BOIARI
. Nel sec. X, quando cioè la schiatta governante d'origine uralo-altaica era già completamente slavizzata, i capi dell'aristocrazia bulgara venivano chiamati boliadi (βολιάδες in Const. Porphyr., De Cerimon., II, 47), con un vocabolo d'incerta origine. La traduzione consacrata già dall'uso medievale è maiores natu, ma anche meliores homines o seniores.
La conquista del territorio danubiano, rendendo necessaria l'unità del governo, aveva rafforzato l'autorità del Khāgān, ma anche ai capi delle singole schiatte o tribù aveva creato una più solida base economica, facendoli possessori di terre e di servi. Il progresso della fusione fra invasori ed antichi occupanti determinò l'equiparazione sociale degli "anziani" di comunità slave ai discendenti dei condottieri protobulgari. La lotta dei boliari in difesa delle proprie prerogative, contro gli zar, che aspiravano a copiare l'autocrazia bizantina, riempie la storia del primo impero bulgaro (sec. VIII-X). Creazione di una indocile aristocrazia fu il reame dei comitopuli Šišmanidi (con centro ad Ochrida), e l'accanito furore con cui questa "Bulgaria Occidentale" continuò per mezzo secolo a battersi contr0 l'impero fu alimentato dall'odio dei boliari per il sistema burocratico, livellatore, del quale Bisanzio era la perfetta espressione. Deve essere rimasto da quei tempi il termine di bujar per "signore" nell'albanese. Con un assetto prettamente feudale risorse, nell'ultimo quarto del sec. XII, lo stato bulgaro-valacco di Tirnovo. I rapporti che vi si stabilirono fra signori delle terre e popolazioni agricole, si sono perpetuati nei privilegi, di cui fino a tempi recentissimi hanno fruito i boiardi (in romeno: boier) di Valacchia e Moldavia.
Lo stato russo di Kiev, allorché stava costituendosi nel sec. X, subì in modo continuo e sotto molteplici aspetti l'ascendente della "grande Bulgaria". Diverse istituzioni politico-sociali furono trapiantate da Preslav danubiana sulle rive del Dnepr. Somigliava alle origini bulgare la formazione del gran principato di Kiev, in quanto ai conquistatori d'origine protobulgara corrispondevano gli avventurieri normanni, che erano pronti ad appropriarsi i vantaggi spettanti al rango di bojarin (questa divenne la forma usuale in russo) entro una società slava stabilmente ordinata. Sennonché le condizioni politiche, nelle quali i konunghi, con i rispettivi seguiti di fedeli, assicurarono il loro dominio sulla valle del Dnepr, erano assai diverse da quelle cui aveva dovuto adattarsi una compagine barbara per prender piede quasi alle porte di Costantinopoli: un paese vergine invece che un territorio anticamente urbanizzato; confini imprecisabili, con possibilità immense d'espansione, anziché le barriere recise opposte dalla natura o dalla civiltà; non le legioni romane su limiti fortificati, ma torme di nomadi evanescenti nella steppa. Quindi estrema mobilità di tutta l'esistenza, carattere instabile e quasi informe dei legami fra regioni e fra classi sociali, inevitabile discentramento di ogni funzione governativa. I principi, discendenti da Rjurik, man mano che cresce il loro numero e si complicano i gradi di parentela, procedono a spartizioni sempre più frequenti e più tumultuose del vasto paese, che teoricamente appartiene in comune alla loro schiatta. Ogni duca (knja) appena ha ottenuto in appannaggio una città (con relativo contado da sfruttare) sta in agguato per non lasciarsi sfuggire l'occasione di un vantaggioso trasferimento. Ed ognuno dei principi aveva, partecipe alla sua fortuna e della medesima indispensabile fattore, un seguito (clientela) di animosi compagni d'armi, che formarono il nucleo essenziale di una nobiltà. Fin dai più antichi documenti è accertata una certa gerarchia entro ogni družina (comitatus), fra "anziani" e "giovani"; ed era ovvio che ai primi spettasse una quota maggiore nella distribuzione di doni, uffici, bottino di guerra e che la qualifica di bojarin meglio s'adattasse a loro. Accanto a questa aristocrazia di carattere militare esisteva anche una nobiltà più propriamente civile e cittadina, che basava la propria autorità soprattutto sulle ricchezze accumulate nel commercio.
