Adimari, Boccaccino
, Fratello di Filippo Argenti (v.), del ramo dei Cavicciuoli. Aderì, come il resto della sua famiglia, alla fazione dei Neri, partecipando attivamente alla cacciata dei Bianchi dalla città e parteggiando appassionatamente. Nel 1304 fu tra coloro che appiccarono il fuoco alle case nel centro di Firenze, insieme con Neri degli Abati. Nel 1308 uccise Gherardo Bordoni suo avversario politico, mentre era con Corso Donati, e tagliatagli una mano, l'attaccò alla porta di casa di Tedice Adimari. L'autore delle Chiose Vernon al luogo di Filippo Argenti (If VIII 32) mette in rilievo l'appropriazione dei beni di D. esule da parte di B.: questo gesto fu, forse, una rivalsa della ingiustizia che B. ritenne di aver subita nel 1300 quando la Signoria della quale faceva parte D. condannò all'esilio suo figlio Baldinaccio. Questa notizia è diffusamente riportata anche da Benvenuto, dal Landino e dal Cesari (nota a Pd XVI 115-117), e tutti fanno risalire al rancore verso l'usurpatore dei suoi beni l'ostilità con cui D. tratta la famiglia Adimari e ciascun membro di questa (If VI 79, VIII 32-61, XVI 41, Pd XVI 115-117). In particolare uno studio recente di Costanza Agostini sul presunto contrasto fra i primi sette canti dell'Inferno e i seguenti, avvalora la tesi, basata sul racconto del Boccaccio, secondo la quale D. esule in Lunigiana ricevette la parte del poema composta prima dell'esilio insieme alla notizia dei vani tentativi fatti dai suoi familiari per recuperare il patrimonio, e che quindi il c. VIII sarebbe stato ispirato dal rancore di D. per l'ingiustizia subita. Questa tesi appare piuttosto macchinosa, e, a parte le smentite che può ricevere sul piano generale - in quanto è da discutere se esista un contrasto di fondo fra i canti VII e VIII - sul piano specifico appare una forzatura far risalire il sentimento dominante nel canto degli iracondi a un caso particolare che non modificava in alcun modo la sorte di Dante. Inoltre, per quanto gli Adimari siano stati infesti al poeta, non abbiamo alcun documento comprovante che B. avesse rilevato i beni dell'esule.
I beni confiscati degli Alighieri, come quelli di tutti i fuorusciti, erano passati sotto l'amministrazione degli Uffiziali dei Ribelli, e destinati al mantenimento di cavallate. In un documento del 14 agosto 1305 si parla, infatti, di una quantità di grano dovuta a Vezzo di Vezzoso " in bonis Dantis de Allaghieris et Francischi eius fratris, rebellium et condempnatorum dicti comunis, pro cavallata eidem assingnata pro comuni Florentiae... ". Inoltre, in un registro del detto Ufizio, abbiamo il 24 agosto 1329 un atto col quale si assegnano a Gemma Donati ventisei staia di grano sulle rendite dei beni di Lapo di Tieri di Dietisalvi, come frutti dei suoi beni dotali, ma si specifica che la concessione è fatta " in quantum dicta bona non sint concessa habentibus cavallatas ". È da osservare tuttavia che ad alcune casate predominanti era stato dato l'usufrutto dei terreni di determinati banditi contro l'assunzione di cavallate, e questo spiegherebbe come sia sorta la fama dell'appropriazione dei beni di D. da parte di Boccaccino.
Bibl. - A. Adimari, La Clio, Firenze 1639, c. 33; ID., Memorie appartenenti alla famiglia degli Adimari, in Delizie degli eruditi toscani, XI, ibid. 1778, 238-239; U. Dorini, Un nuovo documento concernente Gemma Donati, in " Bull. " IX (1901-02) 181-184; S. Debenedetti, Un nuovo documento di D. e Francesco Alighieri, ibid. XIV (1907) 124-136; Piattoli, Codice 95, 146; C. Agostini, Il racconto del Boccaccio e i primi sette canti della ‛ Commedia ', Firenze 1908 (recens. di G. Bottiglioni, in " Bull. " XIX [1912] 106-112); I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua cronaca, I, Firenze 1879, 566; II, ibid. 1880, 336; Davidsohn, Storia IV 306-309.