Boezio: il sapere come veicolo di trasmissione di una civilta
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
"Ultimo dei romani e primo degli scolastici", secondo la fortunata definizione di Lorenzo Valla, Boezio è uno dei tramiti fondamentali fra il pensiero greco antico e quello dell’Occidente medievale. Autore di scritti logici e scientifici che saranno studiati per secoli nelle scuole, teologo ma anche commentatore di opere antiche, scrive poco prima della morte la Consolazione della filosofia, uno dei classici immortali della letteratura europea.
Severino Boezio
L’eterno presente divino
La consolazione della filosofia, Libro V
Poiché, dunque, ogni essere che giudica conosce secondo la propria natura gli oggetti che giudica, e Dio si trova in uno stato sempre eterno e presente, anche la sua conoscenza, travalicando ogni mutevolezza di tempo, permane nella semplicità della sua presenza e abbracciando tutti gli infiniti spazi del passato e del futuro, li osserva, nel suo semplice atto di conoscere, come se si svolgessero proprio allora. Pertanto, se tu volessi valutare esattamente la pre-visione con cui egli riconosce tutte le cose, dovresti giustamente ritenere che si tratti non di prescienza di cose proiettate nel futuro, ma di conoscenza di un presente che non viene mai meno. Onde si chiama non previdenza, ma provvidenza, appunto perché, collocata lontano dalle cose inferiori, vede tutto quanto in prospettiva, per così dire, dell’eccelso vertice dell’universo. Perché, dunque, pretendi che diventino necessarie le cose che sono investite dal lume divino, quando neppure gli uomini rendono necessarie le cose che vedono?
Severino Boezio, La consolazione della filosofia, trad. it. di O. Dallera, Milano, Rizzoli, 1977
Severino Boezio
Programma di traduzione
Commentarii in librum Aristotelis "Peri hermeneias"
Io mi propongo di tradurre nella lingua di Roma tutte le opere di Aristotele, per far conoscere ordinatamente ed illustrare con commenti esplicativi tutto ciò che Aristotele ha scritto sulla difficile arte della logica, sull’arduo argomento della esperienza morale e sulla comprensione delle verità fisiche. Tradurrò inoltre in latino e commenterò tutti i dialoghi di Platone. Compiuto questo lavoro, non tralascerò di dimostrare la concordanza delle dottrine aristoteliche e platoniche, le quali non sono affatto in completa contraddizione, come molti pensano, ma concordano nella maggior parte dei casi e proprio sui massimi problemi filosofici.
Severino Boezio, Commentarii in librum Aristotelis "Peri hermeneias", in A. Crocco, Introduzione a Boezio, Loffredo, Napoli, 1970
L’esistenza di Anicio Manlio Torquato Severino Boezio si colloca in uno dei periodi più travagliati della storia europea, subito dopo la caduta dell’Impero d’Occidente e durante il difficile regno del goto Teodorico, il cui progetto di pacifica convivenza fra barbari di confessione ariana e Romani di fede cattolica è ostacolato dalle resistenze dell’una e dell’altra parte. Immediato riflesso della crisi politica è una generalizzata decadenza culturale, che si rifletterà in tutta la prima fase dell’alto Medioevo.
Formatosi presso una delle ultime e potenti famiglie dell’aristocrazia senatoria, quella dei Simmachi, Boezio è subito avviato alla carriera politica e ha eccezionali possibilità di studio e di erudizione, anche se si tende a escludere un suo viaggio ad Atene o Alessandria, sedi delle maggiori scuole filosofiche dell’epoca. Dopo aver raggiunto il culmine degli onori, il filosofo è travolto dagli intrighi della corte del vecchio Teodorico, e accusato, probabilmente senza alcun fondamento, di aver tramato assieme a dignitari orientali per il rovesciamento della monarchia. Processato senza possibilità di difendersi nel 524, abbandonato dallo stesso senato romano del quale aveva sempre tutelato gli interessi, viene giustiziato a Pavia nei primi mesi del 525. Pur se nella condanna rientrano anche motivazioni religiose – l’imperatore d’Oriente Giustino aveva emanato nel 523 un editto antiariano –, i moderni non ritengono più, come nel Medioevo, che Boezio sia un martire della Chiesa cattolica: tale invece lo considera Dante Alighieri, che nella Commedia lo colloca, assieme a Tommaso d’Aquino e ad altri spiriti sapienti, nel Cielo del Sole (Paradiso, X, 121-129).