Il ravvicinamento fra questi due elementi andò compiendosi abbastanza rapidamente: verso la fine del sec. XI era scemato l'afflusso di avventurieri, prevalevano fra i "servitori del principe" uomini cresciuti nel paese e che vi rimanevano attaccati anche come possessori di beni fondiarî; allo stesso tempo la potestà ducale, indebolita, doveva tenere in sempre maggior conto i placiti degli ottimati in ogni città. Non pochi fra questi ottenevano cariche alla corte d'un duca, mentre la discendenza d'un družinik (comes) poteva anche allontanarsi dalla pubblica cosa per meglio sfruttare le proprietà acquisite. Quella duma (consiglio) composta di boiari che Vladimir II Monomaco (al principio del sec. XII) non mancava di consultare ogni giorno, era molto meno la rappresentanza d'una classe che la riunione degli organi direttivi, mentre i trecento boiari che formavano il "gran consiglio" a Novgorod opponevano i diritti autonomi di un patriziato alle prerogative del principe. Attributo essenziale di un bojarin era ormai il latifondo con servi attaccati alla gleba; in russo (come in romeno) il termine per corvée è boiarščina (più tardi barščina), derivato dunque dal titolo che si dava al nobile. Ciononostante la nobiltà non si sviluppò fino alle forme attuate nel feudalismo occidentale, soprattutto per la ragione che l'elemento essenziale della ricchezza agricola - la mano d'opera - non si è lasciata stabilizzare nella servitù: le sconfinate foreste ad oriente ed a settentrione offrivano uno scampo sempre aperto al contadino, appena cessava di essere tollerabile il patto colonico. Le città invece sono in tutto dipendenti dal principe. I boiari ricevono terre a titolo di beneficio con l'obbligo di prestare servizio, cessando il quale cesserebbe anche il diritto di possesso. L'investitura, il giuramento di fedelta, le formule di commendatio si praticano quasi allo stesso modo come presso le nazioni d'occidente. Ciò vale specialmente per l'estremo lembo occidentale della Russia. Invece nella "grande Russia" (avente per centro Vladimir) le conseguenze sia politiche sia economiche della conquista tartara e del sempre più cosciente e sistematico allontanamento dal mondo europeo si concretarono in una struttura sociale particolare. Nelle terre impoverite (ed oberate dal tributo che defluiva all'Orda d'Oro) rimasero ai loro posti le famiglie ducali ed i boiari. Continuò lo sminuzzamento degli appannaggi tra le figliolanze dei piccoli sovrani, la distribuzione di benefici ai loro nobili servitori. Si riformavano vasti dominî allodiali, tenuti da principi del sangue, ma anche da boiari equiparatisi in ricchezza ed influenza ai minori fra i duchi e spesso divenuti loro congiunti per matrimonî. D'altro lato non era lontana la differenziazione tra grande e mediocre nobiltà e si delineava pure la formazione di un proletariato nobiliare. Ma l'ambiente non si prestava né all'ascensione né alla chiara definizione di ceti attivi: né lo spirito di corpo, né la devozione di vassalli potevano dare al bojarin il senso di essere signore per proprio diritto; unica giustificazione reale dei suoi privilegi rimanevano i legami che il servizio aveva consacrato fra il principe e lui; unica franchigia era il diritto sempre riservato di recidere tale legame, passando da un principe ad un altro, che gli avesse offerto più convenienti condizioni.
