interruzione dovuta anche alla sua partecipazione alla rivoluzione del 1863 - frequentò la "scuola reale" e il liceo. Studiò poi matematica e fisica alla "Scuola centrale" (Szkoła główna) di Varsavia, e sin dal 1872 incominciò a collaborare a diversi giornali e riviste, scrivendo apprezzatissimi articoli di cronaca e feuilletons di vario genere, e pubblicandovi a puntate i suoi romanzi e le sue novelle. Un solo viaggio, intrapreso nel 1895 in Germania, Svizzera e a Parigi, interrompe la sua vita laboriosa, esteriormente tranquilla e monotona, tutta dedita al lavoro giornalistico e letterario.
P. è l'espressione più complessa e più perfetta di quel rinnovarsi della coscienza polacca che all'indomani della rivolta del 1863 è seguito al romanticismo politico e letterario dei decennî precedenti. Assetato di verità, tenace, meticoloso, pedantesco quasi, egli tende sin dal principio della sua attività letteraria (novelle: Lokator poddasza, Il locatore del sottotetto, 1874; Przygoda Stasia, L'avventura di St., 1879; Anielka, 1880, ecc.) e con sempre maggiore ampiezza, approfondimento e acutezza d'osservazione alla conoscenza e rappresentazione della società polacca in tutti i suoi aspetti. Contadini, borghesi e nobili; costruttori di nuove forme di vita e personaggi smidollati rimuginanti il passato; donne angeliche e poveri bimbi sognanti sono studiati da lui e inseriti nel ritmo della vita, con commossa partecipazione, con un appassionato aderire alla realtà minuta e con un costante bisogno di evadere nelle sfere di un progresso apportatore di giustizia e di felicità. Un piglio professionale, tutto bontà e ricchezza interiore, e un umorismo mite, lontano da ogni acredine, permettono a Prus di passare senza scosse da effusioni liriche, indulgenti a un placido fantasticare, alla rude concretezza; da stati d'animo pessimistici a un gioioso senso della vita.
Questa capacità armonizzatrice torna specialmente a vantaggio delle sue opere a grande respiro: di Płacówka (Vedetta, 1885), ove è magistralmente ritratto il tenace attaccamento alla terra del contadino polacco esposto all'invadenza tedesca; di Lalka (Bambola, 1887-89), quadro poderoso di Varsavia brulicante di vita; di Emancypantki (Le emancipate, 1891-93), rappresentazione delle ambizioni e delle realtà della vita femminile ai suoi tempi; infine di Faraon (Il Faraone, 1895-96, trad. italiana di N. Maffezzoli, Milano 1934, voll. 3), ove l'antico problema dell'urto tra individuo e collettività è proiettato, non senza riferimento al presente, nell'antica civiltà egiziana.
Negli ultimi anni della sua vita, sfiaccato quasi dalle sue grandi creazioni, ma sempre sulla breccia nella sua attività destinata a creare nuovi valori alla società polacca, egli è di nuovo quasi esclusivamente giornalista: alla letteratura ritorna solo col suo racconto Dzieci (Bambini, 1908), che ritrae, a tinte alquanto fosche, la rivoluzione del 1905.
Ediz.: Un'ediz. completa delle opere di P. è in corso di stampa (finora ne è stato pubblicato un volume col titolo To i owo, Questo e quello), a cura di I. Chrzanowski e Z. Szweykowski.
Bibl.: L. Włodek, B. Pr., Varsavia 1918; Z. Szweykowski, "Lalka" B. Prusa, ivi 1927; F. Araszkiewicz, B. Pr. i jego ideały życiowe (B. P. e i suoi ideali di vita), Lublino 1925; E. Lo Gatto, B. Pr., in Studi di lett. slave, II, Roma 1927; Ruch Literacki, IX, x (1934), dedicato a B. Pr.