La tradizione manoscritta assegna a Boezio cinque brevi trattati di teologia (per uno di essi l’attribuzione è dubbia) che discutono temi cristologici e trinitari. Passando invece in rassegna la sua produzione scientifica, si avverte chiaramente l’intento di conservare e diffondere il patrimonio di conoscenza greco, con particolare riguardo per quelle arti liberali che, pressappoco nello stesso periodo, il retore pagano Marziano Capella compendia nel suo manuale Le nozze di Mercurio e Filologia.
Gli scritti propedeutici boeziani sulla musica e sull’aritmetica, questi ultimi ispirati alle riflessioni del matematico neopitagorico Nicomaco di Gerasa, restano alla base dell’insegnamento di queste materie per tutta l’epoca altomedievale, durante la quale si leggono anche le sue monografie logiche e retoriche. Ma il programma scientifico di Boezio è ben più vasto e ambizioso: facendo propria una aspirazione che fu già del neoplatonico greco Porfirio, egli si propone di tradurre tutti gli scritti di Platone e di Aristotele, per poi mostrare l’intima unità delle loro dottrine su tutti i punti fondamentali.
Questo progetto sincretistico si inquadra perfettamente sia nel contesto delle ricerche neoplatoniche del tempo, sia nell’aspirazione a salvare e conservare i più importanti risultati culturali del passato contro il vasto declino politico-sociale. Per questi motivi, “Boezio è, in Occidente, l’ultimo grande rappresentante di quell’epoca del pensiero umano che viene chiamata per antonomasia ‘classica’” (L. Obertello, Severino Boezio, 1974).
La morte prematura impedisce al filosofo di realizzare i suoi propositi. Se pure redige delle traduzioni di Platone, queste sono andate perdute; ci restano invece le sue versioni, letterali ma filosoficamente rigorose, delle opere dialettiche di Aristotele a eccezione dei Secondi analitici, che fanno di lui “il professore di logica del Medioevo” (É. Gilson, La filosofia nel Medioevo, trad. it. 1973). Molte di esse sono corredate da commenti che dipendono, direttamente o meno, da tutti i maggiori filosofi neoplatonici del tempo, anzitutto Porfirio e Giamblico. Secondo alcuni studiosi, Boezio ha copiato pedissequamente, per i suoi commentari, le notizie a sua disposizione in un manoscritto greco: teoria poco credibile se si pensa alle notevoli capacità logiche e intellettuali del filosofo. Seppur in larga parte derivativi, questi scritti rappresentano infatti tutto ciò che il Medioevo, sotto il nome di logica vetus, conosce sulla dialettica fino all’XI secolo.
Storicamente ancora più importanti sono la traduzione e il doppio commentario, uno per principianti e uno per lettori più esperti, che Boezio redige dell’Isagoge di Porfirio, una elementare “introduzione” (è questo il significato del termine greco) ai problemi logici aristotelici. È da questa operetta, in modo del tutto incidentale, che nasce la celebre questione degli universali, la quale animerà per secoli la speculazione medievale. Nelle prime righe del trattato, onde evitare l’affaticamento di un lettore inesperto, Porfirio sceglie di non occuparsi di un fondamentale problema metafisico parallelo ai temi che dovrà discutere, ovvero se gli universali, le forme o essenze delle cose teorizzate da Platone e Aristotele, siano realtà sussistenti oppure semplici concezioni della mente. Ipotizzando poi che la prima ipotesi sia quella veritiera, tralascia di stabilire se essi siano corporei o incorporei, e infine, supponendone l’incorporeità, di decidere se esistano separati dalle cose sensibili oppure immanenti a esse.
Nella breve disamina di Porfirio sono quindi dispiegate, con una certa preferenza per il platonismo ma senza alcun accenno di soluzione definitiva, tutte le posizioni dei filosofi classici, dal concettualismo dei cinici all’immanentismo aristotelico; è merito di Boezio non solo presentare il problema all’Occidente latino, proponendo così ai filosofi medievali il materiale per le loro discussioni in merito, ma anche illustrare, sulla base dei commentatori neoplatonici a lui noti, la sua personale interpretazione.
Nel secondo commentario all’Isagoge viene ripresa la soluzione che fu già di Alessandro di Afrodisia, celebre commentatore di Aristotele: sulla base della teoria gnoseologica dell’astrazione, uno dei capisaldi della filosofia aristotelica, Boezio conclude che gli universali sono immanenti alle cose sensibili, ma possano essere astratti con l’intelletto e considerati a parte. È però probabile che Boezio abbia in seguito ripensato i termini del problema, volgendosi a una soluzione di stampo più genuinamente platonico: gli universali diventano così le pure idee degli enti sensibili. A causa delle presunte incertezze sull’argomento, gli autori medievali si sentono in ogni caso ancora più stimolati nell’offrire la propria risposta al problema.