Questo languente stato di cose venne perturbato dalla politica dei granduchi di Mosca che si affermò rapidamente verso il 1330. Giovanni Kalita trovò i punti d'appoggio per la sua azione nella chiesa ortodossa e nella potenza tartara che gli delegò la cura di raccogliere il tributo dovuto al khān, i suoi strumenti invece furono boiari di tutte le Russie, ai quali egli poteva offrire vantaggi, quali nessun altro duca aveva in serbo. I granduchi di Mosca si accaparrarono dappertutto i boiari e, ogni volta che l'occasione si presentò, li convinsero a disertare e a sacrificare all'interesse di Mosca i duchi regnanti, che venivano in parte soppressi, in parte "mediatizzati". Fu questa l'operazione semplicissima che, in meno di mezzo secolo, fece di Mosca una vasta monarchia e ridusse alla sudditanza o all'effettivo vassallaggio le più antiche signorie di Tver′, Rjazan′, Suzdal′, Nižyj Novgorod, ecc. Così cospirazioni di boiari e soppressioni di duchi accelerarono il corso degli eventi: i diplomi del khān e le benedizioni della chiesa conferirono ai fatti compiuti la sanzione giuridica e morale. Da tutti i ducati umiliati (ed anche dalle antiche terre russe che soggiacevano alla vittoriosa avanzata dei Lituani) accorrevano "sotto la mano potente" del gran duca di Mosca i boiari. La dinastia moscovita moltiplicava il numero dei suoi servitori, allargando quella quasi patriarcale curtis dominica, dove il governo economico della famiglia sovrana si confondeva con quello politico di un popolo. Al sommo della gerarchia (al di sopra anche dei principi mediatizzati) si trovarono i boiari "introdotti nel Palazzo" (vvedennye) cioè insigniti di uffici. Essi avevano titolo di "maggiordomo, tesoriere" ecc.; in numero variabile (dai 10 ai 20) costituivano la duma, che il principe consultava quasi ogni giorno e senza la collaborazione della quale nulla d'importante si faceva. Inferiore per grado al bojarin era l'okol′ničij; nome di origine discussa, paragonabile allo strator bizantino; sua funzione originaria era di "preparare la strada ed i luoghi di tappa"; in seguito ebbe attribuzioni varie e figurò anche nel consiglio del principe. Formavano una massa subalterna gli stolniki, gli addetti al cubicolo, dvorjane di Mosca, ecc. Praticamente tutta questa domesticità privilegiata poteva dirsi casta nobile, ma è caratteristico per la Russia che, fino al sec. XVIII, non esistette un termine comune per "nobiltà" nel quale venissero compresi tanto i boiari ed okol′ničij, quanto i "figli di boiari" (originariamente paggi, più tardi "cadetti" più o meno dissestati, e arruolati nel seguito di qualche signore) e i dvorjane.
La fedeltà che questo stuolo di "ministeriali" mostrò in varie occasioni verso la casa regnante, era ben motivata dalla loro associazione ai profitti della grande impresa: l'unificazione della Russia e l'incameramento delle sue migliori risorse. Nella prima metà del sec. XV, la monarchia moscovita ed il suo principale sostegno - la classe dei boiari - acquistano la più precisa sagoma di "entità politiche": le loro attribuzioni si esprimono in norme di diritto pubblico, sviluppatesi dalle consuetudini e tradizioni che bastavano a regolare le faccende d'una specie d'immenso podere con la sua miriade di castaldi, massari e servi. Primeggiano già verso il 1400 famiglie che rimarranno fra le più illustri dell'aristocrazia russa: i Vsevoložskij, i Gerebcov, i Vel'jaminov, i Pleščeev (di origine ecclesiastica) e Fedor Koška, capostipite dei Romanov. Accanto ad essi non solo si sono moltiplicati, ma stanno inserendosi nel ceto dei boiari i "principotti", la cui prosapia risale a Rjurik; pretenderanno alla parità con essi i pronipoti di Gedimino, emigrati dalla Lituania.