Il risultato più limpido dell’ingegno boeziano è la Consolazione della filosofia, in cinque libri, composta poco prima della morte. In una prosa raffinata intervallata da componimenti poetici, secondo l’antico modello della satira menippea, Boezio immagina che la Filosofia, personificata in forma di donna, venga a confortarlo in carcere, mostrandogli come tutte le sofferenze cui lo ha sottoposto la Fortuna facciano comunque parte del grande piano del Creatore universale, e vadano accettate con la fermezza d’animo propria del saggio.
Per il suo sincretismo dottrinario, cui si aggiunge la successiva perdita delle fonti più antiche usate da Boezio, dotti medievali leggono la Consolazione come una summa filosofica colma di idee originali, ma non smettono mai di chiedersi perché l’autore non abbia confessato esplicitamente la propria aderenza al cristianesimo, parlando in termini generici di un Creatore non del tutto coincidente con il Dio cristiano, e sostenendo idee eterodosse come l’eternità del mondo o l’animazione universale. Sotto accusa è in particolare il canto O qui perpetua, inserito al centro del terzo libro quale culmine dello scritto, che costituisce una sorta di riassunto in versi della cosmologia delineata da Platone nel Timeo.
La risposta più verosimile è che Boezio, precorrendo in certo modo le conclusioni cui giunge secoli dopo la scolastica, intenda separare radicalmente il dominio della filosofia da quello della teologia; quest’ultima, in un’opera destinata all’esposizione di teorie essenzialmente neoplatoniche, derivate indirettamente da Proclo, non doveva quindi trovare alcuno spazio, pur se la critica è oggi concorde nel ritenere che il terzo libro della Consolazione contenga almeno un riferimento sotterraneo al libro biblico della Sapienza. Il testo rappresenta quindi una riorganizzazione della filosofia antica in funzione di una nuova sintesi filosofica almeno implicitamente cristiana: anche in questo, Boezio si rivela un fondamentale precursore del Medioevo.
I temi più espressamente filosofici sono esaminati negli ultimi tre libri: le sezioni precedenti sono infatti dedicate a una personale apologia politica di Boezio, che si difende così dalle ingiuste accuse dei suoi avversari, e a una disamina del ruolo della Fortuna nelle vicende terrene.
Il terzo libro, invece, si interroga sulla natura della vera felicità umana, giungendo alla conclusione che essa coincida con l’aspirare a Dio, sommo Bene e regolatore dell’universo. Nessuno dei beni del mondo, infatti, è realmente tale: le ricchezze, la gloria, gli onori portano con sé grandi sofferenze e possono essere facilmente perduti, mentre l’uomo che tende al cielo finisce in certo modo per deificarsi e conseguire uno status sovraumano di gioia perfetta. Nel libro successivo si discute il problema del male, che non dovrebbe essere tollerato da un Creatore sommamente giusto, il quale sembra anche permettere che i malvagi conseguano ogni appagamento terreno. La risposta di Filosofia presuppone la tesi di Agostino d’Ippona, secondo il quale il male non ha un reale statuto ontologico, ma rappresenta in realtà il puro nulla che è contrario del Bene: i malvagi, allontanandosi da quest’ultimo e quindi da Dio, non solo non possono raggiungere la propria felicità, ma si applicano inoltre a qualcosa che non esiste, finendo per perdere la loro condizione umana e infine il loro stesso essere.
Una comprensione più attenta del problema implica per Filosofia la distinzione fra fato e Provvidenza: esiste una regola universale che presiede allo svolgimento di tutti gli eventi, la quale prende il nome di Provvidenza se considerata dal punto di vista divino, che è eterno, onnicomprensivo e atemporale, mentre è definita fato quando viene riferita alle creature soggette alle temporalità. Gli uomini, il cui strumento conoscitivo è la ragione (ratio), non possono conseguire la più perfetta visione del tutto propria del divino (che Boezio chiama intelligentia), nella quale l’esistenza del male conosce una profonda quanto insondabile spiegazione; finché non si avvicinano a Dio, quindi, non potranno comprendere i segreti equilibri del creato. Questo approccio gnoseologico per gradi, il cui lontano ispiratore è il sesto libro della Repubblica platonica, è un altro degli elementi filosofici che raggiungono il Medioevo attraverso la Consolazione.
Il concetto di Provvidenza implica per Boezio un ulteriore problema etico-metafisico, che viene esaminato nell’ultimo libro. Se Dio osserva e conosce ogni cosa, senza possibilità di fallire in quanto perfetto, è necessario che si avveri quanto la Sua Provvidenza prevede per il futuro: tutti gli atti umani sono quindi determinati, e senza libertà non ha senso supporre che esistano premi per gli uomini buoni e castighi per quelli malvagi. Anche in questo caso, Filosofia si richiama all’impossibilità umana di comprendere le cose da una prospettiva superiore: nell’eterno presente divino, che abbraccia con un solo sguardo tutte le decisioni degli uomini, e non contempla quindi alcun futuro, gli atti liberi vengono previsti in quanto liberi, e quelli necessari in quanto necessari. La pura visione delle cose fuori dal tempo, prima che abbiano la stessa possibilità di accadere (è questo il significato originario di "Provvidenza"), non comporta infatti alcun condizionamento su di esse.
La Consolazione della filosofia è tramandata da oltre 400 manoscritti: quasi ogni biblioteca dell’Europa medievale possiede almeno una copia dell’opera, testimoniando tangibilmente l’ammirazione medievale per Boezio.
Dopo un lungo periodo di oblio, durante il quale resta ignoto ai maggiori enciclopedisti medievali, lo scritto viene riscoperto e diffuso da Alcuino, il dotto monaco inglese protagonista della rinascenza culturale avvenuta sotto Carlo Magno; al IX secolo risalgono i primi commentari. Il più celebre è quello di Remigio di Auxerre, che viene continuamente rielaborato nelle epoche successive; la presunta attribuzione di un commento a Giovanni Scoto Eriugena, il massimo filosofo dell’età carolingia, è stata dichiarata insostenibile dagli studiosi moderni, pur se si riconosce che questi utilizza non solo la Consolazione, ma anche gli opuscoli teologici. La maggior parte degli autori medievali tenta una lettura cristiana del capolavoro boeziano, assimilando alla Rivelazione gli elementi filosofici neoplatonici; ma non manca chi, come Bovo di Corvey, che si dedica a un’esegesi dell’O qui perpetua, ne sconsiglia la lettura sottolineandone la “pericolosità”.
Nel XII secolo l’opera è studiata nella Scuola di Chartres, una delle roccaforti del pensiero platonico medievale, e in particolare da Guglielmo di Conches, il quale tenta una operazione inversa a quella dei suoi predecessori: nel suo commento è il cristianesimo, infatti, a subire un adattamento a principi filosofici. Nonostante una certa diminuzione dell’interesse durante l’epoca universitaria, più incline a tematiche aristoteliche, la Consolazione continua a essere letta e commentata fino al termine del Medioevo, rimanendo una costante fonte d’ispirazione.
Fin dal IX secolo non mancano inoltre i volgarizzamenti: il più antico è quello in anglosassone di Alfredo il Grande, re del Wessex , secondo il quale lo scritto di Boezio deve essere noto a ogni persona di cultura. Attorno al 1000 si colloca la versione altotedesca di Notker III Labeone, abate di San Gallo in Svizzera; ma è con il XII secolo che si moltiplicano in ogni parte d’Europa le traduzioni, in prosa ma anche in versi, destinate a un pubblico laico ed extrauniversitario. L’interesse maggiore si riscuote in Italia, Francia e, con un certo ritardo, Spagna; ma non mancano trasposizioni in tedesco e perfino in greco. Il testo volgarizzato è quindi uno dei primi a caratterizzare la rinascita di una cultura laica: basti pensare che la Consolazione è tradotta da Geoffrey Chaucer, e viene utilizzata nella composizione del Roman de la Rose. Anche Dante Alighieri, narrando nel V canto dell’Inferno la storia di Paolo e Francesca, ha ben presente le osservazioni boeziane sui rivolgimenti della fortuna (“Nessun maggior dolore/ che ricordarsi del tempo felice/ ne la miseria”, vv. 121-123). L’influenza della Consolazione si avverte inoltre nello stile di molti autori e perfino nelle rappresentazioni iconografiche (pittoriche e scultoree) della Filosofia e della Fortuna: il pensiero e l’opera di Boezio caratterizzano così nel profondo un’intera stagione della filosofia europea.