Contro i principi e boiari, ben provvisti, oltre che di stipendî, di beni ereditarî (votčiny), covavano i loro risentimenti i pomeščiki, cioè quegli uomini d'arme, che avevano ricevuto in concessione un podere (pomest′e), affinché sopperissero alle spese d'armamento nel grave e logorante servizio di difesa delle frontiere. L'odio di questa "minuta nobiltà" era tanto più vivo, in quanto l'oligarchia dei boiari era in procinto di chiudere i suoi ranghi contro ogni intrusione di "uomini nuovi". Solo nel sec. XVI venne espressamente statuito che la nascita da genitori nobili era indispensabile per iscriversi fra i boiari o figli di boiari; e in pratica il sovrano ha sempre potuto concedere a chi volesse, il "berretto", che era il distintivo del bojarin. Ma già attorno al 1450 i detentori dei più alti uffici alla corte e nell'esercito sono riusciti a far valere il diritto genealogico. La carriera di ogni bojarin si regolò su un'assai complicata coincidenza di due motivi: il "beneplacito" del principe e i "precedenti" della famiglia, cui apparteneva il bojarin in questione. La nomina ad una carica o la destituzione da essa avvenivano a completo arbitrio del monarca, ma un bojarin avrebbe inflitto una diminutio capitis all'intera propria schiatta se avesse accettato un posto sotto gli ordini di un uomo, il cui padre, o zio, o nonno, era stato, in servizio, l'uguale o l'inferiore dell'avo, padre o agnato qualsiasi dell'interessato. Perciò ad ogni promozione si confrontavano minuziosamente i preferiti ruoli (razrjady) con il libro delle genealogie (rodoslovec). Si può facilmente immaginare come, con l'andare del tempo, diventasse arduo conciliare la scala dei gradi burocratici con il rango acquisito da ogni famiglia. Se in parte questa "rivendicazione del posto equo", tenacemente sostenuta, limitò l'autocrate nella scelta dei dignitarî, effetti più decisivi essa ebbe per lo spirito di corpo del ceto aristocratico. In primo luogo la dignità d'una famiglia si misurò non sull'antichità dell'origine o su memorie in sé gloriose, ma unicamente sullo "stato di servizio" e questo culto della livrea non favoriva certo i sentimenti d'indipendenza e d'onore. In secondo luogo una vera solidarietà, per l'eventuale difesa dei diritti di classe, non poteva sussistere fra gruppi gentilizî di cui l'uno era sempre in agguato contro l'altro per il timore d'essere oltrepassato negli onori da un inferiore o per la speranza di riuscire nello stesso gioco a scapito d'un superiore. Furono boriosi, rapaci, astuti ma pochissimo gentiluomini i boiari di Mosca.
Ma questi trovarono bene un concorrente assai temibile nelle comunità religiose; contro di esse i principi e boiari dovettero sostenere, dal 1450 al 1503, una lotta piena di drammatiche peripezie, che ebbe aspetti di controversie religiose e non dissimulati obiettivi economici, ma il cui esito implicò anche la disfatta politica dell'aristocrazia. Quando si presentò la questione se i possessi dei chiostri dovessero assimilarsi ai beni allodiali (votčiny), insorsero contro tale pretesa da un lato i grandi proprietarî, spaventati dalla concorrenza della manomorta, dall'altro gli eretici ebraizzanti, nemici della gerarchia ecclesiastica; ma anche i rappresentanti genuini del monachismo di tradizione bizantina, che al "demone filargiro" opponevano l'intransigente precetto d'assoluta povertà. Così i magnati, difendendo il monopolio della loro potenza, s'allearono agli asceti. L'accanito contrasto penetrò nello stesso palazzo e scisse la famiglia granducale, innestandosi su sinistri intrighi per la successione al trono. Vera vincitrice nella lotta per il "diritto di proprietà" risultava l'autocrazia. Lo fece ben sentire Basilio III. Sotto questo zar, venuto al potere contro l'esplicita opposizione dei principi e boiari, non poteva esser più questione di cordiale collaborazione fra il sovrano e i suoi titolati consiglieri. In pratica la duma dei boiari si trovò esautorata, pur non avendo lo zar osato toccare i privilegi essenziali dell'aristocrazia.
Essendo inoltre scomparse (o ridotte a miseri avanzi) le corti ducali che un tempo rivaleggiavano con Mosca, divenne difficilmente attuabile l'antico diritto dei boiari di mutar signoria, salvaguardando in tal modo il carattere di patto liberamente consentito al loro servizio. Ora l'unico passaggio che potesse allietarli era quello da Mosca a Vilna, dove il granduca di Lituania comandava a un buon numero di vassalli russi. Ma essendo le due monarchie quasi continuamente in istato di guerra, l'abbandono di un principe per servire l'altro meritava la qualifica di tradimento. Giovanni III e Basilio III esigettero quindi dai loro boiari un impegno scritto, a tenore del quale essi formalmente rinunciavano alla facoltà di partirsi da Mosca e di cercare condotta altrove.
La minorità di Ivan IV il Terribile (1533-1547) offrì ai boiari insperate facilità per diventare addirittura padroni dell'apparecchio statale. L'effetto raggiunto fu una selvaggia anarchia; i Glinskij, Šjskij e Belskij si trucidarono a vicenda per strappare l'uno all'altro la tutela del sovrano bambino; e ciò potrebbe essere la prova esauriente del fatto che il ceto supremo della società moscovita non era capace di assurgere a classe politica. Tuttavia, restaurato l'ordine, i boiari riguadagnano terreno, e gli stessi enti ecclesiastici vengono obbligati (dal concilio del 1551) a restituire agli eredi legittimi certe proprietà carpite, ed in genere si vedono limitato il diritto di nuovi acquisti.
Ma le illegalità molteplici e le usurpazioni di terre coltivate, che avevano avuto libero corso sotto la reggenza dei boiari, avevano esacerbato i detentori di medî e d'infimi poteri, che per il tramite dell'avventuriero Ivanec Peresvet, suggerirono allo zar di abolire i privilegi dei boiari e di affidare la guerra e l'amministrazione ad un corpo speciale, cui doveva servire da modello quello dei giannizzeri. Ivan IV, durante la crisi sociale in Moscovia, sopravvenuta per la conquista dei khanati di Kazan′ e Astrachan e per le sconfitte subite nella guerra contro i Polacchi, accolse il suggerimento e nella opričnina cercò di riprodurre i caratteri della ugualitaria milizia che aveva creata Maometto II. Ivan cominciò con suscitare il panico, allontanandosi da Mosca; e disorganizzò il governo del paese dividendolo in due zone, delle quali l'una fu lasciata in gerenza ad un consiglio di boiari terrorizzati, l'altra fu devoluta ai seimila "bravi" costituiti in milizia per la guerra contro il nemico interno. La parola d'ordine era "spazzare via i traditori" e significava sradicare una classe sociale che faceva ostacolo ad una concezione dell'autocrazia, maturata con la coscienza di certi interessi collettivi (quelli dei "servitori" subalterni in uno stato militare centralizzato), ma anche per via di un'esaltazione mistica dell'idea imperiale, che ricorda quella dell'imperatore Federico II. Le migliaia di esecuzioni capitali e le terrificanti spedizioni punitive, per le quali si sguinzagliarono le bande di opričniki contro la popolazione inerme, furono operazioni sussidiarie. L'attacco principale consistette nelle confische e nelle nuove distribuzioni di terre. Con metodo vennero tolti alle famiglie ricche ed illustri i fondi che da parecchie generazioni possedevano; la maggior parte di quei proprietarî fu indennizzata con poderi in regioni sufficientemente lontane, perché essi si sentissero estranei alla popolazione circostante. I mercenarî (opričniki) uomini elevati dal nulla e che un cenno del sovrano bastava a fare ricadere nel nulla, vennero insediati nei devastati "nidi" gentilizî. Così le discendenze degli antichi duchi perdevano la base materiale del prestigio, che per consuetudine era loro rimasto anche dopo la mediatizzazione; si cancellava la distinzione fra votčina (terra avita) e pomest′e (possesso condizionato dal "servizio"); un'accolta di schiavi armati avrebbe dovuto fungere da nuova classe governante. Il brutale rimaneggiamento scompaginò i nessi tradizionali della società senza nulla sostituirvi di organico, esaurì e demoralizzò tutti i ceti. Lo zar stesso si vide costretto a lasciare la direzione degli affari correnti all'antico, esperto personale sotto un certo numero di boiari risparmiati. Era inevitabile che, alla morte del Terribile, gli opričniki satollati cercassero un compromesso con i residui dell'aristocrazia perseguitata per restaurare uno stato di legalità, eliminando gli elementi antisociali che rappresentavano l'impetuosa avanguardia nel corpo dei giannizzeri. Boris Godunov, egli stesso venuto in auge nei ranghi della opričnina, impersonò l'auspicato sistema di riconciliazione, restituì il rango alla duma dei boiari, cercò di ridare alla chiesa (calpestata essa pure dal furore autocratico) un'autorità propria, istituendo il patriarcato. Ne approfittarono i boiari, che tentarono una riscossa, suscitando contro Godunov il "falso Demetrio". Fu lo scatenamento di tutte le discordie latenti all'interno. Avventurieri sorsero da ogni parte, mentre intere provincie erano occupate da truppe della Polonia e della Svezia. Vano trionfo fu per i boiari l'elezione d'uno di loro, Basilio Šujskij, a zar, con patti da lui solennemente giurati e che avevano per contenuto la garanzia dei privilegi e delle immunità personali.
In sostanza l'"era dei torbidi" (1605-1613) - in cui per poco non s'inabissò per sempre la Moscovia - storicamente completò l'opera distruttiva di Ivan il Terribile: annientò cioè l'aristocrazia di principi e boiari. Per salvarsi individualmente, i rappresentanti di questa classe dovettero fare corpo con una parte della nobiltà inferiore, accettare le direttive della chiesa (intransigenza ortodossa ed antieuropea, idea "bizantina" della monarchia), fare appello all'intero popolo cioè a tutti quelli che nei loro beni e consuetudini si vedevano minacciati dal dilagante tumulto. Salì sul trono una famiglia di boiari, i Romanov, intorno ai quali si strinsero subito i rappresentanti della terra (nobili, ecclesiastici, e quello sparuto surrogato di borghesia che erano i mercanti). Deboli, bisognose di appoggio, rassegnate a sacrificarsi si sentivano tutte le classi: la classe dei grandi dignitarî ha sempre il nome di boiari, ma il suo nucleo è fortemente aumentato, poiché nella confusione si è fatta avanti gente nuova. Intanto, ecco il fatto più importante: le terre tenute per servizio di stato diventano praticamente proprietà ereditarie. È il grande guadagno fatto dalla media nobiltà, i cui interessi prima cozzavano contro quelli dei boiari. Giova pure ai minori proprietarî la definitiva fissazione dei contadini alla gleba, che di padre in figlio coltivano sulle terre padronali. L'apparecchio burocratico con i suoi quarantadue dicasteri (affidati ciascuno a uno o parecchi boiari) e ancora più l'esercito, che per forza di cose si deve armare all'europea e completare con truppe scelte mercenarie, sempre più difficilmente si possono ordinare in armonia con l'osservanza delle precedenze genealogiche. Per ogni verso la gerarchia tripartita di boiari, di dvorjane e di figli di boiari perde il suo significato sociale. Tutti sono ugualmente costretti a servire lo stato e le situazioni privilegiate assumono il carattere di casi individuali. Le beghe per la precedenza diventano arcaicamente assurde. Già alla fine del sec. XVII si progetta di disciplinare il corpo dei "servitori dello stato" assicurando a tutti i medesimi privilegi iniziali e ponendo uguali condizioni per la carriera, che ciascuno secondo i suoi meriti percorrerebbe. Tale disegno fu eseguito da Pietro I; l'ukaz del 1714 formalmente definì la nobiltà, assicurandole la proprietà ereditaria delle terre e il diritto esclusivo di possedere servi (istituì pure i maggioraschi che in seguito vennero aboliti); la "tavola dei ranghi" promulgata nel 1722 gerarchizzò la classe secondo i quattordici čin della carriera civile e militare (equiparandovi anche le dignità ecclesiastiche). Solo allora scomparve ufficialmente il termine di bojarin. La Russia ebbe una classe privilegiata, aperta giuridicamente a chiunque venisse assunto al servizio dello stato: bastava che egli si elevasse all'ottava classe (o al grado di ufficiale) perché la sua qualità di nobile si estendesse ai discendenti diretti. In modo abbastanza assurdo, all'unificata aristocrazia di funzionarî venne data dapprima la denominazione szlachta, che in Polonia designava la nobiltà liberissima. Più tardi prevalse il termine dvorjanstvo. Questo ceto aspirò a diventare classe politica mediante le rivoluzioni di palazzo; nel 1763 fu emancipato dal servizio obbligatorio; dopo la congiura del dicembre 1825 dovette cedere il posto, nella direzione degli affari di stato, a una più specializzata burocrazia; nel 1861 perdette la base reale dei suoi privilegi (i servi della gleba); nel 1906 fu privato degli ultimi vantaggi legali che la nascita ancora conferiva in fatto di tasse, di ammissione agli studî, di servizio militare; nel 1917 fu spazzato dalla tormenta.
La chiesa, nelle preci per la salute o in memoria d'un nobile, usò ancora la parola bojarin; il popolo ne fece barin, comunemente adoperandola quando si rivolgeva a persona più o meno "signorilmente vestita".